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Palazzo Panciatichi

Era la fine del Trecento quando al crocevia fra la via Larga, oggi via Cavour, e via dei Frenai, poi via dei Calderai e infine via dei Pucci, iniziarono i lavori per la fondazione di un nuovo palazzo. Il cantiere attirò l’attenzione dei fiorentini, perché dagli scavi per le fondamenta emerse un antico ponte sul fiume Mugnone, deviato nel secolo XIº.

A far erigere il "palagium", dimora signorile di ampie dimensioni, fu Agnolo di Ghezzo Della Casa, commerciante di stoffe che ebbe anche una buona carriera pubblica: fu, tra le altre cose, ambasciatore a Bologna e Ferrara e capitano di Pistoia e di Pisa. 
L’edificazione di palazzo Panciatichi è dunque sicuramente anteriore a quella del dirimpettaio palazzo di Cosimo il Vecchio dei Medici, oggi Medici-Riccardi, iniziata attorno al 1445. I disegni per le ristrutturazioni del Seicento ci tramandano l’immagine di un palazzo tipicamente quattrocentesco.
Nel 1621 Bandino di Niccoló Panciatichi acquistò l’edificio per seimila scudi.

I Panciatichi erano un nobile casato di origine pistoiese. I lavori di ristrutturazione della nuova dimora iniziarono subito: nel 1622 il Panciatichi ebbe il permesso di costruire due terrazzini, uno sulla facciata di via Larga e uno su quella di via dei Calderai. Con la ristrutturazione delle case di via Larga il committente intendeva creare un edificio unitario, raccolto intorno a un cortile interno con loggiato. Il progetto fu però realizzato solo in parte, forse a causa dell’improvvisa morte di Bandino nel 1629, che lasciò erede il figlio Gualtieri di appena tre anni. Era stato però portato a compimento il grande portone, perfettamente allineato al prospiciente ingresso di palazzo Medici Riccardi. L’insieme crea un suggestivo "cannocchiale prospettico" che attraverso i due palazzi consente di allungare lo sguardo da via Ginori a via Ricasoli.
Nei decenni successivi la vita a palazzo Panciatichi scorse senza scossoni. Fu solo alla fine del 1600 che l’allora proprietario dell’immobile, monsignor Bandino Panciatichi, decise, da Roma dove risiedeva, di intraprendere un totale rifacimento del palazzo. Il compito di progettare i cambiamenti fu assolto da un architetto romano, Francesco Fontana. Il progetto del Fontana prevedeva una nuova ala, frutto della ristrutturazione di alcune casette in via dei Calderai, un cortile più ampio e la creazione di un loggiato a tre archi, un grande scalone.
L’apertura del cantiere avvenne nel novembre del 1696. Gli interni furono completati nel 1697, e la decorazione dei soffitti e dei fregi parietali fu affidata a partire dal giugno 1698 a una squadra di pittori appositamente giunta da Roma. Oggi nulla rimane di quelle pitture. Il Fontana aveva anche previsto una piccola cappella al piano nobile. Nel 1703 iniziano i lavori alla nuova ala in via dei Calderai.

Il cardinal Bandino nominò erede universale il nipote adottivo Niccolò di Iacopo Panciatichi, obbligando i suoi successori a mantenere integro il patrimonio ereditato, e ad abitare nel palazzo di via Larga. Così alla morte del prelato, avvenuta all’età di ottantanove anni nel 1718, Niccolò si trasferì a palazzo Panciatichi. Fu l’erede di Niccolò, Bandino, a rimettere mano al palazzo.

Nel 1741 si diede inizio alla sistemazione di un nuovo appartamento destinato al signor "cavaliere", che quasi sicuramente era Giovanni Gualberto Panciatichi, fratello minore di Bandino. Il quartiere, al secondo piano, fu decorato da un trio di pittori particolarmente in auge in quel periodo: Giovan Domenico Ferretti, Vincenzo Meucci e il quadraturista Pietro Anderlini. La saletta fu interamente affrescata sia sulle pareti sia sulla volta, divisa in tre riquadri che raffigurano l’Apoteosi di Ercole, oggi gravemente danneggiato, e gli integri Allegoria della poesia pastorale e Trionfo del Tempo sulla Maldicenza.
Sempre in quegli anni vennero create due loggette coperte sulla sommità del palazzo. È attorno al 1750, invece, che venne realizzata la decorazione di un’altra saletta al secondo piano con una scena che allude all’apoteosi di alcuni membri della famiglia Panciatichi e numerose figure allegoriche. I dipinti della volta sono stati attribuiti a Niccolò Agostino Veracini, mentre le quadrature sono state attribuite a Vincenzo Torrigiani.
L’erede di Bandino, Niccolò, fu anche collezionista d’arte e pittore dilettante. Ed è durante gli anni della sua proprietà, attorno al 1770, che venne affrescata al secondo piano del palazzo la grande sala oggi adibita a sala delle riunioni. La stanza fu decorata con episodi tratti dalla Gerusalemme liberata. Il non elevato livello delle pitture fanno ritenere agli esperti che l’autore debba essere stato lo stesso Niccolò Panciatichi, che appunto si dilettava con i pennelli.


Ferdinando Panciatichi, nel 1850, trasferì la dimora familiare dal palazzo di via Larga a palazzo Ximenes in Borgo Pinti. L’edificio venne affittato. Il piano terreno fu occupato, oltre che da scuderie e varie botteghe, da un caffè. Il piano nobile ospitava il "Circolo di conversazione dei risorti", mentre il secondo piano fu diviso in due appartamenti privati. Purtroppo queste trasformazioni ebbero dei costi. A pagare fu soprattutto il cortile: la chiusura del loggiato, la sua trasformazione in locali annessi ai fondi commerciali, la creazione di ballatoi di raccordo al primo e secondo piano hanno definitivamente compromesso le sue caratteristiche originarie.

Nel 1900 la marchesa Marianna Panciatichi vedova Paulucci decise di far ricostruire interamente l’ala su via Ricasoli, in cattive condizioni. Dieci anni dopo Marianna vendette l’intero palazzo alla Società Cattolica di Assicurazione, mantenendone però l’usufrutto. Il 16 maggio 1913 i beni della Società Cattolica furono rilevati dall’Istituto Nazionale di Assicurazione. Nel corso del secolo gli affittuari si sono susseguiti. Il primo piano fu occupato fino al 1922 dal "Circolo fiorentino", a cui subentrò fino al 1976 il "Circolo degli impiegati civili". Il secondo piano fu affittato nel 1960 dal Provveditorato agli studi. Con la nascita delle Regioni palazzo Panciatichi fu destinato ad ospitare la sede del Consiglio Regionale. Il 4 aprile 1972 fu stipulato un accordo tra l’Ina e il Consiglio Regionale per il restauro del secondo piano. La ristrutturazione, affidata all’architetto Franco Bonaiuti, si concluse nel 1973. Ma lo spazio non bastava e venne sfrattato l’ormai inattivo Circolo degli impiegati civili. I lavori si sono conclusi nel 1976. Successivamente il palazzo è stato collegato con l’adiacente palazzo Capponi Covoni sfruttando lo scalone d’onore e spostando un portale in pietra serena al primo e al secondo piano in modo da creare una comunicazione con il ripiano dell’attiguo scalone.
Negli anni il Consiglio Regionale ha acquisito alcuni dipinti concessi in deposito dalla Soprintendenza dei beni storici e artistici. Nelle stanze di anticamera del primo piano troviamo delle opere del primo Quattrocento: le sinopie di un affresco del tabernacolo di Sant’Andrea a Rovezzano, raffigurante una Madonna con bambino e santi, di Niccolò di Pietro Gerini; due sinopie con Profeti provenienti dalla Porta San Niccolò, opera della cerchia di Rossello di Iacopo Franchi.
Il deposito delle due antiche copie delle tele di Bartolomeo Manfredi, che ornavano le pareti dell’ufficio del Presidente, è risultato provvidenziale quando gli originali furono distrutti dall’attentato del 1993 che danneggiò la Galleria degli Uffizi: al loro posto ora sono collocate le due copie. Il Consiglio nell’occasione ha finanziato il restauro di due grandi tele seicentesche di artisti toscani, attalmente conservate presso lo stesso ufficio del Presidente: la Fuga di Clelia del pittore senese Francesco Rustici detto il Rustichino (1592-1626) e la Fuga di Enea da Troia del fiorentino Giovan Battista Marmi (1659-1686).