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Luciano Pasquini. Il coraggio della bellezza

mostra a cura di Michelangelo Pepe
da giovedì 19 dicembre a sabato 21 dicembre 2024
Spazio espositivo C.A. Ciampi, Palazzo del Pegaso, via de’ Pucci 16, Firenze

programma

Inaugurazione della mostra giovedì 19 dicembre ore 14

La mostra proseguirà fino al 21 dicembre 2024 con il seguente orario:
da lunedì al venerdì, dalle 10.00 alle 12.00 e dalle 15.00 alle 19.00 - sabato dalle 10.00 alle 13.00. sabato 14 dicembre dalle 10.00 alle 18.00

L’accesso sarà consentito, previa esibizione di valido documento di identità, nei limiti dei posti previsti ai sensi della normativa in materia di sicurezza.


Presentazione
La mostra è importante e prestigiosa, per vari motivi. Innanzitutto il luogo, che richiama rispetto e ammirazione. I quadri di Pasquini esposti nello Spazio Espositivo Azeglio Ciampi, nel Palazzo del Consiglio Regionale della Toscana, hanno in comune con tutta l’arte e l’architettura che li circonda il senso del Bello. Un concetto che nel corso dei secoli ha mutato soggetti e scenari, e li muterà ancora; ma quello che lo spettatore prova di fronte ai quadri di Pasquini è semplicemente (e vorrei dire, esclusivamente) l’idea di una “bella cosa”. Potrebbe sembrare poco; in realtà è tantissimo. Il concetto del Bello è stato bandito da moltissimi anni dalla critica d’arte, a favore di altri valori ritenuti più complicati e perciò bisognosi di un “esperto” che ne veicoli il significato. La Bellezza è parola banale, semplice, pericolosamente alla portata di troppa gente alla quale, invece, conviene fare discorsi astrusi e contorti a favore di un mercato avido e perciò scomposto, che spesso promuove artisti senza valore e senza futuro, ma con un progetto commerciale di rapido sfruttamento.
 
Parlare di Luciano Pasquini non è facile.
Realizza paesaggi della campagna toscana, marine, tetti di case, nevicate e fiori; detta così, sembrerebbe impresa relativamente abbordabile. Attingendo alla retorica del “bel dipingere” si riuscirebbe con poca fatica a comporre un testo pieno di concetti ineccepibili e scolastici.
 
Ma non è così. Soltanto uno sguardo superficiale può giudicare la pittura di Pasquini semplice. Dietro la purezza del risultato finale c’è un gesto nervoso, complesso, pieno di sfumature. Una tela piena di graffi, di segni, di colpi di pennello anche casuali che poi vanno a comporre una figurazione risolta nella felice comprensione del tutto. Laddove altri pittori scelgono l’inquietudine e il tormento del gesto come manifesto esplicito del loro lavoro, Pasquini adotta spesso tecniche aggressive nel suo “fare pittorico”, ma che poi nasconde e appiana nel risultato finale. Del resto, questo è coerente con il carattere dell’uomo. Luciano Pasquini nella immediatezza di una prima conoscenza è persona solare, schietta, a volte persino ingenua; poi scavando (e nemmeno tanto), viene fuori un’anima tormentata, a volte fragile.
 
La sua pittura, quindi, esige una doppia lettura.
Quella rapida e immediata restituisce un senso di pace e serenità, a volte di gioia. Uno sguardo che si immerge, compiacendosi, nelle tonalità calde di paesaggi e scenari addirittura da favola. Soggetti e tematiche ancestrali: la vista da un colle con la campagna in fiore, filari di cipressi e lontane casette di borghi antichi, una spiaggia incontaminata e selvatica che si affaccia sul mare, paesini silenti pieni di tetti e tegole, mazzi di fiori di campo. C’è tutto il repertorio della “bella pittura” di genere.
Poi c’è l’altra lettura, quella più ragionata, soprattutto di che vuole guardare quei quadri più da vicino, e più di una volta oltre la prima. Quegli stessi paesaggi sospesi e incantati diventano all’improvviso più problematici; laddove Pasquini scava e aggredisce la tela, la graffia, riempie il cielo di nuvole grigie e minacciose, lascia sospeso il tempo tra tetti di case forse disabitate, ammassate una sull’altra, senza spazi, senza vie. In effetti, quegli scenari sono abbastanza irrealistici. Le campagne sono inondate da campiture larghe, che scandiscono macchie dai colori esageratamente accesi e forti. I cieli non sono quasi mai azzurri e limpidi, ma sempre grigi, a volte minacciosi di tempesta (soprattutto nelle marine). La spatola passa nervosamente sulla tela, incidendo graffi e linee che attraversano la scena spesso senza una ragione apparente. I borghi visti più da vicino sono soffocati da case ammassate una sull’altra, senza una strada, chiusi da tetti a spiovente a loro volta graffiati da file di tegole cupe, le finestre nere. Le nevicate non sono allegre, ma descrivono quello che resta dopo una forte tormenta, quando la neve copre in modo disordinato qualsiasi cosa.
La sapienza di Pasquini è racchiusa dal mettere tutto il patimento del fare pittorico al servizio di una resa di grande serenità. Lo spettatore si compiace e si rassicura dentro scenari a lui familiari, che contengono gli archetipi di mondi sognati e desiderati, ma non si accorge che in realtà sta assistendo a una lotta interiore tra l’istinto di urlare la propria agitazione, e il bisogno di placare l’anima con una risposta calda e rassicurante. Prevale sicuramente il risultato finale, con il senso compiuto di una pace raggiunta, sia pure solo come compromesso.
Discorso a parte meritano i fiori, che per Luciano Pasquini rappresentano un autentico momento di armonia; per tanti artisti i fiori rappresentano un puro esercizio di stile, una sorta di virtuosismo narcisistico. Qui non c’è alcun esibizionismo o compiacimento estetico. E’ l’autentico stupore di fronte alla forza della natura che dal nulla genera forme e colori. Pasquini raccoglie fiori di campo e semplicemente gli rende omaggio, celebrandone la centralità. I fiori hanno segnato il primo incontro con il disegno e la pittura. Alla scuola elementare di San Gersolè (frazione del Comune di Impruneta) fu allievo della maestra Maria Maltoni; protagonista ante litteram, in silenzio e senza i riflettori della comunicazione social, di molti principi educativi poi divenuti “moderni” almeno 40 anni dopo. Le osservazioni della natura, e in particolare dei fiori, che Maria Maltoni chiedeva ai suoi bambini di riprodurre sui fogli di carta, rappresentano il momento di maggiore serenità e gioia per quel bambino diventato uomo che ancora si aggira curioso come tanti anni prima tra steli e colori, tra pennelli e petali profumati.
 
L’Arte Concettuale ha rappresentato un momento di sincera svolta nel percorso di molti artisti degli ultimi 50/60 anni, e costituisce un segmento estremamente significativo degli esiti più felici dell’Arte Contemporanea, con grandi maestri che in assoluta coerenza e onestà intellettuale ne hanno sposato i princìpi. Dentro il termine “Concettuale” si affollano generi e correnti artistico-pittoriche di vario genere: Pop, Land, Body, Analitica, Optical, Minimal, Povera... Tutte dentro la stessa definizione, che sottintende la natura intellettuale e pregestuale dell’azione artistica; indica la prevalenza dell’idea sul gesto, del progetto ideologico sull’esito realizzativo. Tanti epigoni e facili imitatori hanno però inquinato l’acqua, e in conseguenza di questo apparato dottrinale, tanta Buona (e anche Grande) Pittura è stata marginalizzata, semplicemente perché non si concepisce che dietro la decisione di dipingere (ad esempio) un paesaggio ci possa essere un’idea, un pensiero, un concetto.
L’arte di Luciano Pasquini è Concettuale. Lo è perché non è banale, non rappresenta ma racconta, non risolve ma suscita emozioni, non contempla ma pone interrogativi; lo è perché Pasquini narra le sue emozioni, le vive. Ogni soggetto è il frutto di un’idea, una presa d’atto di uno stato d’animo. E l’idea del Bello, perseguita per anni con coerenza e passione, gli consente oggi di andare oltre la cronaca, e di diventare un pezzo importante della storia dell’arte italiana.