SENATO
DELLA REPUBBLICA
XIV LEGISLATURA
BOZZE NON CORRETTE
1ª COMMISSIONE PERMANENTE
(Affari costituzionali, affari della
Presidenza del Consiglio e dell'interno,
ordinamento generale dello Stato e della
Pubblica Amministrazione)
INDAGINE
CONOSCITIVA SUGLI EFFETTI NELL'ORDINAMENTO DELLE REVISIONI DEL TITOLO V DELLA
PARTE II DELLA COSTITUZIONE
10° RESOCONTO STENOGRAFICO
SEDUTA DI MERCOLEDI' 28 NOVEMBRE 2001
Presidenza del presidente PASTORE
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I testi contenuti nel presente fascicolo - che
anticipa ad uso interno l'edizione del Resoconto stenografico - non sono stati
rivisti dagli oratori
IC 0163
INDICE
Audizione dei professori Sabino Cassese,
Alberto Romano, Antono Romano Tassone e Luisa Torchia
PRESIDENTE |
CASSESE |
N.B: Sigle dei Gruppi parlamentari: Alleanza
Nazionale: AN; CCD-CDU:Biancofiore: CCD-CDU:BF; Forza Italia: FI; Lega Nord
Padania: LNP; Democratici di Sinistra-l'Ulivo: DS-U; Margherita-DL-l'Ulivo:
Mar-DL-U; Verdi-l'Ulivo: Verdi-U; Gruppo per le autonomie: Aut; Misto: Misto;
Misto-Comunisti italiani: Misto-Com; Misto-Rifondazione Comunista: Misto-RC;
Misto-Socialisti Democratici Italiani-SDI: Misto-SDI; Misto-Lega per l'autonomia
lombarda: Misto-LAL; Misto-Libertà e giustizia per l''Ulivo: Misto-LGU;
Misto-Movimento territorio lombardo: Misto-MTL; Misto-Nuovo PSI: Misto-NPSI;
Misto-Partito repubblicano italiano: Misto-PRI; Misto-MSI-Fiamma Tricolore:
Misto-MSI-Fiamma.
Intervengono i professori Sabino Cassese,
Alberto Romano, Antonio Romano Tassone e Luisa Torchia.
I lavori hanno inizio alle ore 15,05.
PROCEDURE INFORMATIVE
Audizione dei professori Sabino Cassese,
Alberto Romano, Antono Romano Tassone e Luisa Torchia
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito
dell'indagine conoscitiva sugli effetti nell'ordinamento delle revisioni del
Titolo V della Parte II della Costituzione, sospesa nella seduta di ieri.
Ringrazio i professori Sabino Cassese, Alberto
Romano, Antonio Romano Tassone e Luisa Torchia, che oggi ascoltiamo in qualità
di rappresentanti dell'Associazione degli studiosi di diritto amministrativo. I
nostri ospiti riferiranno le loro impressioni e le loro valutazioni sulla
riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, sulla quale, come è
noto, questa Commissione ha iniziato a svolgere un'indagine conoscitiva anche in
relazione ai suoi compiti specifici, che questa riforma ha in qualche modo
"aggravato".
Lascio la parola al professor Cassese, presidente
dell'Associazione.
CASSESE. Signor Presidente, la ringrazio a nome dell'Associazione degli studiosi
di diritto amministrativo, che è qui rappresentata da me e da alcuni colleghi.
L'Associazione ha comunque raccolto anche delle opinioni per iscritto, che mi
permetto di consegnare agli uffici; si tratta in particolare di un ampio saggio
del professor Alfredo Corpaci sulla revisione del Titolo V della Parte II della
Costituzione e il sistema amministrativo, delle riflessioni del professor Gian
Candido De Martin sulla lettura della riforma del Titolo V della Costituzione,
di alcune considerazioni sulla nuova disciplina costituzionale dei poteri locali
del professor Giulio Vesperini e di qualche mia considerazione
sull'amministrazione nel nuovo Titolo V della Costituzione. Ognuno di noi darà
un contributo cercando di mettere insieme opinioni personali con opinioni
raccolte durante le consultazioni dell'Associazione.
Personalmente mi limiterò a toccare pochi punti
che ritengo rilevanti. Ciascuno di noi comunque interverrà brevemente, dopo di
che potremo rispondere ai vostri quesiti.
Innanzi tutto, che cosa comporta l'inversione
delle materie per l'esercizio della potestà legislativa dello Stato e delle
regioni. Ho visto dalle audizioni già svolte che la questione dell'inversione
rispetto alle 18 materie rimesse alla potestà legislativa dal vecchio articolo
117 è stata già abbondantemente studiata. A me pare che sia importante da
questo punto di vista sottolineare che l'applicazione del nuovo articolo 117
richiede un inventario completo delle funzioni pubbliche per accertare quale
rimane la competenza legislativa esclusiva o concorrente statale. L'inventario
è naturalmente reso necessario dall'assetto attuale, per cui il titolare di
riserva in caso di non assegnazione dalle regioni è oggi lo Stato. Questa
inversione richiede quindi un lavoro di censimento non diverso, anzi molto più
complesso, di quello che fece la commissione Giannini, della quale fecero parte
alcuni dei membri della Commissione affari costituzionali qui presenti.
Il secondo punto importante è quello della
verifica della corrispondenza delle tre legislazioni di trasferimento, ma in
particolare di quella più cospicua (cioè quella del 1997-1998), al nuovo
modello ed elenco costituzionale. Mentre al primo sguardo la ripartizione che
attiene alle funzioni legislative esclusive appare ispirata al criterio della
separazione, per almeno quattro gruppi di materie questo non accade. In altre
parole, per alcune materie vi è una divisione in due della materia stessa. Le
cito: i beni culturali, per cui da un lato c'è la tutela e dall'altro c'è la
valorizzazione; l'istruzione, per cui ci sono le norme generali sui principi, le
norme generali dello Stato, e quindi la parte restante non è dello Stato; i
comuni, le provincie e le città metropolitane per le funzioni fondamentali
dello Stato; le prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, per cui c'è
la determinazione dei livelli essenziali allo Stato mentre la parte restante è
lasciata alle regioni. Credo che questo sia un aspetto importantissimo da
analizzare perché, mentre per il resto ci si ispira al criterio della netta
separazione, qui per la funzione legislativa esclusiva si richiede una
cooperazione e quindi si ripropone un problema di concorrenza o di funzione
legislativa ripartita come quella tradizionale.
Il terzo punto critico a mio avviso - su questo
c'è una riflessione molto ampia del professor Corpaci, su cui richiamo la
vostra attenzione - è quello relativo alla rottura del parallelismo tra
funzioni legislative e funzioni amministrative. Su questo punto si sono già
inseguite due o tre interpretazioni. La netta separazione della funzione
amministrativa rispetto all'attribuzione della potestà legislativa può essere
interpretata in due modi: il primo è che la Costituzione attribuisca
direttamente tutte le funzioni amministrative ai comuni, così scindendo tali
funzioni da quelle legislative, e poi con atto ricognitivo statale si provveda a
conferire agli altri enti locali, alle regioni e allo Stato le funzioni
amministrative di cui occorre assicurare l'esercizio unitario. Questa
interpretazione richiederebbe di - cito una frase piuttosto diffusa e comune -
"ricostruire lo Stato dal basso", nel senso che l'attribuzione
costituzionale venga fatta direttamente al livello più basso e dal basso si
risalga verso l'alto. L'altra opinione, che mi pare espressa in un contributo
recente del consigliere Gaetano d'Auria su "Il Foro Italiano", è che
la legge stabilisca in via esclusiva le funzioni fondamentali di comuni,
province e città metropolitane e le altre funzioni siano stabilite da leggi
regionali; nell'ambito di queste funzioni quelle amministrative sono attribuite
ai comuni e in via sussidiaria agli enti via via maggiori. L'interpretazione è
resa più complessa perché la norma una volta parla di attribuzione e due volte
di conferimento, solo che il primo conferimento sembra dal basso verso l'alto e
il secondo conferimento dall'alto verso il basso. Da questo intrico bisognerà
uscire.
La quarta riflessione che vorrei fare riguarda il
problema dell'unità. L'articolo 120, secondo comma, parla di unità giuridica e
unità economica da tutelare con il potere sostitutivo del Governo e l'articolo
118, appena citato, parla di esercizio unitario delle funzioni amministrative da
assicurare conferendole a livelli di governo superiori ai comuni. Credo che
questo sia un punto capitale. La parola "unità" è penetrata proprio
nel momento del maggiore trasferimento di funzioni alle regioni operato dalla
Costituzione e quindi va valutata proprio in questo contesto.
Mi fermerei qui nell'enumerazione dei punti che a
me paiono essenziali, per lasciare la parola ai colleghi.
ROMANO TASSONE.
Signor Presidente, mi limito a riportare in parte alcune opinioni largamente
diffuse e in parte alcune mie opinioni su taluni punti della riforma che
riguardano specificamente le autonomie locali, anzi che hanno speciale attinenza
al problema della necessità di eventuali interventi legislativi attuativi della
riforma del Titolo V per darvi corpo.
Sotto questo aspetto ritengo di segnalare, per
esempio (non abbiamo avuto contributi su questo tema nella ricerca che abbiamo
fatto presso i colleghi), un problema che si pone relativamente all'esercizio
della potestà tributaria dei comuni.
L'articolo 119 prevede, come sapete, che i comuni
stabiliscono tributi propri. Secondo alcune interpretazioni da me raccolte,
questa norma andrebbe pur sempre coordinata con la riserva di legge di cui
all'articolo 23 della Costituzione (nessuna prestazione personale e patrimoniale
può essere imposta, se non in base alla legge) e quindi l'articolo 119, primo
comma, non attribuirebbe in realtà ai comuni la potestà di istituire autonomi
tributi, se non per quanto concerne specifici ambiti tributari prederminati da
una qualche legge. Se così fosse, segnalo che si porrebbe il problema di quale
tipo di legge potrebbe autorizzare l'esercizio di questa potestà comunale.
Poiché l'articolo 117, secondo comma, enumerando
le materie di esclusiva competenza legislativa statale aggiunge la
specificazione "dello Stato" alle parole "sistema
tributario", dovrebbe immaginarsi che possa intervenire in tal senso anche
una legge regionale emanata in virtù della potestà concorrente attribuita alle
regioni dal terzo comma dell'articolo 117, che parla di legislazione in materia
di sistema tributario, senza aggiungere altre specificazioni.
Se così fosse però, se si ritenesse secondo la
prassi consolidata, che l'esercizio della potestà concorrente delle regioni può
essere esercitato a prescindere dall'esistenza di leggi quadro e di leggi
cornice, sarebbe forse da prendere in considerazione l'opportunità che la
legislazione statale riempia eventuali vuoti, proprio nel quadro della garanzia
dell'unità dell'ordinamento su questo punto.
Un altro aspetto riguarda l'articolo 118 e in
particolare il problema se le funzioni amministrative siano già attribuite ai
comuni o vi sia bisogno di una ulteriore legislazione d'attuazione. Su questo vi
sono stati diversi interventi. In particolare quello di Alfredo Corpaci, già più
volte citato dal professor Cassese, che a mio avviso è estremamente puntuale;
concordo con tale intervento e ritengo pertanto che, malgrado il verbo
all'indicativo, le funzioni amministrative debbano essere attribuite ai comuni
dalla legislazione statale e regionale.
A questo punto si potrebbe immaginare che vi sia
bisogno di una legislazione statale ex articolo 117, secondo comma,
lettera p), che attribuisca le funzioni fondamentali ai comuni, e che però
le leggi regionali che attribuiscono ai comuni le funzioni ulteriori siano
emanabili in forza della legislazione esclusiva, ex quarto comma
dell'articolo 117, il che (tra l'altro questo sarebbe uno dei contenuti
dell'autonomia) prospetta - lo sottolineiamo - la possibilità che il rapporto
regioni-enti locali abbia dimensioni diverse nelle varie regioni. Questo,
ovviamente, dipende dall'estensione che avrà la legge statale fondamentale che
deve attribuire le funzioni fondamentali.
Per quanto riguarda il potere sostitutivo
trattato al secondo comma dell'articolo 120, le opinioni che abbiamo raccolto
concordano tutte sul fatto che riguarda il solo potere amministrativo e non
quello legislativo e, ovviamente, qui la necessità che la legge detti norme
procedurali è iscritta nello stesso testo dell'articolo 120 della Costituzione.
Per quanto riguarda le ipotesi, l'opinione
consolidata è che le ipotesi predicate dall'articolo 120 sono descrivibili come
tipici concetti-valvola, ossia suscettibili di determinazione puntuale e
tassativa, e (direi per loro natura) destinati proprio a non avere questa
funzione, ad essere volutamente indeterminati. Da qui la necessità che le
garanzie nei confronti del potere sostitutivo siano cercate essenzialmente nella
disciplina procedurale e anche (prospetto come possibilità) nella Costituzione
con organismi neutrali che possano valutare le esigenze che lo Stato adduce a
motivazione dell'esercizio del potere sostitutivo.
Per quanto riguarda il problema dei controlli
sugli atti amministrativi locali, l'opinione di Alfredo Corpaci e di Giovanni
Duni, che io condivido, è che essi non siano stati resi in toto e per
sempre costituzionalmente illegittimi, ma che abbiano soltanto perso la
copertura costituzionale che prima li assisteva. Vorrei sottolineare a tale
proposito (si tratta di una notazione ovviamente tecnica) che a questo punto si
pone il problema ben esposto da Corpaci, che sottolinea che, mentre per i
controlli di merito l'incostituzionalità, la contrarietà all'assetto attuale
alla Costituzione è sicura, per i controlli di legittimità questa andrebbe
valutata, invece, caso per caso, in relazione all'esistenza di singole esigenze
che, volta per volta, sul piano della ragionevolezza lo possano giustificare.
TORCHIA. Interverrò brevemente su tre questioni.
La prima è una questione di ordine generale.
Dalla lettura dei primi commenti ed anche delle audizioni che questa Commissione
ha svolto ogni tanto traspare una sorta di paura del vuoto: c'è una nuova
riforma costituzionale; chi esercita quali poteri, in quali condizioni, e così
via. Vi vorrei ricordare che noi siamo, invece, in presenza di un ordinamento
molto "pieno", in cui quasi tutti i compiti sono in larga misura
disciplinati dalla legge, statale o regionale (più statale che regionale). C'è
inoltre un principio di continuità dell'ordinamento, per cui è difficile che
si creino vuoti, se non in casi molto specifici. Un problema di attuazione di
questa riforma è prima di tutto un riordino dei poteri e delle norme esistenti,
e un loro nuovo allineamento, secondo le regole che il nuovo Titolo V ci dà,
che sono regole nuove, per l'appunto, che forse ancora nessuno di noi
padroneggia e domina fino in fondo, che probabilmente la Corte costituzionale
dovrà contribuire a definire. Ma insomma la paura dell'ordinamento che
improvvisamente crea un vuoto mi sembra eccessiva.
Vorrei intervenire, inoltre, su due questioni di
merito specifiche. In primo luogo sull'articolo 117, al primo comma, per il
riconoscimento espresso nella nostra Costituzione dell'obbligo costituzionale di
rispettare i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario, obbligo che si
impone nella stessa misura e con la medesima forza alla potestà legislativa
statale e alla potestà legislativa regionale; in secondo luogo, sulla potestà
che qualcuno chiama esclusiva regionale, che ricomprende cioè quelle materie
residuali che non sono nella potestà legislativa statale né in quella
concorrente, che sono innominate (anche se qualche indizio, per così dire, su
quali siano c'è) e che sono attribuite alla potestà legislativa regionale.
Sulla prima questione (mi limito naturalmente a
svolgere alcune osservazioni di carattere generale) in dottrina, nei primi
commenti, di questa formula del rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento
comunitario è stata data una lettura continuista, dicendo che in fondo non fa
altro che mettere a regime in maniera ricognitiva quello che l'ordinamento già
conosceva, quello che la Corte costituzionale già aveva riconosciuto. Credo che
questo sia in parte vero, ma non riconosce fino in fondo, invece, una
innovatività della norma che c'è, perché con questa norma sicuramente non si
può tornare indietro, la scelta diventa irretrattabile, per cui non c'è più
una separazione tra ordinamenti, ma c'è un'integrazione.
Quindi, il modo dualista in cui la Corte
costituzionale ha sempre interpretato il rapporto tra ordinamento interno e
comunitario è da ascrivere ad un ragionamento costituzionale, per così dire,
che non trova più spazio in questa Costituzione. La stessa teoria dei
controlimiti che la Corte costituzionale ha usato sostenendo che c'è una
distanza fra i princìpi e i valori fondamentali del diritto comunitario e
quelli della nostra Costituzione, e che in questa istanza stanno i controlimiti
e quindi c'è una separazione per ordinamenti, rientra in un ragionamento che
dovrà essere sottoposto a revisione e più probabilmente la Corte
costituzionale si troverà a fare dei bilanciamenti tra princìpi e valori
diversi che stanno tutti nella nostra Carta, perché questa è una clausola di
apertura espressa nella nostra Costituzione ai princìpi e ai valori
dell'ordinamento costituzionale.
Vi è un problema di interpretazione, secondo me,
relativo al potere sostitutivo in caso di mancato rispetto. Esistono due riserve
di legge che andrebbero coordinate. In una si dice che lo Stato esercita il
potere sostitutivo in caso di inadempienza della legge con la quale si
determinano le procedure di partecipazione delle regioni alle fasi ascendente e
discendente di formazione e di attuazione del diritto comunitario e poi si
esercita il potere sostitutivo in caso di inadempienza. Questo è previsto
nell'articolo 117 della Costituzione.
L'articolo 120 invece nell'ambito generale del
potere sostitutivo stabilisce che in caso di mancato rispetto della normativa
comunitaria, – i termini cambiano molto da norma a norma: atti normativi
comunitari, atti dell'Unione europea, normativa comunitaria – lo Stato deve
emanare una legge che stabilisca come si esercitano i poteri sostitutivi
rispettando i princìpi di sussidiarietà e di leale collaborazione.
Bisognerà inoltre decidere se il mancato
rispetto e l'inadempienza rappresentano la stessa fattispecie. Alcuni sostengono
che l'inadempienza rappresenta semplicemente un comportamento omissivo mentre il
mancato rispetto rappresenta un comportamento commissivo in contrasto con il
diritto comunitario.
Le due riserve di legge andranno poi coordinate
perché non possiamo avere due norme che stabiliscono come lo Stato interviene
in sede di potere sostitutivo per una violazione del diritto comunitario.
In merito alla seconda questione, le materie che
si ritengono riservate alla potestà legislativa residuale delle regioni sono
l'agricoltura, l'industria ed il commercio, quelle materie cioè che vengono più
spesso citate e riconosciute benché innominate.
Su queste materie lo Stato non dispone più di
una potestà legislativa se non nella misura in cui esercita le clausole
generali e quindi interviene in materia di ordinamento civile o di tutela della
concorrenza, mentre per le materie economiche, più difficili, interviene con la
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni connesse ai diritti
sociali e civili.
Cosa succederà nell'ambito di queste materie è
un interrogativo che dovrebbe interessarci perché è difficile pensare che
siano possibili politiche regionali nel settore dell'industria, dell'agricoltura
e del commercio, politiche nelle quali non ci siano poi degli interessi
ultraregionali e che comunque devono essere tenuti presenti.
Anche in questo caso il terreno è fortemente
coperto da normativa comunitaria ma è importante capire i limiti entro i quali
le regioni possono esercitare questa potestà legislativa che è più ampia di
quella concorrente.
Per quanto riguarda la potestà regolamentare, il
professor Cassese ha affermato che si è rotto il parallelismo tra potestà
legislativa e funzione amministrativa e si è anche disallineato il rapporto tra
potestà legislativa, potestà regolamentare e funzione amministrativa. Come voi
sapete, lo Stato ha la potestà legislativa solamente nelle materie di
competenza esclusiva.
Questa potestà regolamentare diventa uno degli
strumenti importanti di gestione delle decisioni per lo meno degli apparati a
livello regionale e locale. Quali siano i limiti di tale potestà regolamentare
e quale sia la legge comunque legata ad una norma che di volta in volta ne deve
determinare l'ambito è questione sulla quale si sta discutendo.
ROMANO. Signor Presidente, mi rifaccio ad alcune osservazioni espresse dalla
professoressa Torchia, ma vorrei anche accennare alcune considerazioni di
carattere generale.
Ritengo che i nuovi riparti di competenza daranno
luogo a problemi e conflitti infiniti non solo per come sono state definite
certe materie quali, ad esempio, quella dell'ambiente che sta da una parte –
è un esempio di scuola – e quella del governo del territorio e della salute
che sta dall'altra. La questione è più profonda.
Esiste una prima contraddizione già presente nel
vecchio sistema tra il criterio del livello di interesse – così definito nel
passato mentre ora si tratta del principio di sussidiarietà – e la
definizione di competenze per materia. Si tratta di due prospettive diverse le
quali molte volte vanno a collidere e non parlano lo stesso linguaggio.
Questo è particolarmente importante in un
sistema dominato dal principio di sussidiarietà; ma sussidiarietà intesa come
criterio per decentrare quello che è accentrato o come criterio per accentrare
quello che si è decentrato di colpo? Su questo problema i dati sono
contraddittori tra vecchie norme e norme vigenti. Infatti, la nuova formulazione
dell'articolo 114 della Costituzione non mi sembra si colleghi direttamente con
l'articolo 5. È chiaro che la Repubblica, una ed indivisibile, può coesistere
con alcune formulazioni dell'articolo 114 però mi pare che questo sia
sull'altro versante.
Inoltre, non mi sembra molto coerente lo stesso
articolo 114: leggendo il primo comma sembra quasi che la Repubblica sia una
specie di consorzio di comuni ma, se questo viene letto più attentamente,
possiamo renderci conto che le regioni, le province e i comuni sono enti
autonomi, e per noi l'autonomia è un concetto tecnico molto preciso, un
qualcosa che deriva da un'altra parte. Nell'ambito di questa qualificazione,
sembrerebbe che lo Stato sia l'ente da cui deriva il tutto; ma è lo Stato che
deriva a sua volta i poteri dalla Costituzione o è lo Stato che fa la
Costituzione e la rivede? Questo è un interrogativo su cui si dibatte meglio
nelle aule universitarie piuttosto che altrove.
E' poi a mio avviso alquanto importante, più che
risolvere singole questioni di competenza, trovare una chiave di lettura della
Costituzione, e probabilmente tale chiave di lettura può essere individuata in
certi concetti già evocati e in talune clausole generali che si accompagnano al
principio di sussidiarietà.
Mi ha colpito una domanda cruciale posta da una
persona che ha inciso molto sulla formulazione della riforma. Possiamo ancora
emanare una legge sul procedimento amministrativo? Possiamo disporre di un
regime nazionale del diritto amministrativo per quanto riguarda i provvedimenti,
i loro vizi, e così via?
A questo punto, la clausola che può dare una
possibile apertura si trova nell'articolo 120 della Costituzione quando si fa
riferimento – evidentemente non è questo il profilo che qui interessa –
nell'ambito del potere sostitutivo alla tutela dell'unità giuridica o economica
dello Stato. Ci troviamo completamente fuori dal discorso del controllo
sostitutivo, ma questa norma evidentemente presuppone che esista a monte
un'esigenza di unità giuridica che in certi casi può essere attuata in questo
modo o anche in altri, in relazione soprattutto al principio di sussidiarietà e
a quello delle ripartizioni delle competenze per materia.
Probabilmente questa è una clausola generale che
può svolgere una funzione e nel dare razionalità al sistema può avere un
grande ruolo.
BASSANINI (DS-U). Innanzi tutto, ringrazio
l'Associazione degli studiosi di diritto amministrativo per la collaborazione
offerta, che speriamo continuerà a fornire.
Questo ramo del Parlamento non ha potuto
esercitare funzioni di vaglio e di revisione di un testo che abbiamo dovuto
approvare a scatola chiusa, il che non toglie che oggi siamo particolarmente
impegnati con senso di responsabilità istituzionale a cercare di risolvere i
problemi applicativi nel modo migliore, eventualmente anche laddove sono
previsti con disposizioni legislative che ne favoriscono un'applicazione ed
un'attuazione ordinata e utile.
Vorrei rivolgere quattro domande ai vostri
ospiti, due in particolare per conoscere la vostra opinione su questioni su cui
abbiamo già avuto altri pareri, ma non sempre coerenti fra loro.
La prima riguarda una questione classica: nelle
materie di competenza concorrente, a vostro avviso, in assenza di disposizioni
transitorie (a meno di non ritenere applicabile in qualche modo analogicamente
la IX disposizione transitoria e finale della Costituzione) si deve ritenere
che, in assenza di leggi cornice che espressamente definiscono i princìpi
fondamentali della legislazione concorrente, le regioni si debbano attenere ai
princìpi desumibili dal sistema legislativo vigente? Oppure che debbano
attendere l'emanazione di leggi di principio? Oppure che possano iniziare a
legiferare dall'entrata in vigore delle nuove disposizioni del Titolo V senza
alcun vincolo di principio? Sono le tre possibili risposte a tale quesito.
La seconda domanda riguarda la vexata quaestio
dell'articolo 120 della Costituzione dove, nonostante i presupposti
dell'esercizio del potere sostitutivo facciano pensare ad un intervento anche
sulla legislazione, o sulle omissioni nell'esercizio del potere legislativo,
tuttavia l'intestazione al Governo del potere sostitutivo rende molto difficile
andare in questa direzione, e qui abbiamo anche sentito autorevoli
interpretazioni in questo senso. E allora si può ritenere, sia pure limitando
il discorso alla sostituzione nell'esercizio di funzioni e poteri non
legislativi, come voi avete detto, che questi possano comportare anche, sotto la
responsabilità del Governo, la disapplicazione di leggi regionali nelle more
eventualmente del giudizio della Corte costituzionale in ordine alla legittimità
costituzionale? La questione è abbastanza importante perché le innovazioni
apportate al sistema di controllo delle leggi regionali fanno sì che le regioni
possano in linea di principio legiferare anche in materia di competenza
esclusiva dello Stato, nel senso che legiferano incostituzionalmente, ma
tuttavia fino alla sentenza della Corte costituzionale tali normative potrebbero
avere applicazione, quindi si potrebbe ritenere che il potere sostitutivo a
tutela dell'unità giuridica ed economica, e di tutti gli altri valori
costituzionali, intervenga proprio per evitare l'applicazione in via
amministrativa di leggi regionali costituzionalmente illegittime, o per
violazione dei principi sostanziali della Costituzione, o per violazione del
limite di competenza legislativa delle regioni.
Terza domanda: vale l'VIII disposizione
transitoria e finale che, a differenza della IX, non ha un termine temporale? In
altri termini, occorre una legislazione sul trasferimento dei compiti e delle
funzioni amministrative, e relative risorse (uffici strumentali, finanziari e
patrimoniali), alle regioni in attuazione del nuovo sistema delle competenze? L'VIII
disposizione non fissa un termine temporale, come in teoria fa la IX; è un
problema di ordinato trasferimento, o conferimento, di uffici e di risorse.
Naturalmente in questo caso bisognerebbe chiedersi se non si debba provvedere
rapidamente, magari anche qui con la delega al Governo, come fu con la legge n.
59 del 1997, che peraltro applicava uno schema simile perché, sia pure senza
copertura costituzionale, applicava lo schema dell'inversione dell'elenco delle
materie nel rapporto tra legislatore delegante e legislatore delegato (qui,
invece, tra legislazione costituzionale e legislazione ordinaria).
Quarta e ultima domanda. Secondo voi la nuova
disposizione in materia di potestà regolamentare comporta il rischio di una
inversione del processo di delegificazione e semplificazione, riduzione
dell'inflazione legislativa e normativa che, sia pure con successi ed insuccessi
in questi anni, era stato percorso? Qualche segnale c'è. La domanda è tuttavia
se in materia quanto meno di legislazione concorrente non continui a spettare al
legislatore nazionale il compito di dettare eventualmente un principio in tema
di delegificazione, semplificazione e alleggerimento del carico normativo, salvo
lasciare poi non più a regolamenti delegificanti governativi, ma a regolamenti
regionali il compito di darvi attuazione.
VILLONE (DS-U).
Signor Presidente, il collega Cassese
ricordava la stagione della Commissione Giannini, dicendo che bisognerebbe oggi
procedere ad un inventario completo delle funzioni. Credo che parecchi di noi in
varia misura abbiano partecipato a quella fase, che però purtroppo oggi non
penso possiamo ripetere, perché, già pressati come siamo dall'urgenza, non
abbiamo a mio avviso il tempo di fare un inventario delle funzioni. Per farvi un
esempio, proprio oggi ci è pervenuto un disegno di legge sulla sicurezza degli
edifici che prevede l'istituzione del libretto del fabbricato. Possiamo fare una
legge statale che lo istituisce, che lo disciplina in via di principio, che
rimanda alla legge regionale, o che disciplina direttamente la funzione del
comune nell'esercitare, appunto, il controllo sulla sicurezza degli edifici? Noi
siamo già in una fase in cui quotidianamente la spinta degli eventi ci
costringe a compiere delle scelte che non sono sempre, probabilmente, ispirate a
princìpi di coerenza, dato che alla fine i problemi ci sono. Quindi, se
dopodomani - per fare un esempio - cadesse un palazzo da qualche parte, noi in
48 ore vareremmo la legge sul libretto di sicurezza degli edifici. E non ci
sarebbero considerazioni accademiche di qualunque genere idonee a fermare la
cosa.
Dico questo perché io avverto un difetto nello
schema che abbiamo di fronte, che mi viene da una considerazione che volevo
sottoporre alla valutazione dei colleghi. Nell'esperienza dei moderni stati
federali, o parafederali, in realtà alla fine non c'è materia in cui lo Stato
centrale non possa all'occorrenza entrare. L'esperienza concreta ci dice che
quando lo Stato federale decide di intervenire su una certa questione lo fa.
Questo accade infatti in Stati come la Germania,
gli Stati Uniti, il Canada. Generalmente lo si fa attraverso clausole generali
perché non è la definizione del dettaglio delle competenze lo strumento
flessibile che determina il rapporto tra il centro e la periferia. In questo
schema collettivamente predisposto - ci siamo infatti trovati nella condizione
di non poter intervenire politicamente - non abbiamo pensato a questo aspetto.
Ci sono momenti di rigidità e di compartecipazione, ma non ci sono clausole
generali, idonee a determinare il rapporto flessibile che all'occorrenza
consenta allo Stato centrale di fare il libretto sulla sicurezza degli edifici.
Dobbiamo, a mio parere, cercare di trovare nella nostra ricostruzione i punti
che consentono questa flessibilità: uno potrebbe essere quello delle funzioni
fondamentali affidate ai Comuni, perché probabilmente questa è una via
attraverso la quale si può cercare un ambito di flessibilità; un altro è la
riflessione sull'articolo 120: il potere sostitutivo mirato esprime un interesse
di rilievo costituzionale che può passare attraverso norme quali quelle dei
livelli minimi o altro? Credo che la nostra legislazione non dovrebbe
indirizzarsi in questo senso; ci troveremmo infatti nella condizione in cui, di
fronte alla probabile inerzia di una o di molte regioni alla domanda di
soluzione dei problemi, lo Stato centrale e il legislatore nazionale dovranno
cominciare a legiferare. Vedo questo rischio perché il Parlamento risponde a
domande concrete; quindi, il giorno in cui si verificherà una pressione
qualunque, non è una maggioranza che dovrà dire di agire in un senso o in un
altro. In realtà, è una spinta oggettiva che costringe ad agire.
Credo allora che dovremmo ragionare in questa
chiave costruttiva perché questo schema non presto sufficiente attenzione a
questo punto. Vi è un reale rischio per la effettività del sistema di
innovazione che abbiamo attuato.
Vorrei ora porgere due domande, in primo luogo
alla professoressa Torchia precedentemente intervenuta, premettendo che
condivido la considerazione da lei espressa sull'ordinamento. La tesi che
prospetta la collega Torchia è che non possiamo avere un filtro che fa
prevalere, nell'ipotesi di conflitto, i nostri valori costituzionali; vi è cioè
un'entrata diretta, senza alcun filtro, nell'ambito dei diritti fondamentali
inviolabili? Capisco come questa tesi si possa argomentare ma su di essa bisogna
riflettere al fine di capire se è il caso di seguirla fino in fondo.
Al collega Romano Tassone chiedo un chiarimento
sull'aspetto relativo al controllo: l'opinione esposta è che le leggi
attualmente esistenti rimangono tali e quali come se non fosse successo nulla:
si può sostenere che rimangono in vigore le leggi statali e regionali, i
comitati di controllo oppure che in questo frattempo decadono per cui
eventualmente si può ridisciplinare la materia? Diversamente, sarebbe davvero
un paradosso. D'altro canto i comitati di controllo spingono in tal senso.
Capisco che una tesi di questo tipo si possa sostenere però mi sembra davvero
paradossale.
Penso non vi sia alcun dubbio sulla fattibilità
del procedimento amministrativo. In base a quanto già detto il ragionamento di
base si spiega. La cosa davvero singolare è che negli Stati federali uno dei più
grandi problemi è quello dell'unità giuridica per la quale si spendono soldi e
tempo. Noi disponiamo dell'unità giuridica - forse è più esatto dire che ne
disponiamo solo per certi versi - e sarebbe davvero curioso smantellarla.
PRESIDENTE. Ringrazio il senatore Villone anche
per avere colto la sostanza delle osservazioni avanzate nel corso del dibattito,
soprattutto citando la vicenda del parere che siamo chiamati ad esprimere su un
tema molto importante. In verità, quotidianamente ci troviamo di fronte a
situazioni che tentiamo di risolvere con il buon senso e la ragionevolezza, per
usare un sostantivo di rilievo costituzionale.
MANZELLA (DS-U). Vorrei, ma non posso,
rompere il clima di preoccupazione che i precedenti interventi hanno creato per
le difficoltà oggettive che ogni giorno incontriamo e che rispondono ad una
difficoltà propria del federalismo, laddove un processo federale non persegue
l'unità, ma cerca di salvare una unità residuale. Allora, ogni sforzo rischia
di essere confuso per un conservatorismo istituzionale. Bisogna però andare
avanti. Mi veniva in mente l'aneddoto di Benedetto Croce, il quale alla
affermazione di un suo consigliere che, molto preoccupato di non potere fare
fronte a talune necessità, disse: oportet studere, rispose oportet
studuisse. Allora, bisogna evitare sia l'horror vacui di cui
parlava la collega Torchia sia il timore di eccessi interpretativi.
Mi sembra che proprio il professor Cassese abbia
affermato che il profilo dell'unità emerge laddove è più in crisi, cioè
nell'articolo 120. La prima domanda è quindi la seguente: alla ricerca di una
unità fatta per inventari credo si sostituisca la ricerca di un'unità
processuale; occorre cioè vedere se vi siano, oltre a clausole di riempimento
dell'ordinamento per flessibilità, cui faceva riferimento il senatore Villone,
anche competenze processuali invece che materiali.
Da questo punto di vista mi pare utile
evidenziare che vi sia, oltre al criterio concorrenziale espresso chiaramente
anche un criterio concorrenziale occulto. Il professor Cassese ha già fatto
cenno alle materie comuni (le prestazioni concernenti i diritti civili; i beni
culturali). Qui vi è un problema di dimensione trasversale.
Allora, mi soffermerei su questo aspetto per
chiedere come possa essere sviluppato il punto sulla concorrenzialità occulta.
Un altro aspetto riguarda un punto che ho
affrontato insieme al senatore Magnalbò riguardo alla relazione per il parere
da rendere sulla legge comunitaria in sede di Commissione affari europei. La
legge comunitaria rappresenta una sede di specificazione di principi
fondamentali per tutta la gamma di legislazioni regionali, ancorché non
rientranti nella concorrenza emersa. Infatti, la ricerca di unità è naturale
negli Stati a tendenza, a struttura o in fase di processo federale (dagli USA,
alla Spagna, all'Austria, alla Germania, al Belgio) e i meccanismi di
cooperazione sono enormemente accresciuti e sono determinanti nella vita di
questi Stati. Chi parla ancora di pericolo della legislazione concorrente, come
facevano trent'anni fa alcuni gloriosi avvocati della regione, sbaglia, perché
allora c'erano questi pericoli, mentre adesso la visione della legislazione
concorrente è tutta assorbita in un concetto più ampio di leale
collaborazione, e su questo concetto ci dobbiamo attestare senza paura.
Rispetto a tutto ciò, la riflessione
sull'articolo 120 andrebbe portata più a fondo perché, nel momento in cui
scriviamo che i Parlamenti hanno perso la funzione legislativa e che ormai siamo
di fronte ad una attività normativa dei Governi, soprattutto con leggi delega,
dobbiamo tener conto che ci troviamo anche di fronte ad un testo che ci dice che
quel potere sostitutivo è solo di tipo amministrativo e non legislativo,
compresi i decreti-legge, previsti in casi gravi (questo è l'aggettivo usato),
in casi di urgenza o di distorsioni costituzionali della vita delle regioni,
oppure a seguito di una sorta di delega ex Costituzione. Questa
riflessione, nel filo dell'unità, mi sembrerebbe importante.
Vorrei anche chiedere ai nostri ospiti se
ritengono percorribile la via di una fictio litis, secondo quanto qualche
arguto Presidente di regione ha avanzato, fra Stato e regioni per avere dei
pronunciamenti della Corte costituzionale su conflitti di attribuzione che
nascano appositamente per avere un inquadramento costituzionale della materia.
DENTAMARO (Mar-DL-U). Signor Presidente,
rivolgerò una sola domanda ai nostri ospiti, dopo averli ringraziati per la
loro presenza.
Sono particolarmente interessata ad una delle
questioni segnalate dalla professoressa Torchia: la legislazione regionale
esclusiva residuale nei grandi settori produttivi del commercio, dell'industria
e dell'agricoltura. Vorrei conoscere la loro opinione rispetto alla possibilità
di sdrammatizzare questo problema, che sicuramente preoccupa molto anche gli
esponenti delle categorie produttive circa l'eventualità di discipline
differenziate tra le regioni che altererebbero il sistema della concorrenza. La
sdrammatizzazione potrebbe avvenire considerando che le tre materie pongono
innanzi tutto un problema di definizione come in tutti i casi di riparto di
competenze. Questo problema può essere risolto considerando che le tre materie
incrociano, per così dire, trasversalmente tante altre materie attribuite
dall'articolo 117 alla potestà esclusiva o concorrente dello Stato:
l'ordinamento civile, la tutela della concorrenza, la salute, la tutela degli
alimenti, l'edilizia, la localizzazione dei grandi impianti produttivi o
distributivi, quindi l'urbanistica, il sostegno dell'innovazione ai settori
produttivi e tante altre.
Come ha giustamente affermato la professoressa
Torchia, il problema è capire i limiti entro cui il legislatore statale può
continuare ad intervenire su queste materie, che diventano particolarmente
delicate incrociando le competenze esclusive. Non si può infatti non tener
conto che commercio, industria e agricoltura sono già disciplinate da una
legislazione statale vigente. Rispetto a quest'ultima, le stesse indicazioni del
nuovo Titolo V della Parte II della Costituzione, ci offrono parametri di
costituzionalità non dico sicuri ma relativamente chiari. Ad esempio, la legge
Bersani sul commercio, la n.114 del 1998: possiamo già ipotizzare che qualunque
intervento regionale ampliativo della tendenza liberalizzatrice della legge
Bersani sia sicuramente compatibile con la nuova normativa e viceversa che
qualsiasi intervento restrittivo risulterebbe incostituzionale per violazione
del principio di tutela della concorrenza, che adesso è costituzionalizzato e
comporterebbe la possibilità per lo Stato di intervenire in via legislativa. Lo
si può considerare un "cavallo di Troia", non sarebbe un intervento
definibile direttamente, però mi sembrerebbe assolutamente legittimo.
È poi suggestiva l'ipotesi della disapplicazione
suggerita dal senatore Bassanini, ma ho l'impressione che vi siano problemi
nell'identificazione del soggetto che dovrebbe operare la disapplicazione, perché
è difficile immaginare un potere sostitutivo nella fase di disapplicazione. Di
cosa si tratterebbe? Di un annullamento governativo? Di un provvedimento
adottato dalle regioni? Mi rendo conto insomma che la domanda, più che a voi,
è rivolta al senatore Bassanini.
Per concludere, a me sembra che riflettendo nel
concreto sulle discipline vigenti e sulla quantità di situazioni che restano
comunque aperte all'intervento normativo statale, residuino relativamente pochi
e limitati spazi rispetto ai tre settori produttivi sui quali il legislatore
statale non può intervenire.
MAGNALBO' (AN). Signor Presidente, vorrei
aggiungere soltanto una nota a margine, rivolgendomi soprattutto alla
professoressa Torchia. Si è posto il problema di quando le norme regionali, in
base alla potestà che oggi hanno le regioni di regolare tutto, si incrociano
con la legislazione esclusiva dello Stato e la legislazione concorrente.
Personalmente credo che invece il problema maggiore derivi proprio dall'incrocio
tra queste normative e i rapporti dello Stato con l'Unione europea. Sarebbe
allora opportuno definire anche cosa si intende per "rapporti con l'Unione
europea", perché si tratta di una dizione che può essere interpretata in
modi diversi. Dare una definizione esatta di questa terminologia potrebbe allora
costituire un punto cardine, visto che si aprono continuamente nuovi scenari
interpretativi.
MANCINO (Mar-DL-U). Signor Presidente,
voglio limitarmi sinteticamente a un paio di domande. La prima è relativa
all'esercizio delle funzioni amministrative attribuite ai comuni, con la
precisazione: salvo che per assicurarne l'esercizio unitario non ci sia bisogno
di conferire, ovviamente attraverso leggi regionali, le debite competenze alle
provincie, alle città metropolitane, eccetera. L'altra riguarda i controlli.
La prima domanda che pongo è la seguente: se le
regioni non legiferano circa le modalità di riservare ad altri enti l'esercizio
delle funzioni amministrative, avremo da una parte un'affermazione di principio,
cioè che tali funzioni sono dei comuni e, dall'altra, un'inadempienza da parte
delle regioni rispetto alle quali il potere sostitutivo sul piano legislativo è
messo in discussione?
In secondo luogo, i controlli si esercitano in
piena libertà: sono o possono essere più preventivi o successivi? Sono di sola
legittimità? E in che modo possono essere esercitati? Essendo stato abolito
l'articolo 130 della Costituzione, sul piano dell'istituzione dei controlli
sorge qualche problema. Non vi è una copertura costituzionale, ma di certo si
registra una situazione di palese sofferenza da parte degli enti locali che si
vedrebbero di nuovo imposta una "camicia" di controllo, preventivo o
successivo (credo più successivo).
CASSESE. Cercherò di rispondere molto sinteticamente. Una prima questione posta
riguardava l'eventualità di disposizioni in assenza di leggi cornice. Credo che
la risposta non possa che essere: in base ai principi desumibili dalla
legislazione vigente. Innanzi tutto così è stato fatto in passato; in secondo
luogo, sicuramente non si può attendere; inoltre, se si legiferasse senza
seguire dei princìpi, e quindi comunque in totale libertà, sicuramente
seguirebbero numerosi interventi ex post da parte della Corte
costituzionale.
La seconda questione si riferiva al dubbio se
debba esserci una disciplina del trasferimento. Io direi di sì, perché è
sempre stato così, ma anche perché la questione è molto attenuata in quanto
molte funzioni sono state trasferite con la legislazione degli anni 1997-98.
È poi indispensabile fare l'inventario completo
delle funzioni; se non lo si realizza, come si fa a stabilire quali sono le
funzioni amministrative che possono o debbono essere esercitate a livello
superiore?
Sulla concorrenzialità occulta, la potestà
legislativa esclusiva prevista dall'articolo 117 della Costituzione si divide in
due categorie, una piena e una limitata.
Circa poi la cooperazione, personalmente direi di
stare attenti, perché le divisioni indicate dalla Costituzione rappresentano
una trama su cui si innesta l'attività cooperativa. Ormai tutti i poteri
pubblici lavorano collaborando, con forme di collaborazione interistituzionale e
ricorrendo addirittura alla forma dello scambio, cioè del contratto di diritto
privato.
Infine, cosa avviene se le regioni non
legiferano? Se ciò avviene, direi che ai comuni sono attribuite a titolo
originario le funzioni amministrative e quindi questi le possono esercitare
sulla base delle leggi esistenti.
ROMANO TASSONE.
Signor Presidente, sul punto specifico concernente il piano dei controlli forse
non mi sono pronunciato. I colleghi che hanno scritto su tale materia, i
professori Corpaci e Duni, ritengono - e anch'io sono dello stesso avviso - che
le norme esistenti sui controlli siano cadute in quanto norme di diretta
attuazione di articoli della Costituzione abrogati, secondo il meccanismo quindi
della normativa derivata che non può sussistere senza l'esistenza della norma
che ne costituiva il fondamento. Il problema è che però, secondo un'opinione
abbastanza consolidata, potrebbero essere predisposte norme che ripropongano
quanto meno i controlli di legittimità. Questi andrebbero ancorati a parametri
costituzionali che giustifichino la compressione dell'autonomia caso per caso;
cioè non si potrebbero più definire normative generali ma normative singolari
che in particolari materie indichino questa necessità.
Sul problema posto dal senatore Bassanini, cioè
l'eventuale disapplicazione da parte del Governo di norme regionali
incostituzionali in pendenza di giudizio, mi domando intanto se non sia
possibile chiedere la sospensione davanti alla Corte costituzionale delle norme
regionali impugnate. Questa potrebbe essere un'ipotesi. Comunque, nel caso in
cui questo non fosse possibile - perché ovviamente una pronuncia denegatoria da
parte della Corte secondo me eliminerebbe qualsiasi discussione - nell'ottica
del mantenimento dell'unità giuridica dell'ordinamento, vorrei citare Santi
Romano, che sosteneva la necessità come fonte dell'ordinamento giuridico e
comunque delle norme di diritto positivo: sarei propenso ad ammetterla, sotto la
diretta grave responsabilità del Governo nella sua interezza.
TORCHIA. Circa i rapporti con l'ordinamento comunitario, credo effettivamente
che non esista più il filtro, per lo meno nei termini in cui è stato finora
argomentato da una parte della giurisprudenza costituzionale; a meno che il
senatore Villone non volesse riferirsi a quella parte di princìpi e valori
fondamentali che, secondo la Corte e una parte della dottrina, sono ad esempio
addirittura sottratti alla revisione costituzionale interna. Si tratta però di
cose intangibili per tutti, non in maniera diversa per il diritto costituzionale
nazionale o per il diritto comunitario di livello costituzionale.
Per quanto concerne i rapporti con l'Unione
europea, credo che la dizione sia soprattutto relativa al profilo organizzativo
di tali rapporti e che sia acclarato, ed ormai anche sanzionato espressamente,
che le regioni hanno direttamente tutti i poteri di attuazione del diritto
comunitario nelle materie di loro competenza; cosa che avevano anche prima, ma
adesso la loro competenza viene decisamente ampliata e quindi si porrà il
problema se il diritto comunitario si può soltanto applicare o se in alcuni
casi ci vogliono condizioni uniformi di applicazione, per cui ogni regione non
potrebbe applicarlo come crede.
Naturalmente, il diritto comunitario incide in
particolare sulle materie di potestà legislativa residuale e generale delle
regioni, fondamentalmente in materia di economia (quindi industria, agricoltura
e commercio). Su questo fronte sicuramente – come diceva la senatrice
Dentamaro – ci sono tante clausole che interferiscono, però dobbiamo stare
attenti a non trarre dall'interferenza una competenza che non esiste. Se la
tutela della concorrenza trova oggi copertura costituzionale definitiva ed
espressa, così come la potestà regolamentare e altre cose che in questi anni
si sono soltanto desunte, questo non significa però che alle regioni in quelle
materie non residui uno spazio proprio. Non è del tutto chiaro quanto questo
spazio sia ampio; ci sono tante interferenze, però probabilmente c'è, se
vogliamo distinguerlo dalle materie di potestà concorrente, anche un nucleo che
è comunque nella loro disponibilità.
Ritengo che sia fondamentale comprendere le
decisioni del Parlamento circa i princìpi fondamentali, che per ora sono
sicuramente desumibili dalla legislazione vigente. La legislazione futura
dovrebbe però assolutamente porsi questo problema. Fra i principi fondamentali
si potrebbe ad esempio considerare il principio di delegificazione e di
semplificazione, che può diventare criterio per la legislazione regionale.
ROMANO.
Per quanto si riferisce ai controlli, credo che sia necessaria una profonda
meditazione. La riforma della Costituzione su questo punto va interpretata nel
senso che non si vogliono questi controlli. Quindi, per un verso, più che un
problema di invalidazione, esiste un problema di abrogazione, il che rappresenta
da un lato qualcosa in più, da un altro qualcosa in meno: in più come effetto
diretto, in meno perché è un problema che non coincide perfettamente con il
discorso della possibilità di reintrodurre tali controlli, naturalmente in
altre forme; perché il fatto che non se ne parli più nella Costituzione toglie
sicuramente una copertura, ma allo stesso tempo non crea un divieto. Ora come
ora, però, mi sembra che storicamente quella modifica abbia un significato
molto chiaro.
Sull'unità giuridica dell'ordinamento mi fa
piacere che sia stata evocata e sottolineata l'importanza di questo aspetto. Non
posso far altro che confermare che questa mi sembra una clausola molto
importante, che fa emergere - sia pure in modo obliquo a proposito di una
questione estremamente settoriale - un principio di fondo che può avere
tantissime applicazioni ulteriori.
Un terzo aspetto concerne la questione delle
conseguenze agli inadempimenti agli obblighi comunitari o quando siano coinvolti
discorsi concernenti la sicurezza; personalmente direi che questi sono i
presupposti del decreto-legge. Prima o poi dovremo preoccuparci del problema,
ancora non emerso, del rapporto tra competenza governativa sui decreti-legge e
competenza legislativa ordinaria. La competenza sui decreti-legge è ovviamente
a sé e mira a provvedere ad esigenze imprevedibili, urgenti e necessarie. Io
personalmente non avrei dubbi circa la necessità che questa competenza resti in
capo al Governo, ma forse questo ci obbliga a ripensare la legge di conversione,
perché non si intravede uno spazio, al di fuori della competenza statale, per
il decreto-legge come spostamento di competenza legislativa dovuto ad urgenza,
bensì la vecchia configurazione del decreto-legge come misure adottate per far
fronte ad una situazione, misure provvisorie che non toccano l'ordine normale
delle competenze.
PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti per il loro
prezioso intervento e li invito a consegnare alla Commissione i contributi
scritti da loro predisposti.
Dichiaro conclusa l'audizione e rinvio il seguito
dell'indagine conoscitiva ad altra seduta.
I lavori terminano alle ore 16,20.