SENATO DELLA REPUBBLICA
XIV LEGISLATURA




BOZZE NON CORRETTE





1ª COMMISSIONE PERMANENTE
(Affari costituzionali, affari della Presidenza del Consiglio e dell'interno,
ordinamento generale dello Stato e della Pubblica Amministrazione)

 

INDAGINE CONOSCITIVA SUGLI EFFETTI NELL'ORDINAMENTO DELLE REVISIONI DEL TITOLO V DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE



10° RESOCONTO STENOGRAFICO




SEDUTA DI MERCOLEDI' 28 NOVEMBRE 2001


Presidenza del presidente PASTORE







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I testi contenuti nel presente fascicolo - che anticipa ad uso interno l'edizione del Resoconto stenografico - non sono stati rivisti dagli oratori
IC 0163


INDICE

Audizione dei professori Sabino Cassese, Alberto Romano, Antono Romano Tassone e Luisa Torchia

 

PRESIDENTE
BASSANINI (DS-U)
DENTAMARO (Mar-DL-U)
MANZELLA (DS-U)
MAGNALBO' (AN)
MANCINO (Mar-DL-U)
VILLONE (DS-U)

CASSESE
ROMANO
ROMANO TASSONE
TORCHIA






N.B: Sigle dei Gruppi parlamentari: Alleanza Nazionale: AN; CCD-CDU:Biancofiore: CCD-CDU:BF; Forza Italia: FI; Lega Nord Padania: LNP; Democratici di Sinistra-l'Ulivo: DS-U; Margherita-DL-l'Ulivo: Mar-DL-U; Verdi-l'Ulivo: Verdi-U; Gruppo per le autonomie: Aut; Misto: Misto; Misto-Comunisti italiani: Misto-Com; Misto-Rifondazione Comunista: Misto-RC; Misto-Socialisti Democratici Italiani-SDI: Misto-SDI; Misto-Lega per l'autonomia lombarda: Misto-LAL; Misto-Libertà e giustizia per l''Ulivo: Misto-LGU; Misto-Movimento territorio lombardo: Misto-MTL; Misto-Nuovo PSI: Misto-NPSI; Misto-Partito repubblicano italiano: Misto-PRI; Misto-MSI-Fiamma Tricolore: Misto-MSI-Fiamma.













Intervengono i professori Sabino Cassese, Alberto Romano, Antonio Romano Tassone e Luisa Torchia.


I lavori hanno inizio alle ore 15,05.


PROCEDURE INFORMATIVE



Audizione dei professori Sabino Cassese, Alberto Romano, Antono Romano Tassone e Luisa Torchia

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'indagine conoscitiva sugli effetti nell'ordinamento delle revisioni del Titolo V della Parte II della Costituzione, sospesa nella seduta di ieri.
Ringrazio i professori Sabino Cassese, Alberto Romano, Antonio Romano Tassone e Luisa Torchia, che oggi ascoltiamo in qualità di rappresentanti dell'Associazione degli studiosi di diritto amministrativo. I nostri ospiti riferiranno le loro impressioni e le loro valutazioni sulla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, sulla quale, come è noto, questa Commissione ha iniziato a svolgere un'indagine conoscitiva anche in relazione ai suoi compiti specifici, che questa riforma ha in qualche modo "aggravato".
Lascio la parola al professor Cassese, presidente dell'Associazione.

CASSESE. Signor Presidente, la ringrazio a nome dell'Associazione degli studiosi di diritto amministrativo, che è qui rappresentata da me e da alcuni colleghi. L'Associazione ha comunque raccolto anche delle opinioni per iscritto, che mi permetto di consegnare agli uffici; si tratta in particolare di un ampio saggio del professor Alfredo Corpaci sulla revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione e il sistema amministrativo, delle riflessioni del professor Gian Candido De Martin sulla lettura della riforma del Titolo V della Costituzione, di alcune considerazioni sulla nuova disciplina costituzionale dei poteri locali del professor Giulio Vesperini e di qualche mia considerazione sull'amministrazione nel nuovo Titolo V della Costituzione. Ognuno di noi darà un contributo cercando di mettere insieme opinioni personali con opinioni raccolte durante le consultazioni dell'Associazione.
Personalmente mi limiterò a toccare pochi punti che ritengo rilevanti. Ciascuno di noi comunque interverrà brevemente, dopo di che potremo rispondere ai vostri quesiti.
Innanzi tutto, che cosa comporta l'inversione delle materie per l'esercizio della potestà legislativa dello Stato e delle regioni. Ho visto dalle audizioni già svolte che la questione dell'inversione rispetto alle 18 materie rimesse alla potestà legislativa dal vecchio articolo 117 è stata già abbondantemente studiata. A me pare che sia importante da questo punto di vista sottolineare che l'applicazione del nuovo articolo 117 richiede un inventario completo delle funzioni pubbliche per accertare quale rimane la competenza legislativa esclusiva o concorrente statale. L'inventario è naturalmente reso necessario dall'assetto attuale, per cui il titolare di riserva in caso di non assegnazione dalle regioni è oggi lo Stato. Questa inversione richiede quindi un lavoro di censimento non diverso, anzi molto più complesso, di quello che fece la commissione Giannini, della quale fecero parte alcuni dei membri della Commissione affari costituzionali qui presenti.
Il secondo punto importante è quello della verifica della corrispondenza delle tre legislazioni di trasferimento, ma in particolare di quella più cospicua (cioè quella del 1997-1998), al nuovo modello ed elenco costituzionale. Mentre al primo sguardo la ripartizione che attiene alle funzioni legislative esclusive appare ispirata al criterio della separazione, per almeno quattro gruppi di materie questo non accade. In altre parole, per alcune materie vi è una divisione in due della materia stessa. Le cito: i beni culturali, per cui da un lato c'è la tutela e dall'altro c'è la valorizzazione; l'istruzione, per cui ci sono le norme generali sui principi, le norme generali dello Stato, e quindi la parte restante non è dello Stato; i comuni, le provincie e le città metropolitane per le funzioni fondamentali dello Stato; le prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, per cui c'è la determinazione dei livelli essenziali allo Stato mentre la parte restante è lasciata alle regioni. Credo che questo sia un aspetto importantissimo da analizzare perché, mentre per il resto ci si ispira al criterio della netta separazione, qui per la funzione legislativa esclusiva si richiede una cooperazione e quindi si ripropone un problema di concorrenza o di funzione legislativa ripartita come quella tradizionale.
Il terzo punto critico a mio avviso - su questo c'è una riflessione molto ampia del professor Corpaci, su cui richiamo la vostra attenzione - è quello relativo alla rottura del parallelismo tra funzioni legislative e funzioni amministrative. Su questo punto si sono già inseguite due o tre interpretazioni. La netta separazione della funzione amministrativa rispetto all'attribuzione della potestà legislativa può essere interpretata in due modi: il primo è che la Costituzione attribuisca direttamente tutte le funzioni amministrative ai comuni, così scindendo tali funzioni da quelle legislative, e poi con atto ricognitivo statale si provveda a conferire agli altri enti locali, alle regioni e allo Stato le funzioni amministrative di cui occorre assicurare l'esercizio unitario. Questa interpretazione richiederebbe di - cito una frase piuttosto diffusa e comune - "ricostruire lo Stato dal basso", nel senso che l'attribuzione costituzionale venga fatta direttamente al livello più basso e dal basso si risalga verso l'alto. L'altra opinione, che mi pare espressa in un contributo recente del consigliere Gaetano d'Auria su "Il Foro Italiano", è che la legge stabilisca in via esclusiva le funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane e le altre funzioni siano stabilite da leggi regionali; nell'ambito di queste funzioni quelle amministrative sono attribuite ai comuni e in via sussidiaria agli enti via via maggiori. L'interpretazione è resa più complessa perché la norma una volta parla di attribuzione e due volte di conferimento, solo che il primo conferimento sembra dal basso verso l'alto e il secondo conferimento dall'alto verso il basso. Da questo intrico bisognerà uscire.
La quarta riflessione che vorrei fare riguarda il problema dell'unità. L'articolo 120, secondo comma, parla di unità giuridica e unità economica da tutelare con il potere sostitutivo del Governo e l'articolo 118, appena citato, parla di esercizio unitario delle funzioni amministrative da assicurare conferendole a livelli di governo superiori ai comuni. Credo che questo sia un punto capitale. La parola "unità" è penetrata proprio nel momento del maggiore trasferimento di funzioni alle regioni operato dalla Costituzione e quindi va valutata proprio in questo contesto.
Mi fermerei qui nell'enumerazione dei punti che a me paiono essenziali, per lasciare la parola ai colleghi.

ROMANO TASSONE. Signor Presidente, mi limito a riportare in parte alcune opinioni largamente diffuse e in parte alcune mie opinioni su taluni punti della riforma che riguardano specificamente le autonomie locali, anzi che hanno speciale attinenza al problema della necessità di eventuali interventi legislativi attuativi della riforma del Titolo V per darvi corpo.
Sotto questo aspetto ritengo di segnalare, per esempio (non abbiamo avuto contributi su questo tema nella ricerca che abbiamo fatto presso i colleghi), un problema che si pone relativamente all'esercizio della potestà tributaria dei comuni.
L'articolo 119 prevede, come sapete, che i comuni stabiliscono tributi propri. Secondo alcune interpretazioni da me raccolte, questa norma andrebbe pur sempre coordinata con la riserva di legge di cui all'articolo 23 della Costituzione (nessuna prestazione personale e patrimoniale può essere imposta, se non in base alla legge) e quindi l'articolo 119, primo comma, non attribuirebbe in realtà ai comuni la potestà di istituire autonomi tributi, se non per quanto concerne specifici ambiti tributari prederminati da una qualche legge. Se così fosse, segnalo che si porrebbe il problema di quale tipo di legge potrebbe autorizzare l'esercizio di questa potestà comunale.
Poiché l'articolo 117, secondo comma, enumerando le materie di esclusiva competenza legislativa statale aggiunge la specificazione "dello Stato" alle parole "sistema tributario", dovrebbe immaginarsi che possa intervenire in tal senso anche una legge regionale emanata in virtù della potestà concorrente attribuita alle regioni dal terzo comma dell'articolo 117, che parla di legislazione in materia di sistema tributario, senza aggiungere altre specificazioni.
Se così fosse però, se si ritenesse secondo la prassi consolidata, che l'esercizio della potestà concorrente delle regioni può essere esercitato a prescindere dall'esistenza di leggi quadro e di leggi cornice, sarebbe forse da prendere in considerazione l'opportunità che la legislazione statale riempia eventuali vuoti, proprio nel quadro della garanzia dell'unità dell'ordinamento su questo punto.
Un altro aspetto riguarda l'articolo 118 e in particolare il problema se le funzioni amministrative siano già attribuite ai comuni o vi sia bisogno di una ulteriore legislazione d'attuazione. Su questo vi sono stati diversi interventi. In particolare quello di Alfredo Corpaci, già più volte citato dal professor Cassese, che a mio avviso è estremamente puntuale; concordo con tale intervento e ritengo pertanto che, malgrado il verbo all'indicativo, le funzioni amministrative debbano essere attribuite ai comuni dalla legislazione statale e regionale.
A questo punto si potrebbe immaginare che vi sia bisogno di una legislazione statale ex articolo 117, secondo comma, lettera p), che attribuisca le funzioni fondamentali ai comuni, e che però le leggi regionali che attribuiscono ai comuni le funzioni ulteriori siano emanabili in forza della legislazione esclusiva, ex quarto comma dell'articolo 117, il che (tra l'altro questo sarebbe uno dei contenuti dell'autonomia) prospetta - lo sottolineiamo - la possibilità che il rapporto regioni-enti locali abbia dimensioni diverse nelle varie regioni. Questo, ovviamente, dipende dall'estensione che avrà la legge statale fondamentale che deve attribuire le funzioni fondamentali.
Per quanto riguarda il potere sostitutivo trattato al secondo comma dell'articolo 120, le opinioni che abbiamo raccolto concordano tutte sul fatto che riguarda il solo potere amministrativo e non quello legislativo e, ovviamente, qui la necessità che la legge detti norme procedurali è iscritta nello stesso testo dell'articolo 120 della Costituzione.
Per quanto riguarda le ipotesi, l'opinione consolidata è che le ipotesi predicate dall'articolo 120 sono descrivibili come tipici concetti-valvola, ossia suscettibili di determinazione puntuale e tassativa, e (direi per loro natura) destinati proprio a non avere questa funzione, ad essere volutamente indeterminati. Da qui la necessità che le garanzie nei confronti del potere sostitutivo siano cercate essenzialmente nella disciplina procedurale e anche (prospetto come possibilità) nella Costituzione con organismi neutrali che possano valutare le esigenze che lo Stato adduce a motivazione dell'esercizio del potere sostitutivo.
Per quanto riguarda il problema dei controlli sugli atti amministrativi locali, l'opinione di Alfredo Corpaci e di Giovanni Duni, che io condivido, è che essi non siano stati resi in toto e per sempre costituzionalmente illegittimi, ma che abbiano soltanto perso la copertura costituzionale che prima li assisteva. Vorrei sottolineare a tale proposito (si tratta di una notazione ovviamente tecnica) che a questo punto si pone il problema ben esposto da Corpaci, che sottolinea che, mentre per i controlli di merito l'incostituzionalità, la contrarietà all'assetto attuale alla Costituzione è sicura, per i controlli di legittimità questa andrebbe valutata, invece, caso per caso, in relazione all'esistenza di singole esigenze che, volta per volta, sul piano della ragionevolezza lo possano giustificare.

TORCHIA. Interverrò brevemente su tre questioni.
La prima è una questione di ordine generale. Dalla lettura dei primi commenti ed anche delle audizioni che questa Commissione ha svolto ogni tanto traspare una sorta di paura del vuoto: c'è una nuova riforma costituzionale; chi esercita quali poteri, in quali condizioni, e così via. Vi vorrei ricordare che noi siamo, invece, in presenza di un ordinamento molto "pieno", in cui quasi tutti i compiti sono in larga misura disciplinati dalla legge, statale o regionale (più statale che regionale). C'è inoltre un principio di continuità dell'ordinamento, per cui è difficile che si creino vuoti, se non in casi molto specifici. Un problema di attuazione di questa riforma è prima di tutto un riordino dei poteri e delle norme esistenti, e un loro nuovo allineamento, secondo le regole che il nuovo Titolo V ci dà, che sono regole nuove, per l'appunto, che forse ancora nessuno di noi padroneggia e domina fino in fondo, che probabilmente la Corte costituzionale dovrà contribuire a definire. Ma insomma la paura dell'ordinamento che improvvisamente crea un vuoto mi sembra eccessiva.
Vorrei intervenire, inoltre, su due questioni di merito specifiche. In primo luogo sull'articolo 117, al primo comma, per il riconoscimento espresso nella nostra Costituzione dell'obbligo costituzionale di rispettare i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario, obbligo che si impone nella stessa misura e con la medesima forza alla potestà legislativa statale e alla potestà legislativa regionale; in secondo luogo, sulla potestà che qualcuno chiama esclusiva regionale, che ricomprende cioè quelle materie residuali che non sono nella potestà legislativa statale né in quella concorrente, che sono innominate (anche se qualche indizio, per così dire, su quali siano c'è) e che sono attribuite alla potestà legislativa regionale.
Sulla prima questione (mi limito naturalmente a svolgere alcune osservazioni di carattere generale) in dottrina, nei primi commenti, di questa formula del rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario è stata data una lettura continuista, dicendo che in fondo non fa altro che mettere a regime in maniera ricognitiva quello che l'ordinamento già conosceva, quello che la Corte costituzionale già aveva riconosciuto. Credo che questo sia in parte vero, ma non riconosce fino in fondo, invece, una innovatività della norma che c'è, perché con questa norma sicuramente non si può tornare indietro, la scelta diventa irretrattabile, per cui non c'è più una separazione tra ordinamenti, ma c'è un'integrazione.
Quindi, il modo dualista in cui la Corte costituzionale ha sempre interpretato il rapporto tra ordinamento interno e comunitario è da ascrivere ad un ragionamento costituzionale, per così dire, che non trova più spazio in questa Costituzione. La stessa teoria dei controlimiti che la Corte costituzionale ha usato sostenendo che c'è una distanza fra i princìpi e i valori fondamentali del diritto comunitario e quelli della nostra Costituzione, e che in questa istanza stanno i controlimiti e quindi c'è una separazione per ordinamenti, rientra in un ragionamento che dovrà essere sottoposto a revisione e più probabilmente la Corte costituzionale si troverà a fare dei bilanciamenti tra princìpi e valori diversi che stanno tutti nella nostra Carta, perché questa è una clausola di apertura espressa nella nostra Costituzione ai princìpi e ai valori dell'ordinamento costituzionale.
Vi è un problema di interpretazione, secondo me, relativo al potere sostitutivo in caso di mancato rispetto. Esistono due riserve di legge che andrebbero coordinate. In una si dice che lo Stato esercita il potere sostitutivo in caso di inadempienza della legge con la quale si determinano le procedure di partecipazione delle regioni alle fasi ascendente e discendente di formazione e di attuazione del diritto comunitario e poi si esercita il potere sostitutivo in caso di inadempienza. Questo è previsto nell'articolo 117 della Costituzione.
L'articolo 120 invece nell'ambito generale del potere sostitutivo stabilisce che in caso di mancato rispetto della normativa comunitaria, – i termini cambiano molto da norma a norma: atti normativi comunitari, atti dell'Unione europea, normativa comunitaria – lo Stato deve emanare una legge che stabilisca come si esercitano i poteri sostitutivi rispettando i princìpi di sussidiarietà e di leale collaborazione.
Bisognerà inoltre decidere se il mancato rispetto e l'inadempienza rappresentano la stessa fattispecie. Alcuni sostengono che l'inadempienza rappresenta semplicemente un comportamento omissivo mentre il mancato rispetto rappresenta un comportamento commissivo in contrasto con il diritto comunitario.
Le due riserve di legge andranno poi coordinate perché non possiamo avere due norme che stabiliscono come lo Stato interviene in sede di potere sostitutivo per una violazione del diritto comunitario.
In merito alla seconda questione, le materie che si ritengono riservate alla potestà legislativa residuale delle regioni sono l'agricoltura, l'industria ed il commercio, quelle materie cioè che vengono più spesso citate e riconosciute benché innominate.
Su queste materie lo Stato non dispone più di una potestà legislativa se non nella misura in cui esercita le clausole generali e quindi interviene in materia di ordinamento civile o di tutela della concorrenza, mentre per le materie economiche, più difficili, interviene con la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni connesse ai diritti sociali e civili.
Cosa succederà nell'ambito di queste materie è un interrogativo che dovrebbe interessarci perché è difficile pensare che siano possibili politiche regionali nel settore dell'industria, dell'agricoltura e del commercio, politiche nelle quali non ci siano poi degli interessi ultraregionali e che comunque devono essere tenuti presenti.
Anche in questo caso il terreno è fortemente coperto da normativa comunitaria ma è importante capire i limiti entro i quali le regioni possono esercitare questa potestà legislativa che è più ampia di quella concorrente.
Per quanto riguarda la potestà regolamentare, il professor Cassese ha affermato che si è rotto il parallelismo tra potestà legislativa e funzione amministrativa e si è anche disallineato il rapporto tra potestà legislativa, potestà regolamentare e funzione amministrativa. Come voi sapete, lo Stato ha la potestà legislativa solamente nelle materie di competenza esclusiva.
Questa potestà regolamentare diventa uno degli strumenti importanti di gestione delle decisioni per lo meno degli apparati a livello regionale e locale. Quali siano i limiti di tale potestà regolamentare e quale sia la legge comunque legata ad una norma che di volta in volta ne deve determinare l'ambito è questione sulla quale si sta discutendo.

ROMANO. Signor Presidente, mi rifaccio ad alcune osservazioni espresse dalla professoressa Torchia, ma vorrei anche accennare alcune considerazioni di carattere generale.
Ritengo che i nuovi riparti di competenza daranno luogo a problemi e conflitti infiniti non solo per come sono state definite certe materie quali, ad esempio, quella dell'ambiente che sta da una parte – è un esempio di scuola – e quella del governo del territorio e della salute che sta dall'altra. La questione è più profonda.
Esiste una prima contraddizione già presente nel vecchio sistema tra il criterio del livello di interesse – così definito nel passato mentre ora si tratta del principio di sussidiarietà – e la definizione di competenze per materia. Si tratta di due prospettive diverse le quali molte volte vanno a collidere e non parlano lo stesso linguaggio.
Questo è particolarmente importante in un sistema dominato dal principio di sussidiarietà; ma sussidiarietà intesa come criterio per decentrare quello che è accentrato o come criterio per accentrare quello che si è decentrato di colpo? Su questo problema i dati sono contraddittori tra vecchie norme e norme vigenti. Infatti, la nuova formulazione dell'articolo 114 della Costituzione non mi sembra si colleghi direttamente con l'articolo 5. È chiaro che la Repubblica, una ed indivisibile, può coesistere con alcune formulazioni dell'articolo 114 però mi pare che questo sia sull'altro versante.
Inoltre, non mi sembra molto coerente lo stesso articolo 114: leggendo il primo comma sembra quasi che la Repubblica sia una specie di consorzio di comuni ma, se questo viene letto più attentamente, possiamo renderci conto che le regioni, le province e i comuni sono enti autonomi, e per noi l'autonomia è un concetto tecnico molto preciso, un qualcosa che deriva da un'altra parte. Nell'ambito di questa qualificazione, sembrerebbe che lo Stato sia l'ente da cui deriva il tutto; ma è lo Stato che deriva a sua volta i poteri dalla Costituzione o è lo Stato che fa la Costituzione e la rivede? Questo è un interrogativo su cui si dibatte meglio nelle aule universitarie piuttosto che altrove.
E' poi a mio avviso alquanto importante, più che risolvere singole questioni di competenza, trovare una chiave di lettura della Costituzione, e probabilmente tale chiave di lettura può essere individuata in certi concetti già evocati e in talune clausole generali che si accompagnano al principio di sussidiarietà.
Mi ha colpito una domanda cruciale posta da una persona che ha inciso molto sulla formulazione della riforma. Possiamo ancora emanare una legge sul procedimento amministrativo? Possiamo disporre di un regime nazionale del diritto amministrativo per quanto riguarda i provvedimenti, i loro vizi, e così via?
A questo punto, la clausola che può dare una possibile apertura si trova nell'articolo 120 della Costituzione quando si fa riferimento – evidentemente non è questo il profilo che qui interessa – nell'ambito del potere sostitutivo alla tutela dell'unità giuridica o economica dello Stato. Ci troviamo completamente fuori dal discorso del controllo sostitutivo, ma questa norma evidentemente presuppone che esista a monte un'esigenza di unità giuridica che in certi casi può essere attuata in questo modo o anche in altri, in relazione soprattutto al principio di sussidiarietà e a quello delle ripartizioni delle competenze per materia.
Probabilmente questa è una clausola generale che può svolgere una funzione e nel dare razionalità al sistema può avere un grande ruolo.

BASSANINI (DS-U). Innanzi tutto, ringrazio l'Associazione degli studiosi di diritto amministrativo per la collaborazione offerta, che speriamo continuerà a fornire.
Questo ramo del Parlamento non ha potuto esercitare funzioni di vaglio e di revisione di un testo che abbiamo dovuto approvare a scatola chiusa, il che non toglie che oggi siamo particolarmente impegnati con senso di responsabilità istituzionale a cercare di risolvere i problemi applicativi nel modo migliore, eventualmente anche laddove sono previsti con disposizioni legislative che ne favoriscono un'applicazione ed un'attuazione ordinata e utile.
Vorrei rivolgere quattro domande ai vostri ospiti, due in particolare per conoscere la vostra opinione su questioni su cui abbiamo già avuto altri pareri, ma non sempre coerenti fra loro.
La prima riguarda una questione classica: nelle materie di competenza concorrente, a vostro avviso, in assenza di disposizioni transitorie (a meno di non ritenere applicabile in qualche modo analogicamente la IX disposizione transitoria e finale della Costituzione) si deve ritenere che, in assenza di leggi cornice che espressamente definiscono i princìpi fondamentali della legislazione concorrente, le regioni si debbano attenere ai princìpi desumibili dal sistema legislativo vigente? Oppure che debbano attendere l'emanazione di leggi di principio? Oppure che possano iniziare a legiferare dall'entrata in vigore delle nuove disposizioni del Titolo V senza alcun vincolo di principio? Sono le tre possibili risposte a tale quesito.
La seconda domanda riguarda la vexata quaestio dell'articolo 120 della Costituzione dove, nonostante i presupposti dell'esercizio del potere sostitutivo facciano pensare ad un intervento anche sulla legislazione, o sulle omissioni nell'esercizio del potere legislativo, tuttavia l'intestazione al Governo del potere sostitutivo rende molto difficile andare in questa direzione, e qui abbiamo anche sentito autorevoli interpretazioni in questo senso. E allora si può ritenere, sia pure limitando il discorso alla sostituzione nell'esercizio di funzioni e poteri non legislativi, come voi avete detto, che questi possano comportare anche, sotto la responsabilità del Governo, la disapplicazione di leggi regionali nelle more eventualmente del giudizio della Corte costituzionale in ordine alla legittimità costituzionale? La questione è abbastanza importante perché le innovazioni apportate al sistema di controllo delle leggi regionali fanno sì che le regioni possano in linea di principio legiferare anche in materia di competenza esclusiva dello Stato, nel senso che legiferano incostituzionalmente, ma tuttavia fino alla sentenza della Corte costituzionale tali normative potrebbero avere applicazione, quindi si potrebbe ritenere che il potere sostitutivo a tutela dell'unità giuridica ed economica, e di tutti gli altri valori costituzionali, intervenga proprio per evitare l'applicazione in via amministrativa di leggi regionali costituzionalmente illegittime, o per violazione dei principi sostanziali della Costituzione, o per violazione del limite di competenza legislativa delle regioni.
Terza domanda: vale l'VIII disposizione transitoria e finale che, a differenza della IX, non ha un termine temporale? In altri termini, occorre una legislazione sul trasferimento dei compiti e delle funzioni amministrative, e relative risorse (uffici strumentali, finanziari e patrimoniali), alle regioni in attuazione del nuovo sistema delle competenze? L'VIII disposizione non fissa un termine temporale, come in teoria fa la IX; è un problema di ordinato trasferimento, o conferimento, di uffici e di risorse. Naturalmente in questo caso bisognerebbe chiedersi se non si debba provvedere rapidamente, magari anche qui con la delega al Governo, come fu con la legge n. 59 del 1997, che peraltro applicava uno schema simile perché, sia pure senza copertura costituzionale, applicava lo schema dell'inversione dell'elenco delle materie nel rapporto tra legislatore delegante e legislatore delegato (qui, invece, tra legislazione costituzionale e legislazione ordinaria).
Quarta e ultima domanda. Secondo voi la nuova disposizione in materia di potestà regolamentare comporta il rischio di una inversione del processo di delegificazione e semplificazione, riduzione dell'inflazione legislativa e normativa che, sia pure con successi ed insuccessi in questi anni, era stato percorso? Qualche segnale c'è. La domanda è tuttavia se in materia quanto meno di legislazione concorrente non continui a spettare al legislatore nazionale il compito di dettare eventualmente un principio in tema di delegificazione, semplificazione e alleggerimento del carico normativo, salvo lasciare poi non più a regolamenti delegificanti governativi, ma a regolamenti regionali il compito di darvi attuazione.

VILLONE (DS-U). Signor Presidente, il collega Cassese ricordava la stagione della Commissione Giannini, dicendo che bisognerebbe oggi procedere ad un inventario completo delle funzioni. Credo che parecchi di noi in varia misura abbiano partecipato a quella fase, che però purtroppo oggi non penso possiamo ripetere, perché, già pressati come siamo dall'urgenza, non abbiamo a mio avviso il tempo di fare un inventario delle funzioni. Per farvi un esempio, proprio oggi ci è pervenuto un disegno di legge sulla sicurezza degli edifici che prevede l'istituzione del libretto del fabbricato. Possiamo fare una legge statale che lo istituisce, che lo disciplina in via di principio, che rimanda alla legge regionale, o che disciplina direttamente la funzione del comune nell'esercitare, appunto, il controllo sulla sicurezza degli edifici? Noi siamo già in una fase in cui quotidianamente la spinta degli eventi ci costringe a compiere delle scelte che non sono sempre, probabilmente, ispirate a princìpi di coerenza, dato che alla fine i problemi ci sono. Quindi, se dopodomani - per fare un esempio - cadesse un palazzo da qualche parte, noi in 48 ore vareremmo la legge sul libretto di sicurezza degli edifici. E non ci sarebbero considerazioni accademiche di qualunque genere idonee a fermare la cosa.
Dico questo perché io avverto un difetto nello schema che abbiamo di fronte, che mi viene da una considerazione che volevo sottoporre alla valutazione dei colleghi. Nell'esperienza dei moderni stati federali, o parafederali, in realtà alla fine non c'è materia in cui lo Stato centrale non possa all'occorrenza entrare. L'esperienza concreta ci dice che quando lo Stato federale decide di intervenire su una certa questione lo fa.
Questo accade infatti in Stati come la Germania, gli Stati Uniti, il Canada. Generalmente lo si fa attraverso clausole generali perché non è la definizione del dettaglio delle competenze lo strumento flessibile che determina il rapporto tra il centro e la periferia. In questo schema collettivamente predisposto - ci siamo infatti trovati nella condizione di non poter intervenire politicamente - non abbiamo pensato a questo aspetto. Ci sono momenti di rigidità e di compartecipazione, ma non ci sono clausole generali, idonee a determinare il rapporto flessibile che all'occorrenza consenta allo Stato centrale di fare il libretto sulla sicurezza degli edifici. Dobbiamo, a mio parere, cercare di trovare nella nostra ricostruzione i punti che consentono questa flessibilità: uno potrebbe essere quello delle funzioni fondamentali affidate ai Comuni, perché probabilmente questa è una via attraverso la quale si può cercare un ambito di flessibilità; un altro è la riflessione sull'articolo 120: il potere sostitutivo mirato esprime un interesse di rilievo costituzionale che può passare attraverso norme quali quelle dei livelli minimi o altro? Credo che la nostra legislazione non dovrebbe indirizzarsi in questo senso; ci troveremmo infatti nella condizione in cui, di fronte alla probabile inerzia di una o di molte regioni alla domanda di soluzione dei problemi, lo Stato centrale e il legislatore nazionale dovranno cominciare a legiferare. Vedo questo rischio perché il Parlamento risponde a domande concrete; quindi, il giorno in cui si verificherà una pressione qualunque, non è una maggioranza che dovrà dire di agire in un senso o in un altro. In realtà, è una spinta oggettiva che costringe ad agire.
Credo allora che dovremmo ragionare in questa chiave costruttiva perché questo schema non presto sufficiente attenzione a questo punto. Vi è un reale rischio per la effettività del sistema di innovazione che abbiamo attuato.
Vorrei ora porgere due domande, in primo luogo alla professoressa Torchia precedentemente intervenuta, premettendo che condivido la considerazione da lei espressa sull'ordinamento. La tesi che prospetta la collega Torchia è che non possiamo avere un filtro che fa prevalere, nell'ipotesi di conflitto, i nostri valori costituzionali; vi è cioè un'entrata diretta, senza alcun filtro, nell'ambito dei diritti fondamentali inviolabili? Capisco come questa tesi si possa argomentare ma su di essa bisogna riflettere al fine di capire se è il caso di seguirla fino in fondo.
Al collega Romano Tassone chiedo un chiarimento sull'aspetto relativo al controllo: l'opinione esposta è che le leggi attualmente esistenti rimangono tali e quali come se non fosse successo nulla: si può sostenere che rimangono in vigore le leggi statali e regionali, i comitati di controllo oppure che in questo frattempo decadono per cui eventualmente si può ridisciplinare la materia? Diversamente, sarebbe davvero un paradosso. D'altro canto i comitati di controllo spingono in tal senso. Capisco che una tesi di questo tipo si possa sostenere però mi sembra davvero paradossale.
Penso non vi sia alcun dubbio sulla fattibilità del procedimento amministrativo. In base a quanto già detto il ragionamento di base si spiega. La cosa davvero singolare è che negli Stati federali uno dei più grandi problemi è quello dell'unità giuridica per la quale si spendono soldi e tempo. Noi disponiamo dell'unità giuridica - forse è più esatto dire che ne disponiamo solo per certi versi - e sarebbe davvero curioso smantellarla.

PRESIDENTE. Ringrazio il senatore Villone anche per avere colto la sostanza delle osservazioni avanzate nel corso del dibattito, soprattutto citando la vicenda del parere che siamo chiamati ad esprimere su un tema molto importante. In verità, quotidianamente ci troviamo di fronte a situazioni che tentiamo di risolvere con il buon senso e la ragionevolezza, per usare un sostantivo di rilievo costituzionale.

MANZELLA (DS-U). Vorrei, ma non posso, rompere il clima di preoccupazione che i precedenti interventi hanno creato per le difficoltà oggettive che ogni giorno incontriamo e che rispondono ad una difficoltà propria del federalismo, laddove un processo federale non persegue l'unità, ma cerca di salvare una unità residuale. Allora, ogni sforzo rischia di essere confuso per un conservatorismo istituzionale. Bisogna però andare avanti. Mi veniva in mente l'aneddoto di Benedetto Croce, il quale alla affermazione di un suo consigliere che, molto preoccupato di non potere fare fronte a talune necessità, disse: oportet studere, rispose oportet studuisse. Allora, bisogna evitare sia l'horror vacui di cui parlava la collega Torchia sia il timore di eccessi interpretativi.
Mi sembra che proprio il professor Cassese abbia affermato che il profilo dell'unità emerge laddove è più in crisi, cioè nell'articolo 120. La prima domanda è quindi la seguente: alla ricerca di una unità fatta per inventari credo si sostituisca la ricerca di un'unità processuale; occorre cioè vedere se vi siano, oltre a clausole di riempimento dell'ordinamento per flessibilità, cui faceva riferimento il senatore Villone, anche competenze processuali invece che materiali.
Da questo punto di vista mi pare utile evidenziare che vi sia, oltre al criterio concorrenziale espresso chiaramente anche un criterio concorrenziale occulto. Il professor Cassese ha già fatto cenno alle materie comuni (le prestazioni concernenti i diritti civili; i beni culturali). Qui vi è un problema di dimensione trasversale.
Allora, mi soffermerei su questo aspetto per chiedere come possa essere sviluppato il punto sulla concorrenzialità occulta.
Un altro aspetto riguarda un punto che ho affrontato insieme al senatore Magnalbò riguardo alla relazione per il parere da rendere sulla legge comunitaria in sede di Commissione affari europei. La legge comunitaria rappresenta una sede di specificazione di principi fondamentali per tutta la gamma di legislazioni regionali, ancorché non rientranti nella concorrenza emersa. Infatti, la ricerca di unità è naturale negli Stati a tendenza, a struttura o in fase di processo federale (dagli USA, alla Spagna, all'Austria, alla Germania, al Belgio) e i meccanismi di cooperazione sono enormemente accresciuti e sono determinanti nella vita di questi Stati. Chi parla ancora di pericolo della legislazione concorrente, come facevano trent'anni fa alcuni gloriosi avvocati della regione, sbaglia, perché allora c'erano questi pericoli, mentre adesso la visione della legislazione concorrente è tutta assorbita in un concetto più ampio di leale collaborazione, e su questo concetto ci dobbiamo attestare senza paura.
Rispetto a tutto ciò, la riflessione sull'articolo 120 andrebbe portata più a fondo perché, nel momento in cui scriviamo che i Parlamenti hanno perso la funzione legislativa e che ormai siamo di fronte ad una attività normativa dei Governi, soprattutto con leggi delega, dobbiamo tener conto che ci troviamo anche di fronte ad un testo che ci dice che quel potere sostitutivo è solo di tipo amministrativo e non legislativo, compresi i decreti-legge, previsti in casi gravi (questo è l'aggettivo usato), in casi di urgenza o di distorsioni costituzionali della vita delle regioni, oppure a seguito di una sorta di delega ex Costituzione. Questa riflessione, nel filo dell'unità, mi sembrerebbe importante.
Vorrei anche chiedere ai nostri ospiti se ritengono percorribile la via di una fictio litis, secondo quanto qualche arguto Presidente di regione ha avanzato, fra Stato e regioni per avere dei pronunciamenti della Corte costituzionale su conflitti di attribuzione che nascano appositamente per avere un inquadramento costituzionale della materia.

DENTAMARO (Mar-DL-U). Signor Presidente, rivolgerò una sola domanda ai nostri ospiti, dopo averli ringraziati per la loro presenza.
Sono particolarmente interessata ad una delle questioni segnalate dalla professoressa Torchia: la legislazione regionale esclusiva residuale nei grandi settori produttivi del commercio, dell'industria e dell'agricoltura. Vorrei conoscere la loro opinione rispetto alla possibilità di sdrammatizzare questo problema, che sicuramente preoccupa molto anche gli esponenti delle categorie produttive circa l'eventualità di discipline differenziate tra le regioni che altererebbero il sistema della concorrenza. La sdrammatizzazione potrebbe avvenire considerando che le tre materie pongono innanzi tutto un problema di definizione come in tutti i casi di riparto di competenze. Questo problema può essere risolto considerando che le tre materie incrociano, per così dire, trasversalmente tante altre materie attribuite dall'articolo 117 alla potestà esclusiva o concorrente dello Stato: l'ordinamento civile, la tutela della concorrenza, la salute, la tutela degli alimenti, l'edilizia, la localizzazione dei grandi impianti produttivi o distributivi, quindi l'urbanistica, il sostegno dell'innovazione ai settori produttivi e tante altre.
Come ha giustamente affermato la professoressa Torchia, il problema è capire i limiti entro cui il legislatore statale può continuare ad intervenire su queste materie, che diventano particolarmente delicate incrociando le competenze esclusive. Non si può infatti non tener conto che commercio, industria e agricoltura sono già disciplinate da una legislazione statale vigente. Rispetto a quest'ultima, le stesse indicazioni del nuovo Titolo V della Parte II della Costituzione, ci offrono parametri di costituzionalità non dico sicuri ma relativamente chiari. Ad esempio, la legge Bersani sul commercio, la n.114 del 1998: possiamo già ipotizzare che qualunque intervento regionale ampliativo della tendenza liberalizzatrice della legge Bersani sia sicuramente compatibile con la nuova normativa e viceversa che qualsiasi intervento restrittivo risulterebbe incostituzionale per violazione del principio di tutela della concorrenza, che adesso è costituzionalizzato e comporterebbe la possibilità per lo Stato di intervenire in via legislativa. Lo si può considerare un "cavallo di Troia", non sarebbe un intervento definibile direttamente, però mi sembrerebbe assolutamente legittimo.
È poi suggestiva l'ipotesi della disapplicazione suggerita dal senatore Bassanini, ma ho l'impressione che vi siano problemi nell'identificazione del soggetto che dovrebbe operare la disapplicazione, perché è difficile immaginare un potere sostitutivo nella fase di disapplicazione. Di cosa si tratterebbe? Di un annullamento governativo? Di un provvedimento adottato dalle regioni? Mi rendo conto insomma che la domanda, più che a voi, è rivolta al senatore Bassanini.
Per concludere, a me sembra che riflettendo nel concreto sulle discipline vigenti e sulla quantità di situazioni che restano comunque aperte all'intervento normativo statale, residuino relativamente pochi e limitati spazi rispetto ai tre settori produttivi sui quali il legislatore statale non può intervenire.

MAGNALBO' (AN). Signor Presidente, vorrei aggiungere soltanto una nota a margine, rivolgendomi soprattutto alla professoressa Torchia. Si è posto il problema di quando le norme regionali, in base alla potestà che oggi hanno le regioni di regolare tutto, si incrociano con la legislazione esclusiva dello Stato e la legislazione concorrente. Personalmente credo che invece il problema maggiore derivi proprio dall'incrocio tra queste normative e i rapporti dello Stato con l'Unione europea. Sarebbe allora opportuno definire anche cosa si intende per "rapporti con l'Unione europea", perché si tratta di una dizione che può essere interpretata in modi diversi. Dare una definizione esatta di questa terminologia potrebbe allora costituire un punto cardine, visto che si aprono continuamente nuovi scenari interpretativi.

MANCINO (Mar-DL-U). Signor Presidente, voglio limitarmi sinteticamente a un paio di domande. La prima è relativa all'esercizio delle funzioni amministrative attribuite ai comuni, con la precisazione: salvo che per assicurarne l'esercizio unitario non ci sia bisogno di conferire, ovviamente attraverso leggi regionali, le debite competenze alle provincie, alle città metropolitane, eccetera. L'altra riguarda i controlli.
La prima domanda che pongo è la seguente: se le regioni non legiferano circa le modalità di riservare ad altri enti l'esercizio delle funzioni amministrative, avremo da una parte un'affermazione di principio, cioè che tali funzioni sono dei comuni e, dall'altra, un'inadempienza da parte delle regioni rispetto alle quali il potere sostitutivo sul piano legislativo è messo in discussione?
In secondo luogo, i controlli si esercitano in piena libertà: sono o possono essere più preventivi o successivi? Sono di sola legittimità? E in che modo possono essere esercitati? Essendo stato abolito l'articolo 130 della Costituzione, sul piano dell'istituzione dei controlli sorge qualche problema. Non vi è una copertura costituzionale, ma di certo si registra una situazione di palese sofferenza da parte degli enti locali che si vedrebbero di nuovo imposta una "camicia" di controllo, preventivo o successivo (credo più successivo).

CASSESE. Cercherò di rispondere molto sinteticamente. Una prima questione posta riguardava l'eventualità di disposizioni in assenza di leggi cornice. Credo che la risposta non possa che essere: in base ai principi desumibili dalla legislazione vigente. Innanzi tutto così è stato fatto in passato; in secondo luogo, sicuramente non si può attendere; inoltre, se si legiferasse senza seguire dei princìpi, e quindi comunque in totale libertà, sicuramente seguirebbero numerosi interventi ex post da parte della Corte costituzionale.
La seconda questione si riferiva al dubbio se debba esserci una disciplina del trasferimento. Io direi di sì, perché è sempre stato così, ma anche perché la questione è molto attenuata in quanto molte funzioni sono state trasferite con la legislazione degli anni 1997-98.
È poi indispensabile fare l'inventario completo delle funzioni; se non lo si realizza, come si fa a stabilire quali sono le funzioni amministrative che possono o debbono essere esercitate a livello superiore?
Sulla concorrenzialità occulta, la potestà legislativa esclusiva prevista dall'articolo 117 della Costituzione si divide in due categorie, una piena e una limitata.
Circa poi la cooperazione, personalmente direi di stare attenti, perché le divisioni indicate dalla Costituzione rappresentano una trama su cui si innesta l'attività cooperativa. Ormai tutti i poteri pubblici lavorano collaborando, con forme di collaborazione interistituzionale e ricorrendo addirittura alla forma dello scambio, cioè del contratto di diritto privato.
Infine, cosa avviene se le regioni non legiferano? Se ciò avviene, direi che ai comuni sono attribuite a titolo originario le funzioni amministrative e quindi questi le possono esercitare sulla base delle leggi esistenti.

ROMANO TASSONE. Signor Presidente, sul punto specifico concernente il piano dei controlli forse non mi sono pronunciato. I colleghi che hanno scritto su tale materia, i professori Corpaci e Duni, ritengono - e anch'io sono dello stesso avviso - che le norme esistenti sui controlli siano cadute in quanto norme di diretta attuazione di articoli della Costituzione abrogati, secondo il meccanismo quindi della normativa derivata che non può sussistere senza l'esistenza della norma che ne costituiva il fondamento. Il problema è che però, secondo un'opinione abbastanza consolidata, potrebbero essere predisposte norme che ripropongano quanto meno i controlli di legittimità. Questi andrebbero ancorati a parametri costituzionali che giustifichino la compressione dell'autonomia caso per caso; cioè non si potrebbero più definire normative generali ma normative singolari che in particolari materie indichino questa necessità.
Sul problema posto dal senatore Bassanini, cioè l'eventuale disapplicazione da parte del Governo di norme regionali incostituzionali in pendenza di giudizio, mi domando intanto se non sia possibile chiedere la sospensione davanti alla Corte costituzionale delle norme regionali impugnate. Questa potrebbe essere un'ipotesi. Comunque, nel caso in cui questo non fosse possibile - perché ovviamente una pronuncia denegatoria da parte della Corte secondo me eliminerebbe qualsiasi discussione - nell'ottica del mantenimento dell'unità giuridica dell'ordinamento, vorrei citare Santi Romano, che sosteneva la necessità come fonte dell'ordinamento giuridico e comunque delle norme di diritto positivo: sarei propenso ad ammetterla, sotto la diretta grave responsabilità del Governo nella sua interezza.

TORCHIA. Circa i rapporti con l'ordinamento comunitario, credo effettivamente che non esista più il filtro, per lo meno nei termini in cui è stato finora argomentato da una parte della giurisprudenza costituzionale; a meno che il senatore Villone non volesse riferirsi a quella parte di princìpi e valori fondamentali che, secondo la Corte e una parte della dottrina, sono ad esempio addirittura sottratti alla revisione costituzionale interna. Si tratta però di cose intangibili per tutti, non in maniera diversa per il diritto costituzionale nazionale o per il diritto comunitario di livello costituzionale.
Per quanto concerne i rapporti con l'Unione europea, credo che la dizione sia soprattutto relativa al profilo organizzativo di tali rapporti e che sia acclarato, ed ormai anche sanzionato espressamente, che le regioni hanno direttamente tutti i poteri di attuazione del diritto comunitario nelle materie di loro competenza; cosa che avevano anche prima, ma adesso la loro competenza viene decisamente ampliata e quindi si porrà il problema se il diritto comunitario si può soltanto applicare o se in alcuni casi ci vogliono condizioni uniformi di applicazione, per cui ogni regione non potrebbe applicarlo come crede.
Naturalmente, il diritto comunitario incide in particolare sulle materie di potestà legislativa residuale e generale delle regioni, fondamentalmente in materia di economia (quindi industria, agricoltura e commercio). Su questo fronte sicuramente – come diceva la senatrice Dentamaro – ci sono tante clausole che interferiscono, però dobbiamo stare attenti a non trarre dall'interferenza una competenza che non esiste. Se la tutela della concorrenza trova oggi copertura costituzionale definitiva ed espressa, così come la potestà regolamentare e altre cose che in questi anni si sono soltanto desunte, questo non significa però che alle regioni in quelle materie non residui uno spazio proprio. Non è del tutto chiaro quanto questo spazio sia ampio; ci sono tante interferenze, però probabilmente c'è, se vogliamo distinguerlo dalle materie di potestà concorrente, anche un nucleo che è comunque nella loro disponibilità.
Ritengo che sia fondamentale comprendere le decisioni del Parlamento circa i princìpi fondamentali, che per ora sono sicuramente desumibili dalla legislazione vigente. La legislazione futura dovrebbe però assolutamente porsi questo problema. Fra i principi fondamentali si potrebbe ad esempio considerare il principio di delegificazione e di semplificazione, che può diventare criterio per la legislazione regionale.

ROMANO. Per quanto si riferisce ai controlli, credo che sia necessaria una profonda meditazione. La riforma della Costituzione su questo punto va interpretata nel senso che non si vogliono questi controlli. Quindi, per un verso, più che un problema di invalidazione, esiste un problema di abrogazione, il che rappresenta da un lato qualcosa in più, da un altro qualcosa in meno: in più come effetto diretto, in meno perché è un problema che non coincide perfettamente con il discorso della possibilità di reintrodurre tali controlli, naturalmente in altre forme; perché il fatto che non se ne parli più nella Costituzione toglie sicuramente una copertura, ma allo stesso tempo non crea un divieto. Ora come ora, però, mi sembra che storicamente quella modifica abbia un significato molto chiaro.
Sull'unità giuridica dell'ordinamento mi fa piacere che sia stata evocata e sottolineata l'importanza di questo aspetto. Non posso far altro che confermare che questa mi sembra una clausola molto importante, che fa emergere - sia pure in modo obliquo a proposito di una questione estremamente settoriale - un principio di fondo che può avere tantissime applicazioni ulteriori.
Un terzo aspetto concerne la questione delle conseguenze agli inadempimenti agli obblighi comunitari o quando siano coinvolti discorsi concernenti la sicurezza; personalmente direi che questi sono i presupposti del decreto-legge. Prima o poi dovremo preoccuparci del problema, ancora non emerso, del rapporto tra competenza governativa sui decreti-legge e competenza legislativa ordinaria. La competenza sui decreti-legge è ovviamente a sé e mira a provvedere ad esigenze imprevedibili, urgenti e necessarie. Io personalmente non avrei dubbi circa la necessità che questa competenza resti in capo al Governo, ma forse questo ci obbliga a ripensare la legge di conversione, perché non si intravede uno spazio, al di fuori della competenza statale, per il decreto-legge come spostamento di competenza legislativa dovuto ad urgenza, bensì la vecchia configurazione del decreto-legge come misure adottate per far fronte ad una situazione, misure provvisorie che non toccano l'ordine normale delle competenze.

PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti per il loro prezioso intervento e li invito a consegnare alla Commissione i contributi scritti da loro predisposti.
Dichiaro conclusa l'audizione e rinvio il seguito dell'indagine conoscitiva ad altra seduta.

I lavori terminano alle ore 16,20.