TOMMASO
MIELE
(Consigliere
della Corte dei Conti)
La riforma costituzionale
del titolo V della seconda parte della Costituzione: gli effetti
sull’ordinamento.
1.
Premessa – 2. La potestà legislativa delle Regioni nelle materie di cui al
nuovo testo dell’art. 117 della Costituzione - 3. La potestà legislativa
residuale delle Regioni nelle materie non espressamente riservate alla
legislazione dello Stato - 4. I limiti della potestà legislativa regionale -
4.1. I limiti della potestà legislativa regionale: a) il rispetto della
Costituzione (art. 117, 1° comma, Cost., come modificato dall’art. 3 della
legge costituzionale n. 3/2001) - 4.2. I limiti della potestà legislativa
regionale: b) il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e
dagli obblighi internazionali (art. 117, 1° comma, Cost., come modificato
dall’art. 3 della legge costituzionale n. 3/2001) - 4.3. I limiti della potestà
legislativa regionale: c) il limite (negativo) del rispetto della legislazione
esclusiva dello Stato (art. 117, 2° comma, Cost., come modificato dall’art. 3
della legge costituzionale n. 3/2001) - 4.4. I limiti della potestà legislativa
regionale: d) il limite della determinazione dei principi fondamentali nelle
materie di legislazione concorrente in cui le Regioni hanno potestà legislativa
(art. 117, 3° comma, Cost., come modificato dall’art. 3 della legge
costituzionale n. 3/2001) - 4.5. I limiti previsti dal vecchio testo dell’art.
117 della Costituzione: a) i principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello
Stato; b) l’interesse nazionale e quello di altre Regioni - 5. L’entrata in
vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3: effetti sulla normativa
vigente - 6. Il principio di autocompletamento dell’ordinamento e la funzione
suppletiva della legislazione statale - 7. In particolare: effetti
dell’entrata in vigore della legge costituzionale n. 3/2001 sull’ordinamento
degli enti locali - 8. Effetti dell’entrata in vigore della legge
costituzionale n. 3/2001 sul sistema dei controlli negli enti locali:
l’abrogazione dell’art. 130 Cost. - 9. Effetti dell’entrata in vigore
della legge costituzionale n. 3/2001 sulla legge n. 59/1997 (legge Bassanini) e
sul d.lgs. n. 112/1998 sul decentramento amministrativo - 10. Conclusioni
1.
Premessa
Nel
dibattito che si è sviluppato negli ultimi tempi fra i giuristi e fra le
diverse forze politiche del nostro Paese in merito alla trasformazione in senso
federale dello Stato, un punto fermo è ormai rappresentato dalla recente
entrata in vigore della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante "Modifiche al titolo V
della parte seconda della Costituzione" (in G.U. n. 248 del 24
ottobre 2001 ed in vigore dall’8 novembre 2001), la cui applicazione, al di là
delle posizioni oscillanti fra federalismo minimo e federalismo massimo,
comporterà effetti significativi e profonde innovazioni nell’ordinamento
giuridico, soprattutto in quei settori di legislazione riguardanti le materie
rientranti, in base alla nuova formulazione dell’art. 117 della Costituzione,
come modificato dall’art. 3 della suddetta legge costituzionale n. 3/2001,
nella potestà legislativa delle Regioni.
Basti
pensare, in proposito, agli effetti che l’esercizio della potestà legislativa
delle Regioni in materie fin qui riservate alla potestà legislativa dello Stato
comporterà su testi normativi fondamentali del nostro ordinamento approvati
negli ultimi anni, quali, ad esempio, la legge sul procedimento amministrativo e
sul diritto di accesso ai documenti amministrativi (legge 7 agosto 1990, n.
241), la legge quadro in materia di lavori pubblici (legge 11 febbraio 1994, n.
109, come modificata dalla legge 18 novembre 1998, n. 415 – c.d. legge
Merloni-ter), il testo unico sul pubblico impiego, approvato con il
d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, recante "Norme generali sull’ordinamento
del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche" (in suppl. ord.
alla G.U. n. 106 del 9 maggio 2001), il testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali, approvato con il d.lgs. 18 agosto 2000, n.
267 (in suppl. ord. n. 162 alla G.U. n. 227 del 28 settembre 2000), o il
nuovo sistema dei controlli interni nelle pubbliche amministrazioni di cui al
d.lgs. 30 luglio 1999, n. 286, recante "Riordino e potenziamento dei
meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e
dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, a norma
dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59" (in G.U. n. 193
del 18 agosto 1999), o, da ultimo, il testo unico sull’edilizia.
Non
v’è dubbio, infatti, che per effetto dell’entrata in vigore della legge di
riforma costituzionale n. 3/2001, e dell’eventuale esercizio della potestà
legislativa regionale nelle materie ad essa riservate dal nuovo testo
dell’art. 117 Cost., settori fondamentali dell’ordinamento giuridico, fin
qui disciplinati in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale,
potrebbero essere disciplinati, in futuro, in maniera diversa da Regione a
Regione, sulla base di una specifica disciplina dettata dalla legislazione
regionale.
Nell’imminenza
dell’entrata in vigore della legge costituzionale n. 3/2001 (8 novembre 2001),
il dibattito sembra essersi incentrato, peraltro, sugli effetti della riforma
sulla normativa in materia di appalti pubblici (si veda, nel n. 10/2001 di
questa rivista, M. Greco, Prime
valutazioni in merito agli effetti della riforma costituzionale sulla normativa
in materia di appalti pubblici), o sul sistema dei controlli negli enti
locali, e segnatamente, sulla immediata, o meno, abrogazione del controllo di
legittimità del Coreco sugli atti degli enti locali per effetto della
abrogazione dell’art. 130 Cost. (si veda, sempre nel n. 10/2001 della rivista,
L. Oliveri, L’abrogazione
dei controlli sugli atti degli enti locali; A. Riccardo, Riforma
costituzionale e controllo sugli atti...ecc.; nonché, G. Virga, I
nuovi principi costituzionali non possono abrogare per implicito le disposizioni
delle leggi previgenti,
o sul destino riservato alla categoria dei segretari comunali alla luce della
possibilità delle Regioni di darsi una disciplina sull’ordinamento degli enti
locali difforme da quella prevista dal citato d.lgs. n. 267/2000 (si veda A.
Bianco, Il Sole 24 Ore del lunedì del 22 ottobre 2001, pag. 25).
Per
cogliere in tutta la loro portata gli effetti che le modifiche del titolo V
della seconda parte della Costituzione potranno avere sull’ordinamento
giuridico, e in particolare, su settori fondamentali della legislazione statale,
come il settore degli appalti, il settore del commercio, l’ordinamento
strutturale e funzionale della pubblica amministrazione, l’ordinamento degli
enti locali, e su altri settori fondamentali dell’ordinamento, occorre
considerare non tanto l’ambito di esercizio della potestà legislativa delle
Regioni, e cioè, le materie su cui le stesse possono legiferare alla luce del
nuovo testo dell’art. 117 Cost., quanto i limiti – sicuramente minori
rispetto a prima - che la stessa potestà legislativa regionale incontra nel
nuovo sistema legislativo delineato dalla legge di riforma n. 3/2001, nonché il
rapporto fra la legislazione regionale e la legislazione statale nelle materie
in cui sia lo Stato che le Regioni possono legiferare.
In
definitiva, per valutare adeguatamente gli effetti che la riforma costituzionale
potrà comportare in settori fondamentali dell’ordinamento, fin qui
disciplinati in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, e che in
futuro potrebbero essere disciplinati in maniera diversa da Regione a Regione
sulla base di una specifica disciplina dettata dalla legislazione regionale,
occorre prendere in considerazione i seguenti elementi:
a)
il nuovo ambito di esercizio della potestà legislativa delle Regioni rispetto a
quello precedentemente previsto, da valutare soprattutto alla luce delle materie
riservate alla legislazione esclusiva dello Stato;
b)
i limiti – sicuramente minori rispetto a prima - che la stessa potestà
legislativa delle Regioni incontra nel nuovo sistema legislativo delineato dalla
legge di riforma n. 3/2001, e l’ambito di esercizio della potestà legislativa
in cui alcuni di tali limiti hanno efficacia vincolante e quello in cui non ne
hanno;
c)
il rapporto fra la legislazione regionale e la legislazione statale nelle
materie in cui sia lo Stato che le Regioni possono legiferare;
d)
la soppressione del controllo obbligatorio sulle leggi regionali stabilita per
effetto della nuova formulazione dell’art. 127 della Costituzione prevista
dall’art. 8 della legge costituzionale n. 3/2001.
2.
La potestà legislativa delle Regioni nelle materie di cui al nuovo testo
dell’art. 117 della Costituzione
Così
individuati gli elementi da prendere in considerazione per valutare gli effetti
che l’entrata in vigore delle modifiche del titolo V della seconda parte della
Costituzione potrà avere su settori importanti dell’ordinamento, e
segnatamente, sulla legislazione statale attualmente vigente in particolari
settori, occorre, in primo luogo, verificare l’ambito di esercizio della
potestà legislativa delle Regioni alla luce del nuovo testo dell’art. 117
della Costituzione, come modificato dall’art. 3 della legge costituzionale n.
3/2001.
E’
indubbio che tale verifica debba essere fatta non solo mediante la ricognizione
(in positivo) delle materie riservate alla potestà legislativa concorrente
delle Regioni (art. 117, 3° comma, Cost., come modificato dall’art. 3 della
legge costituzionale n. 3/2001), ma anche mediante la ricognizione (in negativo)
delle materie riservate alla potestà legislativa dello Stato, nonché
attraverso la ricognizione dei limiti che la stessa potestà legislativa
regionale incontra all’interno e all’esterno dell’ordinamento nazionale.
Come
è noto, la riforma costituzionale operata con la legge n. 3/2001 ha inteso
realizzare nel nostro Paese una forma di federalismo – minimo o massimo a
seconda delle diverse posizioni – mediante l’attribuzione alle autonomie
territoriali di più ampi poteri legislativi e amministrativi rispetto a quelli
precedentemente previsti.
Allo
scopo di realizzare tale obiettivo, il legislatore costituente ha rovesciato, in
linea di massima, il criterio di ripartizione della potestà legislativa fra
Stato e Regioni previsto dal sistema previgente. Mentre prima, infatti, l’art.
117 della Costituzione si limitava ad indicare - positivamente - le sole materie
in cui la Regione poteva emanare norme legislative <<.. nei limiti dei
principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sempreché le norme
stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre
Regioni>> (vecchio testo dell’art. 117, comma 1, Cost.), riservando
implicitamente, con criterio residuale, alla legislazione esclusiva dello Stato
ogni altra materia non indicata fra le materie in cui le Regioni avevano potestà
legislativa concorrente, il nuovo testo dell’art. 117 Cost., come riscritto
dall’art. 3 della legge costituzionale n. 3/2001, rovesciando sostanzialmente
il criterio di ripartizione della potestà legislativa fra Stato e Regioni
precedentemente previsto, oltre ad indicare positivamente le materie riservate
alla potestà legislativa concorrente delle Regioni (nuovo testo dell’art.
117, 3° comma, Cost.), si è preoccupato di indicare positivamente le sole
materie riservate alla legislazione esclusiva dello Stato (nuovo testo
dell’art. 117, 2° comma, Cost.), da ritenere conseguentemente sicuramente
sottratte alla potestà legislativa delle Regioni, assegnando invece a
quest’ultima, con un criterio residuale che costituisce il vero punto di
svolta per la realizzazione di un ampio federalismo, <<la potestà
legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla
legislazione dello Stato>> (nuovo testo art. 117, 4° comma, Cost.,
come modificato dall’art. 3 della legge costituzionale n. 3/2001).
Ciò
premesso, iniziando dalla ricognizione delle materie riservate (positivamente)
alla potestà legislativa concorrente delle Regioni, va rilevato che il nuovo
testo dell’art. 117, 3° comma, Cost. stabilisce che <<sono materie
di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con
l’Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del
lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con
esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni;
ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori
produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione
civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di
trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e
integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza
pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e
ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di
risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di
credito fondiario e agrario a carattere regionale>> (art. 117, 3°
comma, Cost., come modificato dall’art. 3 della legge costituzionale n.
3/2001).
Essendo
in tali materie prevista una potestà legislativa concorrente delle Regioni, è
appena il caso di rilevare che su di esse possono legiferare sia le Regioni che
lo Stato, anche se, anticipando in parte il discorso sui limiti della potestà
legislativa delle Regioni, va detto che questa incontra, nelle suddette materie
di legislazione concorrente, il limite (negativo) e il vincolo (positivo) della <<determinazione
dei principi fondamentali>>, riservata alla legislazione dello Stato
ai sensi dell’ultima parte della stessa disposizione di cui al nuovo testo
dell’art. 117, 3° comma, Cost..
Ciò
è a dire che nelle suddette materie di legislazione concorrente, pur potendo le
Regioni legiferare in concorrenza con la potestà legislativa statale, comunque
non possono legiferare in materia di determinazione dei principi fondamentali
sulle materie stesse, essendo questa riservata – come si è detto - alla
potestà legislativa statale.
Non
a caso, peraltro, si è detto che la <<determinazione dei principi
fondamentali>> di cui al nuovo testo dell’art. 117, 3° comma, Cost..
costituisce <<limite>> (negativo) e <<vincolo>>
(positivo) per la legislazione regionale concorrente.
Invero,
la formulazione della norma sembrerebbe indurre a ritenere che "la
determinazione dei principi fondamentali" nelle materie di legislazione
concorrente sia solamente riservata alla potestà legislativa statale e
sottratta, conseguentemente, alla potestà legislativa delle Regioni, e che non
costituisca, invece, un limite positivo, o un vincolo, ad essa. In realtà, la ratio
della disposizione va rinvenuta proprio nella volontà del legislatore
costituente di fissare un limite positivo alla potestà legislativa concorrente
delle regioni, con conseguente obbligo per le Regioni stesse di uniformarsi,
nelle materie di legislazione concorrente, ai principi fondamentali determinati,
in tali materie, dalla legislazione statale. Ed infatti, in tanto può parlarsi
di "principi fondamentali" nelle materie di legislazione concorrente,
in quanto gli stessi siano destinati a disciplinare in maniera uniforme
determinati aspetti delle materie in questione sull’intero territorio
nazionale, e costituiscano, quindi, un vincolo per la potestà legislativa
concorrente delle Regioni, tenute, in ogni caso, alla loro osservanza per
esigenze di uniformità di disciplina sull’intero territorio nazionale.
Così
determinate – positivamente - le materie su cui le Regioni possono legiferare
in concorrenza con lo Stato, e il vincolo che in tali materie incontra la potestà
legislativa concorrente delle Regioni, ai fini della esatta definizione del
campo d’azione della stessa potestà legislativa regionale occorre altresì
operare una ricognizione delle materie che, in quanto riservate alla potestà
legislativa esclusiva dello Stato, sono sicuramente sottratte – in negativo
– alla potestà legislativa delle Regioni.
Ebbene,
il secondo comma dell’art. 117 Cost., come sostituito dall’art. 3 della
legge costituzionale n. 3/2001, stabilisce che <<lo Stato ha
legislazione esclusiva nelle seguenti materie:
a) politica estera e rapporti internazionali dello
Stato; rapporti dello Stato con l'Unione europea; diritto di asilo e condizione
giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea;
b) immigrazione;
c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni
religiose;
d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi,
munizioni ed esplosivi;
e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari;
tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile
dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie;
f) organi dello Stato e relative leggi elettorali;
referendum statali; elezione del Parlamento europeo;
g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello
Stato e degli enti pubblici nazionali;
h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della
polizia amministrativa locale;
i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;
l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento
civile e penale; giustizia amministrativa;
m) determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti
su tutto il territorio nazionale;
n) norme generali sull'istruzione;
o) previdenza sociale;
p) legislazione elettorale, organi di governo e
funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane;
q) dogane, protezione dei confini nazionali e
profilassi internazionale;
r) pesi, misure e determinazione del tempo;
coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione
statale, regionale e locale; opere dell'ingegno;
s) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni
culturali>> (art.
117, 2° comma, Cost., come modificato dall’art. 3 della legge costituzionale
n. 3/2001).
La
riserva di tali materie alla potestà legislativa esclusiva dello Stato
costituisce un sicuro limite alla potestà legislativa delle Regioni, essendo
chiaro che su tali materie le Regioni non possono legiferare. Pertanto, se
l’elencazione delle materie in cui è riconosciuta alle Regioni potestà
legislativa concorrente, di cui sopra si è detto, costituisce il primo punto di
riferimento – in positivo – nella definizione del campo d’azione della
potestà legislativa regionale, il limite della riserva delle suddette materie
alla potestà legislativa esclusiva dello Stato rappresenta un ulteriore punto
di riferimento – in negativo – nella ricostruzione dell’ambito di
esercizio della potestà legislativa regionale.
3.
La potestà legislativa residuale delle Regioni nelle materie non espressamente
riservate alla legislazione dello Stato
Al
di là di tali parametri, che costituiscono dei sicuri punti di riferimento
nella delimitazione dell’ambito di esercizio della potestà legislativa delle
Regioni, un ulteriore elemento fondamentale per l’esatta determinazione di
tale ambito è costituito dalla disposizione di cui all’art. 117, 4° comma,
Cost., come modificato dall’art. 3 della legge costituzionale n. 3/2001, la
quale stabilisce – come si è detto - che <<spetta alle Regioni la
potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata
alla legislazione dello Stato>> (art. 117, 4° comma, Cost., come
modificato dall’art. 3 della legge costituzionale n. 3/2001).
La
previsione di una <<potestà legislativa residuale>> alle Regioni
nelle materie non espressamente riservate alla legislazione dello Stato, pur
apparendo, a prima vista, una attribuzione "secondaria" di potestà
legislativa rispetto a quella costituita dalla esplicita elencazione delle
materie di legislazione regionale concorrente, ha una portata attributiva molto
più ampia rispetto a quest’ultima, in quanto amplia notevolmente – di fatto
- la sfera della potestà legislativa delle Regioni, e rappresenta, forse, il
vero punto di svolta per l’attuazione di quel "federalismo massimo"
invocato da tempo dalle autonomie locali e da alcune Regioni del Paese.
Da
parte di alcuni, peraltro, si sostiene che la potestà legislativa in parola sia
una potestà legislativa esclusiva delle regioni. In realtà, la norma si limita
ad affermare testualmente che <<spetta alle Regioni la potestà
legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla
legislazione dello Stato>>, ma non sembra attribuire alla Regioni una
potestà legislativa esclusiva sulle stesse materie, nel senso che sarebbe
contestualmente precluso allo Stato di legiferare su tali materie, atteso che
dal testo della norma non si ricava né l’affermazione di una potestà
legislativa esclusiva delle Regioni, né una preclusione della potestà
legislativa dello Stato sulle materie stesse.
Invero,
da una attenta analisi del sistema legislativo delineato dalla legge di riforma
costituzionale, e segnatamente dal nuovo testo dell’art. 117 Cost. come
modificato dalla legge costituzionale n. 3/2001, sembrerebbe di poter cogliere
la differenza fra la potestà legislativa concorrente delle regioni di cui al
comma 3, e la potestà legislativa delle stesse regioni di cui al comma 4 dello
stesso art. 117 nel fatto che mentre nell’esercizio della prima le Regioni
incontrano il limite della determinazione dei principi fondamentali della
materia, riservata alla legislazione dello Stato, e sono tenute al vincolo
dell’osservanza degli stessi principi fondamentali, nelle seconde tale limite
non sussiste, sicché si tratta di una potestà legislativa pur sempre
concorrente con quella dello Stato, ma <<pura>>, senza, cioè, il
vincolo della osservanza dei principi fondamentali della materia che sussiste
invece nelle materie di legislazione regionale concorrente
<<tipizzata>> di cui al comma 3 dell’art. 117 Cost.
Non
a caso, le materie di legislazione concorrente di cui al terzo comma dell’art.
117 Cost., in quanto soggette ad una disciplina più restrittiva rispetto a
quelle di cui al quarto comma dello stesso articolo sono indicate ed elencate
espressamente, e quindi tipizzate e determinate.
Tale
considerazione, peraltro, se da un lato, contribuisce a sgomberare il campo da
ogni residuo dubbio in merito alla natura della potestà legislativa residuale
delle regioni nelle materie non espressamente riservate alla legislazione dello
Stato, dall’altro, induce a ritenere che, pur non essendo tali materie
espressamente riservate alla legislazione statale, non è comunque precluso allo
Stato di legiferare su di esse in concorrenza con le Regioni.
In
forza della norma di cui sopra, pertanto, non solo le Regioni possono legiferare
in tutte le materie non espressamente riservate alla legislazione dello Stato,
prevedendo una propria disciplina in deroga a quella prevista dallo Stato, ma
anche lo Stato può prevedere una propria disciplina di carattere generale della
materia in concorrenza con quella delle Regioni, senza che questa comporti,
peraltro, alcuna limitazione alla potestà legislativa delle Regioni sulle
materie disciplinate.
In
definitiva, a parte l’ambito di estensione della potestà legislativa
residuale delle Regioni, può affermarsi che ciò che veramente caratterizza
questo tipo di potestà legislativa regionale e che ne fa la vera chiave di
svolta per l’affermazione di una effettiva autonomia delle Regioni rispetto
allo Stato, è il fatto che in tali materie, a differenza di quelle di
legislazione concorrente, la potestà legislativa delle Regioni non incontra il
limite (negativo) e il vincolo (positivo), nel senso anzidetto, dei
<<principi fondamentali della materia>>, la cui determinazione,
nelle materie di legislazione concorrente, è riservata alla legislazione dello
Stato.
Ciò
comporta, peraltro, una vera e propria rivoluzione culturale anche per noi
giuristi. Se finora siamo stati abituati a guardare ad alcune leggi o ad alcuni
testi di normazione statale come <<testi di riferimento della materia>>,
in quanto aventi efficacia sull’intero territorio nazionale, d’ora in avanti
dovremo abituarci a guardare a quegli stessi testi normativi come a testi
normativi di riferimento per il solo ambito statale, consapevoli del fatto che
la stessa materia ben può avere una disciplina diversa da Regione a Regione,
sulla base delle singole leggi regionali aventi ognuna efficacia nel rispettivo
ambito regionale.
E
questa – mi sia consentito affermare – oltre che la vera svolta per
l’affermazione del federalismo, costituisce la vera svolta del diritto
amministrativo nel nostro Paese, atteso che d’ora in avanti, ad esclusione
delle materie riservate alla legislazione esclusiva dello Stato ai sensi del
secondo comma del nuovo testo dell’art. 117 Cost., necessariamente
disciplinate in maniera uniforme sull’intero territorio nazionale, e delle
materie di legislazione concorrente di cui al terzo comma del nuovo testo dello
stesso art. 117 Cost., nelle quali, pur potendosi avere una disciplina
differenziata da Regione a Regione, comunque sarebbe possibile rinvenire una
disciplina comune dettata dai <<principi fondamentali della materia>>,
la cui determinazione è riservata alla legislazione dello Stato ai sensi
dell’ultima parte del terzo comma del nuovo testo dell’art. 117 Cost., in
tutte le altre materie (che sono, poi, la maggior parte!) potrebbe aversi una
disciplina completamente diversa da Regione a Regione, senza che la stessa sia
accomunata neppure dalla presenza di quei <<principi fondamentali della
materia>> che invece accomuna le materie di legislazione concorrente.
4.
I limiti della potestà legislativa regionale
Così
operata la ricognizione dell’ambito di esercizio della potestà legislativa
delle Regioni, per valutare adeguatamente gli effetti che il suo effettivo
esercizio potrebbe avere nell’ordinamento occorre, altresì, considerare i
limiti entro i quali essa può essere esercitata.
A
tale riguardo occorre rilevare come alcuni limiti alla potestà legislativa
delle Regioni sono posti dallo stesso art. 117 Cost., come modificato
dall’art. 3 della legge costituzionale n. 3/2001. Ed infatti, dal nuovo testo
dell’art. 117 Cost. possono ricavarsi i seguenti limiti:
a)
il rispetto della Costituzione (art. 117, 1° comma, Cost., come modificato
dall’art. 3 della legge costituzionale n. 3/2001);
b)
il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli
obblighi internazionali (art. 117, 1° comma, Cost., come modificato dall’art.
3 della legge costituzionale n. 3/2001);
c)
il limite (negativo) del rispetto della legislazione esclusiva dello Stato (art.
117, 2° comma, Cost., come modificato dall’art. 3 della legge costituzionale
n. 3/2001);
d)
il limite della determinazione dei principi fondamentali, riservata alla
legislazione dello Stato, con riferimento alle sole materie di legislazione
concorrente in cui le Regioni hanno potestà legislativa ai sensi dell’art.
117, 3° comma, Cost., come modificato dall’art. 3 della legge costituzionale
n. 3/2001.
Va
sin d’ora precisato, peraltro, che, sulla base di quanto sopra si è detto, il
limite (negativo) della determinazione dei principi fondamentali della materia,
e il vincolo (positivo) di osservanza degli stessi principi fondamentali, vale
per la sola potestà legislativa concorrente delle Regioni e con riferimento
alle sole materie di legislazione concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.), e
non anche per la potestà legislativa residuale delle Regioni nelle materie non
espressamente riservate alla legislazione dello Stato (art. 117, quarto comma,
Cost.), per la quale valgono, in ogni caso, i limiti del rispetto della
Costituzione (art. 117, primo comma, Cost.), del rispetto dei vincoli derivanti
dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali (art. 117, primo
comma, Cost.), e del rispetto della legislazione esclusiva dello Stato (art.
117, secondo comma, Cost., come modificato dall’art. 3 della legge
costituzionale n. 3/2001).
4.1.
I limiti della potestà legislativa regionale: a) il rispetto della Costituzione
(art. 117, 1° comma, Cost., come modificato dall’art. 3 della legge
costituzionale n. 3/2001)
Fra
i limiti che l’esercizio della potestà legislativa delle Regioni incontra
viene in rilievo, in primo luogo, il rispetto della Costituzione.
L’art.
117, primo comma, della Costituzione, come modificato dall’art. 3 della legge
costituzionale n. 3/2001 stabilisce, infatti, che <<la potestà
legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della
Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli
obblighi internazionali>>.
Il
limite del rispetto della Costituzione, comune sia alla potestà legislativa
dello Stato che alla potestà legislativa, sia concorrente che residuale, delle
Regioni, deriva dalla posizione sovraordinata che la Costituzione e le norme
costituzionali occupano nella gerarchia delle fonti rispetto agli atti di
normazione primaria, quali sono, appunto, le leggi statali e le leggi regionali.
Alla
luce di tale limite, quindi, tutte le leggi dello Stato e delle Regioni devono
uniformarsi – come è noto – al contenuto delle norme della Costituzione,
pena la possibile declaratoria di illegittimità costituzionale che la Corte
Costituzionale potrebbe pronunciare in un eventuale giudizio di costituzionalità
ai sensi dell’art. 134 della Costituzione.
4.2.
I limiti della potestà legislativa regionale: b) il rispetto dei vincoli
derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali (art.
117, 1° comma, Cost., come modificato dall’art. 3 della legge costituzionale
n. 3/2001)
Oltre
al rispetto della Costituzione, un ulteriore limite posto alla potestà
legislativa delle Regioni dal nuovo testo dell’art. 117, primo comma, della
Costituzione, è costituito dal rispetto <<.. dei vincoli derivanti
dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali>>.
La
previsione del rispetto di tali vincoli da parte della potestà legislativa
regionale, non prevista nel previgente testo dell’art. 117 Cost., si
giustifica in ragione della nuova posizione che le Regioni vengono ad assumere
nel nuovo ordinamento di tipo federale che – checché se ne dica – la
riforma costituzionale ha inteso disegnare.
Nel
nuovo assetto costituzionale che la legge n. 3/2001 ha delineato, infatti, la
Regione, divenuta il baricentro nella tutela degli interessi pubblici fra lo
Stato e l’ordinamento comunitario ed internazionale da un lato, e le autonomie
locali dall’altro, rappresenta ormai l’ente di riferimento principale per la
disciplina legislativa della maggior parte delle materie (ad esclusione delle
sole materie riservate alla legislazione esclusiva dello Stato), in relazione
alle quali appare giustificabile una disciplina differenziata nelle diverse aree
del Paese, anche al fine di garantire alle stesse Regioni la massima autonomia
possibile e di cogliere tutte le potenzialità economiche e sociali di cui sono
capaci.
A
conferma di tale ruolo e della autonoma rilevanza che le Regioni hanno assunto
nell’ordinamento comunitario ed internazionale sta il fatto che nel nuovo
sistema delineato dalla riforma costituzionale viene ad esse riconosciuta, ad
esempio, potestà legislativa concorrente in materia di <<rapporti
internazionali e con l’Unione europea delle Regioni>> e in materia di
<<commercio con l’estero>> (art. 117, terzo comma, Cost., come
modificato dall’art. 3 della legge costituzionale n. 3/2001), come pure viene
ad esse riconosciuta la possibilità di partecipare, nelle materie di loro
competenza, <<alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi
comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi
internazionali e degli atti dell’Unione europea (..)>> (art. 117, quinto
comma, Cost., come modificato dall’art. 3 della legge costituzionale n.
3/2001),
Il
riconoscimento della potestà legislativa concorrente nelle suddette materie e
il nuovo ruolo delle Regioni delineato dalla riforma costituzionale, pur
conferendo alle stesse una autonoma rilevanza nell’ordinamento comunitario ed
internazionale, quanto meno in determinate materie, non valgono, tuttavia, a
conferire ad esse una autonoma soggettività sul piano dell’ordinamento
internazionale.
In
considerazione di ciò, fermo restando il nuovo ruolo delineato dalla riforma
costituzionale, che presenta aspetti sicuramente innovativi rispetto al
precedente ordinamento, le Regioni sono comunque tenute osservare i vincoli
derivanti, da un lato, dall’appartenenza alla comunità nazionale, e
dall’altro, dall’appartenenza all’ordinamento comunitario europeo e
all’ordinamento internazionale.
In
definitiva, pur avendo acquisito le Regioni una autonoma rilevanza sul piano
internazionale, quanto meno in determinate materie, la potestà legislativa
regionale va, in ogni caso, esercitata nel rispetto, fra l’altro, <<dei
vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi
internazionali>> (art. 117, 1° comma, Cost., come modificato dall’art.
3 della legge costituzionale n. 3/2001). Del resto sarebbe impensabile un
riconoscimento alle Regioni del potere di disattendere gli impegni
internazionali e i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli
obblighi internazionali che invece valgono per lo Stato.
4.3.
I limiti della potestà legislativa regionale: c) il limite (negativo) del
rispetto della legislazione esclusiva dello Stato (art. 117, 2° comma, Cost.,
come modificato dall’art. 3 della legge costituzionale n. 3/2001)
Un
ulteriore limite negativo alla potestà legislativa delle Regioni è costituito
– come si è già avuto modo di anticipare - dal rispetto della legislazione
esclusiva dello Stato. Come si è detto, infatti, le materie indicate nel nuovo
testo dell’art. 117, 2° comma, Cost., essendo riservate alla potestà
legislativa esclusiva dello Stato, sono sicuramente sottratte – in negativo
– alla potestà legislativa delle Regioni.
Peraltro,
la riserva di tali materie alla potestà legislativa esclusiva dello Stato ha
una duplice valenza, negativa e positiva. Per quanto possa sembrare una
precisazione superflua, infatti, va detto che in forza della riserva di tali
materie alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, non solo le materie
stesse sono sottratte alla potestà legislativa delle Regioni, nel senso che non
rientrano nella loro potestà legislativa (valenza negativa), ma è addirittura
precluso ad esse di legiferare in tali materie (valenza positiva del limite).
4.4.
I limiti della potestà legislativa regionale: d) il limite della determinazione
dei principi fondamentali nelle materie di legislazione concorrente in cui le
Regioni hanno potestà legislativa (art. 117, 3° comma, Cost., come modificato
dall’art. 3 della legge costituzionale n. 3/2001)
Il
nuovo testo dell’art. 117 Cost. stabilisce, al terzo comma, che <<nelle
materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa,
salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla
legislazione dello Stato>>. Come si è già posto in evidenza, il limite
ha una duplice valenza (negativa e positiva), in quanto esso sta a significare
non solo che la determinazione dei principi fondamentali nelle materie di
legislazione concorrente è riservata alla legislazione dello Stato, e quindi
sottratta alla potestà legislativa delle Regioni, nel senso che queste ultime
non possono legiferare al riguardo (valenza negativa), ma anche che tali
principi costituiscono limite – e vincolo - inderogabile per la potestà
legislativa concorrente delle Regioni (valenza positiva della riserva alla
legislazione statale).
Come
si è detto, infatti, in tanto può parlarsi di "principi
fondamentali" nelle materie di legislazione concorrente, in quanto tali
principi siano destinati a costituire limite e vincolo per la potestà
legislativa concorrente delle Regioni al fine di disciplinare in maniera
uniforme determinati aspetti delle materie in questione sull’intero territorio
nazionale. In altre parole, i principi fondamentali nelle materie di
legislazione concorrente delle Regioni, determinati dalla legislazione statale,
costituiscono, al pari della legge quadro prevista nel previgente sistema, un
vincolo per la stessa potestà legislativa concorrente delle Regioni, le quali,
pur potendo certamente legiferare nelle stesse materie in concorrenza con la
legislazione statale, e pur potendo legiferare in maniera difforme rispetto alla
concorrente disciplina legislativa statale, per esigenze di uniformità di
disciplina sull’intero territorio nazionale, sono tenute, in ogni caso, alla
osservanza dei <<principi fondamentali della materia>>, la cui
determinazione spetta, appunto, alla legislazione dello Stato (valenza
positiva).
Peraltro,
pur essendo la nozione di <<principio fondamentale della materia>>
facilmente identificabile sul piano concettuale, non altrettanto facile potrebbe
essere la sua concreta identificazione, dal momento che si tratterà di
stabilire di volta in volta, con riferimento al caso di specie, e cioè, nelle
diverse materie di legislazione concorrente, quali siano <<i principi
fondamentali della materia>>, ovvero quando determinati aspetti della
disciplina della materia assumano il rilievo e la valenza, ai fini che qui ne
occupa, di <<principi fondamentali della materia>>.
Il
problema, invero, non sussiste allorché è la stessa legge a qualificare
determinati aspetti della disciplina della materia come <<principi
fondamentali>> (qualificazione formale, o legislativa), o allorché è la
stessa legge statale a qualificarsi come <<legge quadro>> nella
materia, secondo quanto avveniva anche nel sistema di legislazione concorrente
previgente. Più difficile sarà, invece, nel silenzio della legge sul punto,
stabilire, sul piano sostanziale, quando un determinato aspetto della materia
assuma il rilievo e la valenza di <<principio fondamentale della
materia>>, sì da costituire limite e vincolo per la legislazione
concorrente delle Regioni sulla stessa materia.
A
tale fine, invero, un ruolo fondamentale sarà svolto indubbiamente dalla
dottrina e dalla giurisprudenza, e soprattutto, dalla giurisprudenza
costituzionale, la quale – si presume – sarà spesso chiamata a stabilire
quando un principio o un determinato aspetto di una materia, affermato dalla
legislazione dello Stato, abbia valenza di <<principio fondamentale della
materia>>, e costituisca, quindi, limite e vincolo per la legislazione
concorrente delle Regioni sulla stessa materia.
Fermo
restando quanto fin qui detto, al fine di valutare adeguatamente gli effetti che
la riforma costituzionale avrà su ampi settori della legislazione statale, e di
definire il giusto rapporto fra legislazione statale e legislazione regionale,
va ribadito e posto in evidenza che il limite (negativo) della determinazione
dei principi fondamentali della materia, e il vincolo (positivo) di osservanza
degli stessi principi fondamentali, nel senso dianzi precisato, vale per la sola
potestà legislativa concorrente delle Regioni e con riferimento alle sole
materie di legislazione concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.), e non anche
per la potestà legislativa residuale delle Regioni nelle materie non
espressamente riservate alla legislazione dello Stato (art. 117, quarto comma,
Cost.), per la quale valgono – come si è detto - i soli limiti del rispetto
della Costituzione (art. 117, primo comma, Cost.), del rispetto dei vincoli
derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali (art.
117, primo comma, Cost.), e del rispetto della legislazione esclusiva dello
Stato (art. 117, secondo comma, Cost., come modificato dall’art. 3 della legge
costituzionale n. 3/2001).
4.5.
I limiti previsti dal vecchio testo dell’art. 117 della Costituzione: a) i
principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato; b) l’interesse
nazionale e quello di altre Regioni
Sempre
a proposito di limiti alla potestà legislativa regionale va detto, peraltro,
che l’osservanza dei <<principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello
Stato>> era prevista come vincolo per la potestà legislativa concorrente
della regioni anche dal vecchio testo dell’art. 117 Cost., il quale,
nell’indicare le materie nelle quali la Regione poteva emanare norme
legislative, stabiliva che comunque tali norme potevano essere emanate
<<nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato
(..)>>.
Non
è stato invece riprodotto nel nuovo testo dell’art. 117 Cost. il limite,
previsto dal testo previgente dello stesso art. 117, rappresentato
dall’interesse nazionale e dall’interesse di altre Regioni.
Come
è noto, il vecchio testo dell’art. 117 Cost., nell’indicare – come si è
detto - le materie nelle quali la Regione poteva emanare norme legislative in
concorrenza con la potestà legislativa statale, stabiliva che comunque tali
norme potevano essere emanate <<nei limiti dei principi fondamentali
stabiliti dalle leggi dello Stato, sempreché le norme stesse non siano in
contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre Regioni
(..)>>.
Pur
non essendo esplicitamente ribadito nel nuovo sistema di legislazione
concorrente delle Regioni delineato dalla legge di riforma costituzionale n.
3/2001, il suddetto limite del rispetto dell’interesse nazionale e
dell’interesse di altre Regioni deve comunque ritenersi sussistente. Ed
infatti, il nuovo testo dell’art. 127 Cost., come sostituito dall’art. 8
della legge di riforma costituzionale n. 3/2001, stabilisce, al primo comma, che
<<il Governo, quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza
della Regione, può promuovere la questione di legittimità costituzionale
dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla sua
pubblicazione>> (art. 127, primo comma, Cost. come sostituito dall’art.
8 della legge costituzionale n. 3/2001). Il secondo comma dello stesso art. 127
Cost. stabilisce, poi, che <<la Regione, quando ritenga che una legge o un
atto avente valore di legge dello Stato o di un’altra Regione leda la sua
sfera di competenza, può promuovere la questione di legittimità costituzionale
dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla pubblicazione
della legge o dell’atto avente valore di legge>> (art. 127, secondo
comma, Cost. come sostituito dall’art. 8 della legge costituzionale n.
3/2001).
Alla
luce di tale previsione, il limite del rispetto dell’interesse nazionale e di
quello di altre Regioni, anche se in maniera implicita, deve ritenersi comunque
sussistente. Esso, pertanto, continua ad essere un limite per la potestà
legislativa concorrente delle Regioni sulla falsariga di quanto già
espressamente stabilito dal precedente sistema di legislazione concorrente delle
Regioni previsto dal vecchio testo dell’art. 117 Cost.
5.
L’entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3: effetti
sulla normativa vigente
Così
ricostruito il nuovo sistema di ripartizione della potestà legislativa fra lo
Stato e le Regioni e, in particolare, l’ambito di esercizio della potestà
legislativa regionale delineati dalla legge di riforma costituzionale n. 3/2001,
ed individuati i limiti che questa incontra nel suo concreto esercizio, si hanno
tutti gli elementi per valutare adeguatamente gli effetti che la riforma
potrebbe avere sulla normativa statale attualmente vigente in settori
fondamentali, quali, ad esempio, quello dell’ordinamento degli enti locali.
Come
si è detto, l’effetto veramente innovativo che l’entrata in vigore della
legge di riforma costituzionale comporterà per studiosi, operatori della
pubblica amministrazione ed operatori del diritto in genere, è costituito dal
fatto che mentre finora alcuni testi normativi fondamentali dello Stato, quali,
ad esempio, la legge sul procedimento amministrativo e sul diritto di accesso ai
documenti amministrativi (legge 7 agosto 1990, n. 241), la legge quadro in
materia di lavori pubblici (legge 11 febbraio 1994, n. 109, come modificata
dalla legge 18 novembre 1998, n. 415 – c.d. legge Merloni-ter), il
testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con il
d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (in suppl. ord. n. 162 alla G.U. n. 227 del
28 settembre 2000), o il nuovo sistema dei controlli interni nelle pubbliche
amministrazioni di cui al d.lgs. 30 luglio 1999, n. 286 (pubblicato in G.U.
n. 193 del 18 agosto 1999), il "Testo unico delle disposizioni legislative
e regolamentari in materia di documentazione amministrativa" approvato con
il d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (in suppl. ord. n. 30/L alla G.U. n. 42
del 20 febbraio 2001), il testo unico sul pubblico impiego, approvato con il
d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, (in suppl. ord. alla G.U. n. 106 del 9
maggio 2001), o, da ultimo, il testo unico sull’edilizia, disciplinavano le
rispettive materie in maniera uniforme sull’intero territorio nazionale,
d’ora in avanti, per effetto della possibilità delle Regioni di darsi, pur
nel rispetto dei limiti anzidetti, una propria legge sulle stesse materie, i
testi normativi di cui sopra non avranno più quella portata e quella valenza di
carattere generale ad essi fin qui riconosciute – di fatto -
dall’ordinamento e dagli operatori di diritto.
In
definitiva, in tutte le materie in cui è prevista la possibilità per la
Regioni di legiferare, sia in forza della potestà legislativa concorrente di
cui al terzo comma dell’art. 117 Cost. che in forza della potestà legislativa
residuale di cui al quarto comma dell’art. 117 Cost., e cioè, in tutte le
materie, con la sola esclusione di quelle riservate alla legislazione esclusiva
dello Stato ai sensi del secondo comma dell’art. 117, Cost., potrà aversi,
d’ora in avanti, una disciplina legislativa dello Stato e una disciplina
legislativa delle Regioni.
Ciò
è a dire che mentre finora determinate materie, come quelle disciplinate dai
testi normativi sopra ricordati, avevano una disciplina uniforme nell’intero
ordinamento nazionale, e quindi sull’intero territorio nazionale, d’ora in
avanti le stesse materie potranno avere una disciplina differenziata da Regione
a Regione, o a seconda che si riferiscano a fatti, atti, uffici o fattispecie
riguardanti lo Stato, o a fatti, atti, uffici o fattispecie riguardanti le
Regioni.
E
così, alla luce della potestà legislativa delle Regioni in materia, non è da
escludere, per il futuro, che accanto - ed in alternativa! - alla disciplina
della documentazione amministrativa o alla disciplina del lavoro alle dipendenze
delle amministrazioni pubbliche previste, rispettivamente, dal "Testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione
amministrativa" approvato con il d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, o
dal testo unico sul pubblico impiego, approvato con il d.lgs. 30 marzo 2001, n.
165, si abbiano, nelle diverse Regioni dello Stato, delle specifiche leggi
regionali che disciplinano in maniera diversa da Regione a Regione le stesse
materie di cui ai riferiti testi normativi statali.
6.
Il principio di autocompletamento dell’ordinamento e la funzione suppletiva
della legislazione statale
Alla
luce di tale evenienza viene da chiedersi quale sarà l’efficacia della
legislazione statale di cui ai testi normativi sopra ricordati.
In
proposito, va considerato che per effetto della riforma costituzionale, pur
avendo d’ora in avanti le Regioni il potere di darsi una propria disciplina
legislativa concorrente, o alternativa, rispetto a quella dello Stato in tutte
le materie in cui è ad esse riconosciuta potestà legislativa - concorrente o
residuale – non è detto che esse si diano subito una propria disciplina
legislativa in tali materie, in alternativa a quella statale.
In
considerazione di ciò, fino a quando le Regioni non avranno provveduto a darsi
una propria disciplina legislativa in tali materie, in forza del principio di
autocompletamento dell’ordinamento giuridico, la legislazione statale
continuerà comunque a svolgere nelle stesse materie una <<funzione
suppletiva>> in virtù del fatto che essa, a differenza della legislazione
regionale, ha efficacia sull’intero territorio nazionale.
Né
può dirsi che le materie non riservate alla legislazione esclusiva dello Stato,
in cui spetta alle Regioni la potestà legislativa residuale ai sensi del quarto
comma dell’art. 117 Cost., non possono essere oggetto di disciplina da parte
della legislazione statale, poiché – come si è detto – pur non essendo
queste riservate alla legislazione esclusiva dello Stato non è comunque
precluso allo Stato di legiferare su di esse. La vera differenza, come si è
detto, è che, a differenza di quanto avviene nelle materie di legislazione
concorrente, nelle materie di legislazione residuale non opera per la potestà
legislativa regionale il vincolo dei principi fondamentali fissati dalla legge
dello Stato, potendo tali principi essere determinati solo nelle materie di
legislazione concorrente ai sensi del terzo comma dell’art. 117 Cost.
Pertanto,
potendo lo Stato comunque legiferare anche nelle materie non riservate ad esso
in via esclusiva, fino a quando le Regioni non si saranno date una propria
disciplina, continuerà a trovare applicazione la legislazione statale in
materia, senza che questa comporti, peraltro, alcun vincolo di osservanza dei
<<principi fondamentali della materia>> allorché le Regioni
dovessero provvedere a darsi una propria disciplina legislativa in materia.
Vincolo
di osservanza dei <<principi fondamentali della materia>> che invece
la potestà legislativa delle Regioni incontra nelle di legislazione concorrente
di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost., come modificato dall’art. 3 della
legge costituzionale n. 3/2001, la quale va esercitata, come si è detto sopra,
nel rispetto dei principi fondamentali della materia determinati dalla
legislazione dello Stato.
Il
problema, invero, consisterà, per l’interprete – e soprattutto per il
giudice delle leggi - nello stabilire quando una determinata disposizione di una
legge dello Stato assuma la valenza di <<principio fondamentale>>, sì
da costituire limite – e vincolo -, per la legislazione concorrente delle
Regioni. Problema, peraltro, che non sussiste, allorquando è la stessa legge
dello Stato a qualificare le norme in essa contenute come <<principi
fondamentali della materia>>.
7.
In particolare: effetti dell’entrata in vigore della legge costituzionale n.
3/2001 sull’ordinamento degli enti locali
In
considerazione di quanto si è fin qui detto, non v’è dubbio che l’entrata
in vigore della legge di riforma costituzionale n. 3/2001 comporterà effetti
assai significativi anche sull’ordinamento degli enti locali, il quale, dopo
una stagione di grandi riforme in cui è stato interessato da una produzione
legislativa assai spesso schizofrenica, sembrava aver trovato un definitivo
riordino e un punto di arrivo con l’approvazione, poco più di un anno fa, del
testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con il
d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267. Ma l’ordinamento degli enti locali sembra
essere una materia destinata a non trovare pace. Dopo poco più di un anno
dall’approvazione del testo unico, tutto sembra rimesso in discussione dalla
possibilità per le Regioni di darsi una propria legge regionale per
disciplinare la materia, a aspetti particolari di essa, in ambito regionale.
Sulla
base della ricognizione del nuovo sistema di legislazione regionale delineato
dalla recente riforma costituzionale, d’ora in avanti sull’ordinamento degli
enti locali possono legiferare sia lo Stato, con legge di carattere generale
avente una efficacia <<potenzialmente>> e virtualmente estesa a
tutto il territorio nazionale, sia le Regioni con una propria legge regionale,
per disciplinare l’ordinamento degli enti locali, o aspetti particolari
dell’ordinamento stesso, in ambito regionale. Di qui l’esigenza, per
l’interprete, di stabilire il giusto rapporto intercorrente, in materia, fra
la legislazione statale e la legislazione regionale, problema questo, attraverso
la cui soluzione passa anche il destino del citato testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali approvato con il d.lgs. 18 agosto 2000, n.
267. Non è da escludere, infatti, che, nella ipotesi in cui la legge regionale
disciplini soltanto determinati aspetti dell’ordinamento degli enti locali,
trovi applicazione per tali aspetti la legge regionale, e la legge dello Stato,
e cioè, il testo unico di cui al d.lgs. n. 267/2000, per gli altri aspetti non
ancora disciplinati dalla legislazione regionale.
Già
nell’imminenza dell’entrata in vigore della legge di riforma costituzionale
n. 3/2001, o subito dopo, molti operatori degli enti locali, rappresentanti di
categoria e studiosi della materia si sono affrettati nel pronunciare il de
profundis per il testo unico e per le norme in esso stabilite, ritenendole
ormai superate a fronte della possibilità per le Regioni di darsi una propria
disciplina della materia. Di talché sembravano – e secondo alcuni sembrano !
– destinate ad essere poste in archivio, in quanto già abrogate, le norme sui
controlli e i Coreco, le norme sui segretari comunali o le norme su altri
aspetti fondamentali dell’ordinamento degli enti locali. In realtà, pur
potendo d’ora in avanti le Regioni certamente darsi una propria disciplina in
materia, le cose non stanno proprio in questi termini.
Al
riguardo, la prima considerazione che si impone, sulla base di quanto sopra si
è detto, è che la materia dell’ordinamento delle autonomie locali non
rientra né fra le materie di legislazione concorrente di cui al terzo comma
dell’art. 117 Cost., né fra quelle riservate alla legislazione esclusiva
dello Stato ai sensi del secondo comma dell’art. 117 Cost., come modificato
dall’art. 3 della legge costituzionale n. 3/2001. Del resto, nel contesto
della realizzazione di una sorta di federalismo (minimo o massimo che sia), che
aveva fra i suoi obiettivi dichiarati quello del riconoscimento di una maggiore
autonomia per gli enti territoriali e per gli enti locali, l’ordinamento degli
enti locali non poteva certamente essere materia di legislazione concorrente, e
meno che mai materia riservata alla legislazione esclusiva dello Stato.
Sicuramente
sottratta alla potestà legislativa delle Regioni, in quanto riservata alla
legislazione esclusiva dello Stato in base all’art. 117, 2° comma, lett.
p), della Costituzione, è, peraltro, la materia relativa alla legislazione
elettorale, agli organi di governo e alle funzioni fondamentali di Comuni,
Province e Città metropolitane (art. 117, 2° comma, lett. p), Cost.,
come modificato dall’art. 3 della legge costituzionale n. 3/2001).
Ad
esclusione di tali materie, ogni altro aspetto dell’ordinamento degli enti
locali, non essendo ricompreso fra le materie riservate alla legislazione
esclusiva dello Stato, o fra le materie di legislazione concorrente indicate nel
terzo comma dell’art. 117 Cost., deve ritenersi ricompreso fra le altre
materie che, in quanto non espressamente riservate alla legislazione dello
Stato, sono attribuite alla potestà legislativa residuale delle Regioni ai
sensi del quarto comma dell’art. 117 Cost., come modificato dall’art. 3
della legge costituzionale n. 3/2001.
Tuttavia,
sulla base di quanto sopra si è detto, pur non essendo la materia
dell’ordinamento degli enti locali riservata alla legislazione esclusiva dello
Stato, e pur dovendosi conseguentemente ritenere attribuita alla potestà
legislativa residuale delle Regioni ai sensi del quarto comma dell’art. 117
Cost., non è affatto precluso allo Stato di legiferare su di esso. Da tale
considerazione consegue che per effetto della entrata in vigore della legge
costituzionale n. 3/2001 e della conseguente attribuzione della materia
dell’ordinamento degli enti locali alla potestà legislativa residuale delle
Regioni ai sensi del quarto comma dell’art. 117 Cost., non ne deriva una
automatica caducazione del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti
locali, approvato con il d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, il quale, sulla base di
quanto sopra si è detto, avendo <<potenzialmente e virtualmente>>
efficacia sull’intero territorio nazionale, in forza del principio di
autocompletamento dell’ordinamento giuridico, continuerà a svolgere, in
materia, quella <<funzione suppletiva>> di cui sopra si è detto in
tutti quegli ambiti territoriali regionali delle Regioni che non avranno
provveduto a darsi una propria disciplina legislativa in materia, ad esclusione
degli ambiti regionali delle Regioni che si saranno invece date una propria
disciplina legislativa.
Ciò
è a dire che d’ora in avanti, il testo unico delle leggi sull’ordinamento
degli enti locali approvato con il d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, al pari degli
altri testi della legislazione statale innanzi menzionati, avrà una efficacia
territoriale <<relativa>>, limitata solo alle Regioni che non si
saranno date una propria disciplina legislativa in materia.
Una
ulteriore riflessione si impone, peraltro, in merito ai rapporti fra
legislazione statale e legislazione regionale in tali materie, e cioè nelle
materie diverse da quelle di legislazione concorrente e non attribuite alla
legislazione esclusiva dello Stato, e quindi attribuite alla potestà
legislativa delle Regioni che abbiamo definito <<residuale>>.
Va
detto, infatti, che i principi fissati dalla legislazione statale in tali
materie, pur non essendo certamente vincolanti per la potestà legislativa delle
Regioni, essendo questi vincolanti solo nelle materie di legislazione
concorrente, costituiscono pur sempre dei punti di riferimento della materia che
non possono essere disattesi a cuor leggero, perché costituiscono pur sempre
– di fatto – i principi fondamentali della materia.
Ed
infatti, al di là di ogni qualificazione <<formale>> di determinati
aspetti della materia come <<principi fondamentali della materia>>,
nel senso sopra indicato, non è detto che altri aspetti non possano comunque
assurgere a livello di <<principi fondamentali della materia>> per
effetto della elaborazione della dottrina, della giurisprudenza o della stessa
legislazione.
Non
è da escludere, infatti, che anche nelle materie attribuite da quelle di
legislazione concorrente e non attribuite alla legislazione esclusiva dello
Stato, e quindi attribuite alla potestà legislativa delle Regioni che abbiamo
definito <<residuale>>, possa essere la stessa legge statale a
definire alcuni aspetti della materia come <<principi>>. E’
proprio il caso, ad esempio, del testo unico delle leggi sull’ordinamento
degli enti locali approvato con il d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, il quale
stabilisce testualmente, all’art. 1, comma 1, che <<il presente testo
unico contiene i principi e le disposizioni in materia di ordinamento degli enti
locali>> (art. 1, comma 1, testo unico di cui al d.lgs. n. 267/2000). Alla
luce di tale affermazione, le disposizioni del testo unico degli enti locali
sono qualificate espressamente dal legislatore come principi fondamentali in
materia di ordinamento degli enti locali.
In
tal caso, pur non avendo tali principi quella efficacia vincolante per la potestà
legislativa regionale che i <<principi fondamentali della materia>>
hanno nelle materie di legislazione concorrente ai sensi del terzo comma
dell’art. 117 Cost., non v’è dubbio che essi, pur non avendo una efficacia
vincolante formale, rappresentino pur sempre, sul piano sostanziale, i principi
fondamentali della materia che il legislatore regionale dovrebbe tenere comunque
presente.
8.
Effetti dell’entrata in vigore della legge costituzionale n. 3/2001 sul
sistema dei controlli negli enti locali: l’abrogazione dell’art. 130 Cost.
Un
discorso a parte merita il tema dei controlli.
Al
riguardo, fermo restando quanto fin qui detto in ordine al rapporto fra
legislazione statale e legislazione regionale, deve considerarsi che il problema
della sopravvivenza o meno del sistema dei controlli negli enti locali dopo
l’entrata in vigore della legge di riforma costituzionale n. 3/2001 va
affrontato e risolto alla luce della abrogazione dell’art. 130 Cost. da parte
dell’art. 9, comma 2, della stessa legge costituzionale n. 3/2001.
Tuttavia,
contrariamente a quanto affermato da alcuni fra i primi commentatori della legge
di riforma costituzionale (Oliveri), non si ritiene che il sistema dei controlli
negli enti locali, e segnatamente, il controllo di legittimità del Coreco sugli
atti degli enti locali, debba considerarsi automaticamente abolito per effetto
della abrogazione dell’art. 130 Cost. da parte dell’art. 9, comma 2, della
legge costituzionale n. 3/2001.
In
proposito occorre considerare, infatti, che il venir meno nell’ordinamento
della norma di cui all’art. 130 Cost., che costituiva la fonte di rango
costituzionale della previsione, da parte della legge ordinaria, del
<<controllo di legittimità sugli atti delle Province, dei Comuni e degli
altri enti locali>>, non determina affatto il venir meno della stessa
legge ordinaria che tale controllo prevede e disciplina. Infatti, come è stato
giustamente osservato in dottrina fra i primi commentatori della legge n. 3/2001
(Virga, Italia), il controllo di legittimità del Coreco sugli atti degli enti
locali non è venuto meno automaticamente per effetto della abrogazione
dell’art. 130 Cost. da parte dell’art. 9, comma 2, della legge
costituzionale n. 3/2001.
Il
controllo di legittimità del Coreco sugli atti degli enti locali, pur essendo
ora virtualmente incostituzionale, non tanto perché in contrasto con la
Costituzione, ma perché mancante della necessaria norma di riferimento
costituzionale (si tratterebbe, in altre parole, di illegittimità
costituzionale non contra legem ma praeter legem), potrà
ritenersi abolito solo per effetto della eventuale dichiarazione di illegittimità
costituzionale da parte della Corte Costituzionale delle disposizioni del testo
unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al d.lgs. n.
267/2000 da cui è previsto, a seguito della remissione allo stesso giudice
delle leggi della relativa questione di legittimità costituzionale nel corso di
un eventuale giudizio riguardante la legittimità di un atto sottoposto al
controllo di legittimità da parte del Coreco, o per effetto della approvazione,
da parte delle Regioni, di una legge regionale che abroghi esplicitamente o
implicitamente le suddette disposizioni del testo unico degli enti locali di cui
al d.lgs. n. 267/2000 relative al controllo in questione.
Fino
a quando non saranno dichiarate incostituzionali dalla Corte Costituzionale o
non saranno abrogate esplicitamente o implicitamente ai sensi dell’art. 15
delle disposizioni sulla legge in generale (le c.d preleggi), le disposizioni
del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al
d.lgs. n. 267/2000 relative al controllo di legittimità del Coreco sugli atti
degli enti locali continueranno a trovare applicazione in virtù di quella vis
espansiva e di quella <<funzione suppletiva>> nell’ordinamento
che la legislazione statale viene ad assumere, sulla base di quanto sopra si è
detto, nel nuovo sistema di legislazione delineato dalla recente riforma
costituzionale.
9.
Effetti dell’entrata in vigore della legge costituzionale n. 3/2001 sulla
legge n. 59/1997 (legge Bassanini) e sul d.lgs. n. 112/1998 sul decentramento
amministrativo
Lo
stesso discorso, peraltro, vale anche per il sistema di ripartizione delle
funzioni amministrative fra lo Stato, le Regioni e gli enti locali delineato
dalla legge 15 marzo 1997, n. 59 (legge Bassanini) e dal d.lgs. 31 marzo 1998,
n. 112 sul decentramento amministrativo.
In
proposito deve richiamarsi l’attenzione sul fatto che il nuovo testo
dell’art. 118 Cost. come sostituito dall’art. 4 della legge costituzionale
n. 3/2001, rovesciando il criterio di ripartizione previsto dal previgente
sistema costituzionale e seguito, a livello di legislazione ordinaria anche
dalla legge n. 59/1997 e dal d.lgs. n. 112/1998 emanato in attuazione di questa,
stabilisce, al primo comma, che <<le funzioni amministrative sono
attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano
conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei
principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza>> (art. 118,
primo comma, Cost., come modificato dall’art. 4 della legge costituzionale n.
3/2001).
Non
v’è dubbio che alla luce di tale disposizione il sistema di ripartizione
delle funzioni amministrative fra lo Stato, le Regioni e gli enti locali
delineato dalla legge 15 marzo 1997, n. 59 (legge Bassanini) e dal d.lgs. 31
marzo 1998, n. 112 sul decentramento amministrativo, pur se sostanzialmente in
gran parte coincidente, deve ormai ritenersi formalmente superato.
Deve,
tuttavia, considerarsi che la suddetta disposizione di cui al primo comma del
nuovo testo dell’art. 118 Cost., e le ulteriori disposizioni fissate negli
altri commi dello stesso articolo si limitano a fissare i principi e i criteri
di massima per la ripartizione delle funzioni amministrative fra lo Stato, le
Regioni e gli enti locali, ma non v’è dubbio che per l’esercizio effettivo
delle funzioni, secondo il sistema delineato dalla riforma, occorre una nuova
legge ordinaria applicativa di quei criteri.
In
altre parole la norma costituzionale di cui al nuovo testo dell’art. 118,
primo comma, Cost., come modificato dall’art. 4 della legge costituzionale n.
3/2001, si limita a prevedere la <<ripartizione delle funzioni
amministrative>> fra lo Stato, le Regioni e gli enti locali, ma
l’<<attribuzione delle funzioni amministrative>> vera e propria,
ai fini del loro effettivo esercizio, non può che avvenire attraverso
l’emanazione di una nuova legge ordinaria statale, di nuove leggi ordinarie
regionali, di nuovi decreti legislativi e di nuovi regolamenti da emanarsi in
attuazione delle nuove disposizioni costituzionali in materia, che andranno ad
abrogare, esplicitamente o implicitamente, le disposizioni di cui alla legge n.
59/1997 e al d.lgs. n. 112/1998.
Pertanto,
fino a quando le disposizioni di cui alla legge n. 59/1997 e al d.lgs. n.
112/1998 non saranno dichiarate costituzionalmente illegittime o non saranno
abrogate da una nuova legge ordinaria statale o regionale che sarà emanata in
attuazione delle disposizioni di cui al nuovo testo dell’art. 118 Cost., non
v’è dubbio che esse continueranno a trovare applicazione.
10.
Conclusioni
Alla
luce del nuovo sistema di legislazione delineato dalla riforma costituzionale di
cui alla legge costituzionale n. 3/2001 e della accresciuta autonomia
legislativa delle Regioni sostanzialmente in tutte le materie diverse da quelle
poche materie riservate, in ragione della tutela dei supremi interessi
nazionali, alla legislazione esclusiva dello Stato, non v’è dubbio che –
checché se ne dica – si sono create tutte le condizioni per la realizzazione,
nel nostro Paese, di un vero e proprio federalismo.
E’
altresì indubbio che il nuovo sistema di legislazione diffuso costringerà noi
giuristi ad avere nuovi punti di riferimento rispetto a quelli rappresentati, in
precedenza, dai principi e dalle disposizioni della legislazione statale
riguardante singoli settori o determinate materie.
Alla
luce di quanto si è detto, tuttavia, si ritiene che non debba ancora cantarsi
il de profundiis della legislazione statale, e ciò non solo per
l’efficacia relativa che essa continuerà ad avere in virtù della
<<funzione suppletiva>> che essa continuerà a svolgere
nell’ordinamento fino a quando le Regioni non avranno provveduto a darsi una
propria disciplina nelle diverse materie su cui esse possono legiferare. Invero,
la <<sopravvivenza>> e l’effettività della legislazione statale
anche nelle materie ormai attribuite alla potestà legislativa delle Regioni,
dipenderà dalla effettiva capacità di queste di legiferare, dandosi in tutte
le materie non riservate alla legislazione dello Stato una propria disciplina
legislativa.
Il
compito, invero, non è facile, perché si tratta di riprodurre, in ambito
regionale, un vero e proprio ordinamento parallelo ed alternativo a quello
statale. Ora, anche se è auspicabile che non vengano riprodotte in ambito
regionale le 100.000 o le 150.000 leggi di cui si dice sia composto il panorama
legislativo del nostro Paese, si tratterà pur sempre, per ogni singola Regione,
di darsi una propria legge in tutte le materie in cui spetta ad essa di
legiferare secondo il nuovo sistema di legislazione delineato dalla riforma
costituzionale.
E’
auspicabile, allora, che le Regioni legiferino in maniera ordinata, secondo una
programmazione razionale e non secondo l’ordine della improvvisazione dettato
dall’esigenza di provvedere a tutelare gli interessi quotidiani o contingenti
delle lobby di turno, o gli interessi locali in antagonismo e in concorrenza con
quelli dello Stato o di altre Regioni. E’ altresì auspicabile che la
conseguita maggiore autonomia delle Regioni, nel senso anzidetto, e cioè, nel
senso della maggiore capacità di darsi leggi proprie sostanzialmente in quasi
tutte le materie, non si traduca in mania di <<indipendentismo>>
giuridico. Ciò non è detto a caso, in quanto già nel sistema di legislazione
regionale precedente era alquanto ricorrente il vezzo delle Regioni, magari
incapaci di darsi una propria disciplina legislativa nelle materie in cui
potevano farlo, di legiferare nelle materie riservate alla legislazione dello
Stato.
Insomma,
nell’ottica della conseguita maggiore autonomia, è auspicabile che le Regioni
sappiano cogliere lo spirito vero del federalismo, esercitando la loro potestà
legislativa – e quindi la loro <<autonomia>> (autòs – nòmos)
- senza la smania di discostarsi troppo dai principi dell’ordinamento,
esercitando con razionalità e con efficacia la potestà legislativa nelle
materie su cui possono legiferare e non su quelle riservate, nello spirito del
federalismo, allo Stato centrale.