SENATO DELLA REPUBBLICA
XIV LEGISLATURA

 

 

1ª COMMISSIONE PERMANENTE

(Affari costituzionali, affari della Presidenza del Consiglio e dell'interno,

ordinamento generale dello Stato e della Pubblica Amministrazione)

 

 

INDAGINE CONOSCITIVA SUGLI EFFETTI NELL'ORDINAMENTO DELLE REVISIONI DEL TITOLO V DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE

 

 

17° RESOCONTO STENOGRAFICO

 

 

 

SEDUTA DI MERCOLEDI' 16 GENNAIO 2002

(Pomeridiana)

Presidenza del presidente PASTORE

 

 

 

 

 


 

I testi contenuti nel presente fascicolo - che anticipa ad uso interno l'edizione del Resoconto stenografico - non sono stati rivisti dagli oratori

 

INDICE

Audizione dei rappresentanti dell'Unioncamere

PRESIDENTE

 

SANGALLI

 

Audizione dei rappresentanti del coordinamento nazionale tra gli organi regionali di consulenza e controllo per gli enti locali

 

PRESIDENTE

IOANNUCCI (FI)

CICCANTI (CCD-CDU:BF)

 

ANGARANO

BALLI

BORTONE

LO NOCE

LORENZONI

MODESTI

PATRASSI

PORTATADINO

 

N.B: L'asterisco indica che il testo del discorso è stato rivisto dall'oratore

Sigle dei Gruppi parlamentari: Alleanza Nazionale: AN; CCD-CDU:Biancofiore: CCD-CDU:BF; Forza Italia: FI; Lega Nord Padania: LNP; Democratici di Sinistra-l'Ulivo: DS-U; Margherita-DL-l'Ulivo: Mar-DL-U; Verdi-l'Ulivo: Verdi-U; Gruppo per le autonomie: Aut; Misto: Misto; Misto-Comunisti italiani: Misto-Com; Misto-Rifondazione Comunista: Misto-RC; Misto-Socialisti Democratici Italiani-SDI: Misto-SDI; Misto-Lega per l'autonomia lombarda: Misto-LAL; Misto-Libertà e giustizia per l'Ulivo: Misto-LGU; Misto-Movimento territorio lombardo: Misto-MTL; Misto-Nuovo PSI: Misto-NPSI; Misto-Partito repubblicano italiano: Misto-PRI; Misto-MSI-Fiamma Tricolore: Misto-MSI-Fiamma.

 

 

Intervengono il Ministro per la funzione pubblica e il coordinamento dei servizi di informazione e sicurezza Frattini, i Sottosegretari di Stato per la difesa Bosi per l'economia e le finanze Contento, per le infrastrutture e i trasporti Mammola e per l'interno Mantovano. Intervengono, ai sensi dell'articolo 48 del Regolamento, in rappresentanza dell'Unioncamere il presidente Carlo Sangalli e il vice presidente Ferruccio Dardanello, accompagnati dal segretario generale Giuseppe Tripoli e dalla responsabile dell'ufficio legislativo Tiziana Pompei; in rappresentanza del coordinamento nazionale tra gli organi regionali di consulenza e controllo per gli enti locali il presidente Franco Balli e il vice presidente Fabio Lorenzoni, nonché Giorgio Bortone, Giovanni Bulfaro, Pasquale Litterio, Alfredo Lo Noce, Cataldo Modesti, Serafino Petricone, Costante Portatadino, presidenti di Comitati Regionali di Controllo, Vincenzo Angarano, Rosanna Di Gioacchino, Domenico Di Pinto, Roberto Patrassi, membri di Comitati Regionali di Controllo, Filippo Centonze e Antonio Martinangeli, dirigenti di Comitati Regionali di Controllo.

 

I lavori hanno inizio alle ore 14,35.

 

 

PROCEDURE INFORMATIVE

 

Audizione dei rappresentanti dell'Unioncamere

 

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'indagine conoscitiva sugli effetti nell'ordinamento delle revisioni del Titolo V della Parte II della Costituzione, sospesa nella seduta antimeridiana.
Abbiamo oggi in programma le audizioni dei rappresentanti dell'Unioncamere e del coordinamento nazionale tra gli organi regionali di consulenza e controllo per gli enti locali.
Dal momento che abbiamo poco tempo a disposizione, do immediatamente la parola all'onorevole Carlo Sangalli, perché esprima le osservazioni che l’Unioncamere desidera sottoporre all'attenzione della Commissione sulla modifica del Titolo V della Costituzione.

SANGALLI. Signor Presidente, desideriamo innanzitutto ringraziare il Senato per questa audizione, che a noi piace interpretare come un gesto di grande attenzione verso il mondo delle Camere di commercio, che rappresentiamo.
Come certamente sapete, le Camere di commercio sono state rinnovate con la legge n. 580 del 1993, che ha stabilito una nuovo assetto normativo; sono quindi istituzioni rinnovate, al servizio dello sviluppo economico del territorio. Le Camere di commercio rientrano altresì nell'ambito delle autonomie funzionali, sono cioè istituzioni che debbono la loro autonomia non tanto al territorio nel quale sono insediate, quanto alla funzione che esse svolgono, cioè la promozione del sistema delle imprese e dell'innovazione, che costituiscono elementi decisivi della trasformazione della nostra società.
Al riguardo, vi fornisco il seguente dato: dagli anni Trenta ad oggi, il numero delle imprese industriali e dei servizi è passato da 1 milione a circa 4 milioni, che diventano 5 considerando le imprese agricole. Questo rilevante numero di imprese rappresenta il 20 per cento del totale europeo, con un tasso di crescita davvero rilevante, soprattutto nel Sud: ogni giorno, infatti, in Italia nascono 1.000 imprese. Si è creato quindi un nuovo ceto medio, con una identità sempre più riconoscibile, che esprime nuove richieste ed ha nuove aspettative, nuove aspirazioni nei confronti delle istituzioni e della politica.
Vorrei precisare che le Camere di commercio sono federaliste - se mi consentite l'espressione - "credenti e praticanti", perché sono gli unici enti locali provvisti di federalismo fiscale: i bilanci dipendono esclusivamente dal diritto annuale che le imprese versano alla propria Camera di commercio. Noi abbiamo da sempre insistito sull'esigenza di una riorganizzazione dello Stato che salvaguardasse l'unità, valorizzando al tempo stesso le diversità, le tante autonomie di cui è ricco il Paese.
Per quanto riguarda le modifiche del Titolo V della Costituzione, approvate nella scorsa legislatura, constatiamo che nel testo della legge costituzionale n. 3 del 2001 mancano alcuni tasselli importanti e sono presenti alcune incertezze e contraddizioni. In particolare, nella legge sopra citata, vi sono alcuni passaggi che penalizzano le Camere di commercio. Innanzitutto, è venuto meno nell'articolo 118 il riferimento alle autonomie funzionali, che pure era presente nel testo licenziato dalla Commissione affari costituzionali della Camera; è scomparsa, inoltre, la categoria degli "altri enti locali", nella quale le Camere di commercio erano ricomprese. Oggi resta soltanto nell'articolo 5 l’espressione "autonomie locali", nella quale certamente noi ci riconosciamo.
A nostro giudizio, queste due omissioni sono gravi, soprattutto alla luce della sentenza n. 477 del 2000 della Corte costituzionale, in cui si riconosce che le Camere di commercio sono enti pubblici locali dotati di autonomia funzionale e si precisa che la Camera di commercio "entra a pieno titolo, formandone parte costitutiva, nel sistema dei poteri locali, secondo lo schema dell'articolo 118 della Costituzione".
Vorrei svolgere un'altra considerazione. La riscrittura del Titolo V della Costituzione, secondo noi, non tiene conto delle ricchezze di tutte le autonomie, sia territoriali sia funzionali, e fornisce una visione piatta, sbilanciata quasi esclusivamente sulle istituzioni a base territoriale. Una visione dell’ordinamento tutta incentrata sul dato territoriale, secondo noi, è sorpassata e non avverte le esigenze di società sempre più complesse come la nostra.
Il ruolo di quelle che il Costituente chiamò "formazioni sociali", inserendole nell’articolo 2 della Carta costituzionale, assume oggi in uno Stato più moderno, più ricco, una dimensione nuova e fondamentale. Le imprese, che le Camere di commercio rappresentano e tutelano, costituiscono un mondo, una collettività che ragiona, che decide, che opera avendo come punto di riferimento non tanto il territorio quanto piuttosto il mercato. Quindi, per le imprese un’organizzazione istituzionale adeguata non può avere esclusivamente come riferimento e in un certo senso anche come vincolo il territorio. Non tenere conto di questo fenomeno ha l’effetto di portare alla realizzazione di un federalismo che, secondo noi, è soltanto parziale. La riforma su cui ci siamo espressi pochi mesi fa con il referendum è, a nostro parere, incapace di fornire delle risposte innovative.
Il fatto che - come dicevo prima - si sia affermata una visione tradizionale del decentramento, sbilanciata tutta sul dato territoriale, ha prodotto anche due effetti che desidero sottolineare. Da un lato, ha portato a trascurare il ruolo dell’associazionismo e del privato organizzato; dall’altro, ha ridotto la sussidiarietà ad un’idea fondata solo sulla prossimità territoriale, dimenticando la sua dimensione funzionale, nonché l’indispensabile complementarietà che deve esistere tra enti diversi e nei riguardi della società civile ed economica.
La legge costituzionale n. 3 del 2001 si pone anche in controtendenza rispetto all’assetto istituzionale dei principali Paesi europei, anche ad ordinamento federale. Infatti, nei Paesi a forte esperienza federalista vi è un chiaro ruolo delle Camere di commercio in una logica di sussidiarietà con le istituzioni locali e nazionali. In Germania, in Spagna, in Austria le istituzioni camerali costituiscono dei sistemi a rete su base nazionale, come enti pubblici sottoposti ad una disciplina unitaria.
Il presidente del Consiglio Berlusconi per la celebrazione del nostro centenario ci ha inviato un messaggio, datato 11 dicembre 2001, di cui mi permetto di leggere una parte: "Nel prossimo Consiglio dei ministri licenzieremo il decreto legislativo sulla devolution. Sarà un’occasione importante per riformare la nostra Carta costituzionale in modo davvero moderno e al passo con l’Europa. Mi auguro, altresì, che alla fine il testo possa tener conto anche delle autonomie funzionali a cui le Camere di commercio appartengono".
Forti anche di questo messaggio, cogliamo l’occasione di questa audizione per rappresentare al Senato della Repubblica alcune proposte. Ci auguriamo che il Parlamento corregga in alcuni passaggi la riforma, tenendo conto del ruolo delle autonomie funzionali, salvaguardando e valorizzando l’autonomia delle Camere di commercio e dei loro organi.
Ci auguriamo anche - ma sappiamo che tale questione non riguarda il Senato - un’adeguata presenza delle Camere di commercio nei principali organismi di raccordo e coordinamento tra lo Stato, le Regioni e le altre autonomie, in modo particolare per quanto riguarda la cabina di regia.
Siamo, inoltre, convinti - questa è un’altra richiesta - che le autonomie funzionali dovrebbero portare il proprio contributo ai lavori della Commissione bicamerale per le questioni regionali allargata ai rappresentanti delle regioni, delle province autonome e degli enti locali.
Inoltre, dovrebbe essere confermata in tutti gli statuti regionali - mi rendo conto anche in questo caso che si tratta di un passaggio distinto rispetto a quanto abbiamo chiesto al Senato - la partecipazione delle Camere di commercio ai consigli delle autonomie locali, luogo di consultazione tra la regione e gli enti locali, di cui le autonomie funzionali già fanno parte in diverse realtà.
Signor Presidente, seguendo l’intenzione del Parlamento e del Governo di ritoccare e rivedere in alcuni passaggi la Carta costituzionale, le Camere di commercio dovrebbero essere riconosciute come autonomie funzionali, per quello che hanno rappresentato in seguito anche alla modifica approvata dal Parlamento nel 1993, elevandole al ruolo di istituzione, riconoscendo loro una forte autonomia. Riteniamo importante che in questo passaggio legislativo ulteriore ci sia questo riconoscimento che, secondo noi - lo diciamo non da avvocati d’ufficio ma perché ne siamo convinti - le Camere di commercio, per tutto quello che hanno rappresentato e rappresentano, certamente meritano.

PRESIDENTE. Voglio raccogliere la preoccupazione dell’Unioncamere, espressa in maniera molto chiara dal suo Presidente, cioè che addirittura la rilevanza costituzionale prima conferita alle Camere di commercio e agli enti locali non territoriali dall’articolo 118 sia venuta meno o, quantomeno, si sia attenuata, perché a questo punto occorre far riferimento soltanto agli articoli 2 e 5.
Non so quanto possa essere utile, tuttavia farei anche un richiamo all’ultimo comma del nuovo articolo 118, che in qualche modo, anche se in maniera molto debole, prevede l’applicazione del principio di sussidiarietà cosiddetta orizzontale, nel quale potrebbe rientrare anche l’attività di questi enti, basati su strutture di carattere associativo e che quindi rispecchiano delle realtà, in questo caso imprenditoriali e in genere del lavoro, nel loro territorio.
Se questa è conclusione è corretta, prego il presidente Sangalli di dare un cenno di conferma e dirci se ritiene che l’ultimo comma del nuovo articolo 118 possa essere già usato, allo stato dell’arte, per recuperare questa "caduta" istituzionale della veste delle Camere di commercio.

SANGALLI. Signor Presidente, la ringrazio per aver richiamato l'ultima parte dell'articolo 118, che riguarda appunto la sussidiarietà orizzontale. Ne prendo atto e le sono grato per il fatto che anche lei testimonia che si tratta quasi di aggrapparsi ad un fuscello mentre si sta per annegare.
Piuttosto che niente va bene anche questo, anche se - secondo me - si tratta di un'interpretazione riduttiva, perché la sussidiarietà deve essere un concetto molto più forte, molto più carico di contenuti. Quando investe un'istituzione, essa deve tener conto anche della partecipazione delle altre istituzioni e, quindi, di un senso di corresponsabilità. Ci vorrebbe quella che persone più erudite di me definiscono "sussidiarietà verticale".
Comunque, ripeto, forti di quello che le Camere di commercio hanno rappresentato nel passato, della nuova legge, di alcune interpretazioni legislative delle leggi Bassanini, forti soprattutto del messaggio che il presidente Berlusconi ha inviato per la celebrazione del nostro centenario, pur restando questa parte marginale, ci auguriamo che una parte sostanziale della Carta costituzionale riconosca in maniera netta le autonomie funzionali, riconosca quindi la capacità istituzionale delle Camere di commercio di poter continuare a svolgere un ruolo di tutela dei propri appartenenti, cioè le imprese.

PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti per la disponibilità manifestata e dichiaro conclusa la loro audizione.

I lavori proseguono in altra sede dalle ore 14,55 alle ore 18,20.

Audizione dei rappresentanti del coordinamento nazionale tra gli organi regionali di consulenza e controllo per gli enti locali

PRESIDENTE. Proseguiamo i nostri lavori con l'audizione dei rappresentanti del coordinamento nazionale tra gli organi regionali di consulenza e controllo per gli enti locali, che saluto e ringrazio per i contributi scritti che hanno già inviato alla Commissione in relazione agli aspetti della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione che li riguardano più da vicino.
Preciso che, qualora intendessero farci pervenire un ulteriore contributo scritto dopo l'audizione, ad integrazione di quelli che già ci sono stati inviati, sarà allegato agli atti dell'indagine conoscitiva. Infatti il tempo a nostra disposizione è piuttosto limitato in considerazione dei successivi lavori della Commissione.
Lascio quindi la parola all'avvocato Balli, presidente del coordinamento.

BALLI. Signor Presidente, prenderà per primo la parola il dottor Modesti, presidente del CO.RE.CO. delle Marche.

MODESTI. Signor Presidente, la ringraziamo per averci concesso questa audizione che noi riteniamo molto importante. Seguiamo con attenzione il dibattito che si sta svolgendo in questa Commissione e le audizioni di autorevoli personalità, a cominciare dal governatore Fazio e dagli ex presidenti della Corte costituzionale Baldassarre ed Elia. Vogliamo portare un nostro modesto contributo affinché alcuni aspetti vengano compresi con maggiore chiarezza, in quanto riteniamo che c'è una certa confusione e che alcune decisioni siano state prese quanto meno in maniera frettolosa ed inopportuna a livello regionale.
Conoscete meglio di noi l'iter della riforma costituzionale e quindi tralascerò questo aspetto per non perdere tempo.
In molte Regioni, con semplici lettere dei Presidenti delle stesse, è stato messo al bando il Testo unico sugli enti locali per la parte che riguarda i controlli. Altre Regioni si sono comportate diversamente e in esse si sta lavorando esattamente come prima della riforma, nel pieno rispetto del Testo unico citato. Tale paradosso, a nostro avviso, è stato causato da improvvisazioni perché, quand'anche fosse vero - e noi non siamo del tutto convinti - che debbano essere obbligatoriamente abrogati i controlli, in ogni caso ciò deve essere fatto con strumenti legislativi ordinari nazionali o regionali.
Anche noi, come tanti, siamo perplessi sull'attribuzione della competenza. Noi riteniamo che, in base all'articolo 117, una parte della competenza sia dello Stato, una parte appartenga alla legislazione concorrente e un'altra sia completamente regionale. Le Regioni hanno compiuto, a nostro avviso, una fuga in avanti appropriandosi in maniera frettolosa di competenze sulle quali bisognava riflettere, come giustamente la Commissione che ci ospita sta facendo, per cercare di interpretare al meglio come applicare la riforma della Costituzione.
Noi vogliamo cogliere questa occasione - vi lasceremo un documento - anche per sottoporre al Parlamento, quindi in questo caso alla 1a Commissione del Senato, alcune riflessioni di natura politica, perché non vi sono solo aspetti tecnici o legislativi, ma anche questioni politiche assai rilevanti. Stiamo discutendo della vita democratica in oltre 8.100 comuni, del comportamento di decine di migliaia di consiglieri comunali e di migliaia di assessori, cioè l'anello della democrazia più vicino ai cittadini.
Le riforme dell'ultimo decennio sono andate a senso unico: è stato attribuito un forte potere ai sindaci con l'elezione diretta, vi è stata una concentrazione dei poteri negli esecutivi, uno svuotamento di gran parte delle funzioni delle assemblee elettive, una subordinazione degli apparati agli esecutivi, con l'utilizzazione del principio della nomina discrezionale (e conseguentemente a questo anche consistenti miglioramenti economici), altro che autonomia! Molta parte dell'apparato dei dirigenti è più di prima, in realtà, subalterna a chi governa pro tempore gli enti locali.
Questo processo doveva essere accompagnato da controlli più penetranti, più significativi. Addirittura, con l'abrogazione dell'articolo 130, si è messo in moto lo smantellamento totale dei controlli. È un paradosso, non ci sono riferimenti analoghi in alcuni Paese dell'Unione europea dove, in forme diverse, i controlli sono presenti.
C'è il pericolo, evidenziato anche dalle audizioni che avete svolto, di dirottare lo scontro politico delle istituzioni locali in direzione dell'autorità giudiziaria, quella contabile, quella penale, quella amministrativa. Fra poco i ricorsi all'autorità giudiziaria si faranno con il ciclostile. Noi che siamo un punto di riferimento importante per capire qual è lo stato degli enti locali - abbiamo orecchie per ascoltare e occhi per vedere a causa del ruolo che svolgiamo - siamo a conoscenza quotidianamente di palesi, evidenti violazioni delle regole. Chi è soggetto a determinate forzature, a fatti evidenti non può fare niente, se non rivolgersi all'autorità giudiziaria con tempi biblici (non ci sarà mai risposta), con un imbarbarimento del confronto politico (vedremo quel che succederà a livello nazionale).
Quindi forme di controllo vanno comunque mantenute, a nostro avviso, in maniera diversa dal passato: non controlli ripetitivi, ma su atti fondamentali. Consentitemi un esempio: com'è possibile che i comuni possano approvare gli statuti senza che nessuno dia un visto - se non un controllo - di congruità, di legittimità. Oggi tutto passa tramite i regolamenti; pensiamo a quelli importanti che hanno attinenza con il singolo cittadino, coi tributi, con le varie imposte comunali. Tutti emanano regolamenti, non c'è più nessuno che pone un visto per valutare se questi sono conformi alla norma. Nel Paese si rischia di mettere in campo una babele di linguaggi, di comportamenti davvero incomprensibili. Non penso fosse questo lo spirito di chi voleva il federalismo.
A nostro avviso, è necessario che il Parlamento e le Regioni, nella loro autonomia, valutino questo tipo di problematiche. Noi riteniamo che forme di controllo siano utili e necessarie per questioni di principio, per garantire una maggiore trasparenza e una maggiore democrazia nella vita degli enti locali, ma sono anche utili agli stessi amministratori. Soltanto un amministratore - chi vi parla lo è stato per tantissimi anni - che ha il paraocchi non riesce a capire che forme di controllo sono una garanzia anche per lui.
Vorrei fare un'ultima osservazione per sfatare troppi luoghi comuni sui comitati di controllo, fermi a 15, 20 o 30 anni fa. Già a partire dalla legge n. 142 del 1990 i comitati di controllo hanno subìto una trasformazione profonda; successivamente si è andati ancora oltre nel senso di alleggerire, indebolire le forme di controllo. In ogni caso tali comitati sono organi agili (non c'è confronto nella pubblica amministrazione circa la tempestività con cui adottano le decisioni, essendo previsto l'istituto del silenzio-assenso); costano poco; svolgono un ruolo importante di tutela, di rispetto delle regole e di filtro - come dicevo in precedenza - rispetto a ricorsi che possono seguire altri rivoli; sono organi assolutamente autonomi.
Qualcuno continua a parlare di controllo politico delle Regioni sugli enti locali. Stiamo scherzando, di cosa parliamo? I comitati di controllo, in base alla legge, sono organi assolutamente autonomi, sono estremamente professionalizzati perché il meccanismo di nomina è tutt'altro che politico. La Regione non sceglie chi vuole ma in base a terne proposte da ordini professionali; quelli che non provengono da tali terne comunque devono dimostrare di avere un curriculum di tutto rispetto. Quindi sono organi molto professionalizzati, ma soprattutto autonomi.
Quando sento parlare, come ha fatto la regione Toscana nei giorni scorsi, con legge regionale, di sopprimere il CORECO attribuendo le funzioni residue al difensore civico (nella relazione si accenna al principio della terzietà), io rabbrividisco. Il difensore civico è nominato dal Consiglio regionale a maggioranza, in alcuni casi è anche rimovibile: quale autonomia ha se deve controllare gli atti del controllato? Il cittadino si dovrebbe rivolgere al difensore civico per controllare l'amministrazione che lo ha nominato. Ma scherziamo? Il comitato di controllo ha tutt'altra stoffa.
Quindi, noi siamo contrari a controlli rituali, ripetitivi e che possono sembrare anacronistici, che è giusto superare; siamo favorevoli invece a forme di controllo significative sugli atti fondamentali degli enti e vogliamo diventare - lo abbiamo previsto anche in alcuni documenti - degli sportelli al servizio degli enti locali. La consulenza, in particolare, che si sta diffondendo in alcune Regioni. Vogliamo svolgere controllo eventuale - non generalizzato - sugli atti che le Giunte, di loro iniziativa, o un determinato numero di consiglieri comunali richiedono perché ravvisano delle illegittimità. Rimanga almeno questo e anche, ad esempio, un meccanismo - questo ovviamente riguarda più che altro le Regioni - di supporto e segreteria all'istituendo Consiglio regionale delle autonomie per dare una maggiore credibilità a questo nuovo istituto che non dipenda esclusivamente dagli uffici regionali.
Lascio ora la parola ad altri colleghi. Consegniamo un documento che può essere utile per le vostre riflessioni.

LORENZONI. Signor Presidente, ho presieduto il comitato di controllo sugli atti del comune di Roma e delle IPAB romane. Faccio parte del coordinamento nazionale e ho seguito negli ultimi dieci anni l'evoluzione della normativa sui controlli fra enti di diverso livello territoriale: in passato i controlli dello Stato sulle Regione e, più recentemente, quelli delle Regioni sugli enti locali.
Porto l'esperienza vissuta a partire dal 1990 con la legge n. 142 e poi con la legge n. 127 del 1997, che ha visto una modificazione assolutamente radicale della posizione e della funzione del controllo affidato ai comitati.
Le ragioni dell'opposizione ai controlli dei CO.RE.CO. da parte di alcuni comuni deriva dalla normativa e dalla vicenda sostanzialmente terminata nel 1990. Sino ad allora i controlli erano esercitati atto per atto, con un'incidenza assolutamente pervasiva nei confronti dell'attività quotidiana delle amministrazioni locali e - non possiamo nasconderlo - con un'occasionale, ma non sporadica, utilizzazione della sede del controllo per dare forza ad una minoranza che, nell'ambito della dialettica democratica, non aveva altrettanta forza nel dibattito ordinario.
Dal 1990 gli atti sottoposti al controllo sono stati drasticamente ridotti: nel 1997 addirittura si è arrivati a sottoporre al controllo pochissimi atti. Sono rimaste invariate le modalità di esercizio del controllo in tempi ristretti e con il meccanismo del silenzio-assenso, per cui non si è verificata nessuna possibilità di intralcio nei confronti dell'azione amministrativa degli enti locali. È stato sostituito però il controllo oppositivo atto per atto con uno di tipo collaborativo. A tale innovazione abbiamo affidato numerose riflessioni e abbiamo seguito l'iter parlamentare della legge n. 127 del 1997. Abbiamo notato con interesse in questa normativa, a fianco alla modifica dell'oggetto del controllo, l'introduzione della figura della consulenza. Essa rappresenta l'elemento più significativo del passaggio dal controllo oppositivo a quello collaborativo.
I tre anni trascorsi sicuramente hanno dimostrato che, in effetti, introdurre la consulenza nell'ambito delle funzioni di controllo collaborativo è stata una felice intuizione.
Oggi ci troviamo di fronte alla modifica del Titolo V della parte seconda della Costituzione e ad una disposizione drastica di abrogazione dell'articolo 130, con una configurazione dei rapporti tra i diversi enti territoriali che, in qualche modo, ribalta la precedente impostazione. Per la verità, lo fa fino a un certo punto nel senso che già nell'articolo 5 della Costituzione è prevista una formula per cui la Repubblica riconosce e garantisce le autonomie; quindi, quella formulazione normativa - che è rimasta in vigore, ma era già vigente prima della modifica del Titolo V - già fornisce una configurazione per cui il carattere delle autonomie è originario e non derivato dalla legge che le istituisce.
È certo però che la figura della sussidiarietà fornisce una diversa collocazione dei rapporti tra i vari enti locali a diverse dimensioni territoriali. Di qui la possibilità di abolire il controllo o la rivendicazione di considerare il controllo assolutamente incompatibile con il nuovo assetto costituzionale.
Noi riteniamo che tale incompatibilità non sussista. Infatti, il controllo oppositivo, che determina un'avocazione del potere finale in capo all'ente regionale, è sicuramente tramontato: esso non ha ragione d'essere, non ha plausibilità e non è compatibile con il disegno costituzionale. Però, il concetto di sussidiarietà, non a caso, si accompagna, nella stessa dizione testuale del nuovo articolo 118 della Costituzione, ai principi della differenziazione e dell'adeguatezza. Si parla del potere sostitutivo, che nell'ambito del potere di controllo è un istituto assolutamente essenziale e fondamentale per configurare il carattere dell'istituto stesso. Oltre alla sussidiarietà si fa riferimento alla necessità di rispettare il principio della leale collaborazione.
Ebbene, in base a questi quattro concetti giuridici, che assumono certamente carattere innovativo nella nostra normativa (sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione) riteniamo che l'esperienza dei controlli (quella realizzata proprio dai comitati regionali di controllo a partire dalla legge n. 142 del 1990 e poi con la legge n. 127 del 1997) possa costituire patrimonio a cui far riferimento per costruire strumenti di raccordo che si caratterizzino in modo diverso. Forse sarebbe opportuno parlare non più di controllo, bensì di monitoraggio, di valutazione dei risultati, di capacità di individuare standard di qualità, di trovare momenti di consulenza che vadano al di là della semplice espressione del parere e che siano collegati, invece, all'assunzione di determinazioni e a forme di ausilio e di verifica delle capacità di interdipendenza, che devono essere costruite con carattere di novità.
A tale scopo abbiamo formulato una serie di riflessioni che in parte abbiamo già consegnato alla Commissione. Abbiamo immaginato, inoltre, alcune formulazioni normative nei nuovi statuti regionali. Al riguardo, riteniamo di segnalare, in particolare, l'importanza dell'esperienza che abbiamo alle spalle al fine di adeguare la nuova normativa alla capacità di realizzare gli istituti nuovi del nuovo assetto istituzionale su pochi concetti ben determinati: la terzietà dell'organo, la collegialità delle determinazioni assunte, la tempestività di quest'ultime (che non possono essere prese a pretesto per paralizzare l'azione del soggetto sottoposto al controllo) e la loro professionalità (che è poi la garanzia più valida dell'imparzialità delle determinazioni e della distinzione del controllo rispetto all'attività di amministrazione attiva).
A tal proposito siamo molto perplessi circa le soluzioni che si intendono dare ad alcuni di questi controlli, attribuendoli non più ad organi imparziali, ma agli assessorati o agli assetti burocratici della Regione.
L'innovazione sul piano culturale è affidata, allo stato attuale, sostanzialmente al decreto legislativo n. 286 del 1999 che ha definito e regolamentato in via generale i nuovi istituti del controllo e del monitoraggio e della valutazione dei costi, segnando il divario che esiste tra le ambizioni normative e le capacità di realizzazione sul piano operativo. Non possiamo nascondere che le determinazioni di quel decreto legislativo, che fanno parte del quadro che si è poi concluso con la riforma della Costituzione, sono culturalmente e particolarmente aggiornate; al contempo, però, non si può nascondere che si tratta di determinazioni che allo stato restano solo enunciazioni, che richiedono "gambe" per camminare. L'esperienza che intendiamo portare in questa sede credo possa rappresentare un esempio da prendere in considerazione, piuttosto che lasciare alla facile propaganda la denigrazione di istituti che, francamente, meritano diversa attenzione.

BALLI. Signor Presidente, ho lavorato per diciotto anni in un organo di controllo e quindi ho maturato una certa esperienza al riguardo. Peraltro, ho anche fatto parte di un organismo europeo (EURORAI), che rappresenta l'unione dei vari organi di controllo di tutta Europa. Infatti, tutti parlano di federalismo, ma se in Europa si analizza l'esperienza dei Paesi dove il federalismo è applicato ( mi riferisco soprattutto alla Spagna, alla Germania e all'Austria) si nota che in tutti esiste un organismo terzo, il cui nome può variare da regione a regione, che effettua il controllo dei bilanci e delle attività degli enti locali a lui sottoposti. A mio avviso, quindi, occorre sfatare del tutto la teoria di coloro (in particolare, i sindaci delle grandi città e l’ANCI) che sostengono che il loro mandato nasce da una vittoria popolare e quindi non è soggetto ad alcun controllo che non sia di tipo giurisdizionale. Sappiamo (l’esperienza ce lo insegna ogni giorno) che da noi il controllo giurisdizionale può provocare solo grandi problemi.
Ma chi ha ricevuto un mandato politico amministra denaro pubblico, non suo. La differenza tra le imprese pubbliche e quelle private risiede nel fatto che queste ultime fanno quel che vogliono, perché utilizzano denaro loro, mentre quelle pubbliche devono rispondere a qualcuno. Quel "qualcuno" non può essere solo ed esclusivamente, per così dire, la giurisdizione perché, come noto, da noi funziona quanto meno male; oltre tutto, senza controlli, si amplierebbe il peso della giurisdizione e credo che andremmo (mi scusi, signor Presidente, se uso una immagine un po’ forte) veramente a "scatafascio".
A questo punto, dunque, vogliamo sottoporre il controllo alla Corte dei conti ? Questa ha accumulato dei ritardi in materia pensionistica al punto che deve ancora definire le pensioni riferite alla prima guerra mondiale; per quelle della seconda guerra mondiale sono passati cinquant’anni. Dunque, è un organismo che non può dare una risposta concreta, rapida e immediata.
Pensiamo ai revisori dei conti e ai difensori civici? Rilevo che i revisori dei conti sono nominati dagli stessi organi che dovrebbero controllare; quindi, secondo me, hanno un peso molto limitato. L’utilizzo dei difensori civici determinerebbe invece una stortura del loro ruolo, perché nel momento in cui essi divenissero controllori dell’attività pubblica (a parte il fatto che, ovviamente, sono nominati dallo stesso comune) perderebbero il ruolo di difensori civici.
Che rimane, allora? Ci vuole un qualche organismo che allo stato attuale io individuo nel CORECO: l’unico in cui sussistono competenze di natura giuridica, contabile, fiscale e commerciale (visto che è presente un rappresentante dell’ordine dei commercialisti). Quindi è un organismo in grado di svolgere il cosiddetto controllo "sulla" gestione (e non "di" gestione) dell’ente locale, che è esattamente quello che oggi manca e che non si può, a mio avviso - lo ripeto per l’ennesima volta -, affidare alla Corte dei conti. A parte il fatto che quest’ultima, a fianco alla sezione di controllo ha quella giurisdizionale, per cui c’è il rischio di innescare un meccanismo diabolico, il comitato di controllo è un organismo terzo, che sicuramente offre tutte le garanzie necessarie di tempi brevi. Non è vero, infatti, che il comitato di controllo è un ente che propone lacci e lacciuoli, come hanno affermato i sindaci. Esso risponde in 30 giorni. Abbiamo istituzionalizzato per primi l’istituto del silenzio-assenso, cosa non da poco. Se il Comitato di controllo non si pronuncia entro 30 giorni, l’atto viene approvato; quindi vi è rapidità nelle decisioni.
Un’ultima riflessione. Tutte queste storture, secondo me, sono nate dal fatto che il controllo è stato considerato come preventivo di legittimità, in base all’articolo 130 della Costituzione, poi abrogato. In realtà il controllo non deve essere preventivo, ma successivo, come in tutti gli altri Paesi europei, che - a mio avviso - può essere bene e ampiamente esercitato dal comitato di controllo o da un organismo a lui similare.
Informo che lascerò agli Uffici un documento relativo ad un intervento che ho svolto al riguardo in un convegno.

PORTATADINO. Signor Presidente, sono il presidente della sezione interprovinciale Brescia-Bergamo-Mantova, quindi nella regione Lombardia. Mi limiterò a trattare il tema della consulenza, che è stato introdotto dalla legge n. 127 del 1997 e che, a giudizio unanime, non è stato caducato dall’approvazione della legge costituzionale.
Ci troviamo in una situazione abbastanza paradossale: i CO.RE.CO. non svolgono più una funzione di controllo, ma di consulenza. Quindi potrebbe essere temeraria l’iniziativa di qualche Regione tendente ad abolire definitamente e totalmente la struttura stessa del Comitato di controllo.
Soprattutto voglio portare brevemente in questa sede l’esperienza e la posizione della regione Lombardia che, dopo aver approvato con una delibera del 2000 le modalità dell’esercizio della consulenza (che peraltro veniva già svolta in maniera informale), proprio lunedì scorso ha approvato con una nuova delibera, che di seguito riassumerò, il potenziamento della funzione di consulenza. Mi piacerebbe anche riassumere brevemente i "considerando" della delibera, in particolare che "considerato che il venire meno dei controlli preventivi di legittimità da un lato e il crescere delle funzioni amministrative svolte dagli enti locali dall’altro comportano per questi ultimi la necessità di un supporto giuridico-istituzionale qualificato da parte delle regioni, individuato nella consulenza già svolta dall’organo di controllo, opportunamente rafforzata ed ampliata, la Regione Lombardia delibera una serie di modalità attuative".
Lascerò anch’io agli uffici questo documento che va in una direzione opposta a quella della soppressione o della riduzione di un sostegno operativo agli enti locali e rafforza questa diversa funzione di consulenza. Quindi, amplia al limite massimo consentito la possibilità di raccogliere e di ottenere preventivi elementi di valutazione in ordine all’adozione di atti o provvedimenti: dunque, non più soltanto gli atti oggetto di delibere collegiali, ma anche provvedimenti oggetto di iniziative, per esempio, dei funzionari riguardanti l’attività amministrativa dell’ente, ottenendo dalla competente sezione territoriale del comitato di controllo i pareri in forma scritta, purché la richiesta sia avanzata dal legale rappresentante o da qualsiasi altro soggetto dell’amministrazione competente ad emanare l’atto in oggetto.
Questa consulenza può riguardare la definizione e la trasmissione di qualsiasi elemento utile al raggiungimento dello scopo richiesto dall’ente in relazione al quadro normativo, alle norme statutarie, alla giurisprudenza, ed alla dottrina.
Inoltre (anche questa è una discreta novità) la Regione dispone che vi possano essere strumenti alternativi al singolo parere scritto, quali incontri sul territorio, circolari interpretative e simili.
Vorrei dare atto anche in questa sede istituzionale così importante della fiducia che la regione Lombardia ha testimoniato nei confronti delle sue due sezioni interprovinciali (è qui presente anche il dottor Patrassi, della sezione interprovinciale di Milano) per affidare loro un compito che a mio avviso non è solo delicato, ma anche estremamente importante, proprio per la quantità e a la qualità delle nuove funzioni cui gli enti locali e tutti gli altri enti ad essi assimilati sono chiamati.

LO NOCE. La nostra presenza in questa sede, come in occasione di altri incontri con le istituzioni, non è tesa a postulare sostituzioni di attività o a difendere ruoli o posizioni precostituite. Siamo qui per esprimere le nostre preoccupazioni di cittadini, di contribuenti per il modo in cui vengono impiegate le risorse economiche da parte degli enti locali.
Siamo preoccupati per la mancanza di un controllo sull’impiego delle risorse economiche con la conseguenza che, in un momento di federalismo fiscale, i cittadini dovranno provvedere a ripianare gli eventuali deficit che gli enti locali avranno creato con un loro ipotetico comportamento non conforme alle leggi vigenti sotto il profilo della legittimità.
Ci rendiamo conto del percorso iniziato nel lontano 1995 dall’ex ministro Bassanini, che ha iniziato a demolire poco alla volta interi pacchetti normativi che riguardavano il funzionamento degli enti locali e che aveva come obiettivo quello dell’eliminazione totale dei controlli e, in particolare, della figura dei comitati di controllo, portato all’estremo.
Al fine di uscire da Tangentopoli e al fine di garantire gli amministratori si è, poco alla volta, proceduto in questo senso. Si è cominciato a ridurre i controlli su atti particolarmente importanti, quali i contratti di appalto, le assunzioni di personale da parte degli enti locali; si è svuotato, poi, il potere dei Consigli comunali e provinciali dando maggiore importanza e rilievo, maggiori poteri al presidente della Giunta regionale, della Giunta provinciale e al sindaco, eletti direttamente dai cittadini.
Si è poi separata la funzione di gestione da quella di indirizzo politico lasciando quest’ultimo ai politici (quindi ai consiglieri comunali, agli assessori, ai presidenti delle Giunte, ai sindaci) e lasciando la gestione, e quindi le responsabilità, ai dirigenti e ai funzionari; nel contempo si è eliminata la funzione del segretario comunale come garante della legittimità degli atti. Il segretario comunale attualmente viene scelto dal sindaco, che ne determina il compenso e che esercita su di lui quel potere gerarchico che permane sui suoi dirigenti e, quindi, fa sì che questi possano compiere, siglare e avallare determinate delibere al di fuori di qualsiasi controllo.
Sotto quest’aspetto, ci rendiamo conto che le risorse economiche, nel momento in cui vengono dilatati i poteri dei vertici dei consigli provinciali e comunali, vengono poste in serio pericolo. Nel momento in cui un’autonomia viene dilatata oltre ogni misura e non aumentano, nel contempo, le responsabilità, soprattutto patrimoniali, di chi amministra, di chi governa, di chi dà l’indirizzo politico c’è un calo di democrazia. I cittadini sono fortemente preoccupati per tutto questo.
Occorre, pertanto, adottare provvedimenti che possano ripristinare controlli successivi, come esistono in tutta Europa. Negli stati federali, quali l’Austria, la Germania, la Spagna, i controlli esistono, funzionano molto bene e garantiscono sia il buon impiego delle risorse economiche sia che gli atti della pubblica amministrazione rispondano ai requisiti dell’economia, dell’efficienza e dell’economicità.

BORTONE. Vorrei sottolineare, signor Presidente, che in Italia oggi vi sono un’infinità di situazioni diverse.
Gli atti degli 8.000 comuni d’Italia, ad esempio, vengono giudicati in maniera diversa a seconda di dove si trova il comune che li ha emanati; per cui vi sono atti sottoposti soltanto a consulenza ed atti sottoposti a controllo, come avviene per la regione Puglia dove noi continuiamo a godere di una piena fiducia. Mi meraviglia come alcuni colleghi dei CO.RE.CO. accettino lettere della Giunta con cui si comunica la cessazione dell’attività. Io, francamente, mi sarei ribellato, non avrei accettato che una legge dello Stato o una legge regionale venisse cancellata con una semplice circolare.
In Italia, invece, esiste questa situazione. Vi sono comuni che emanano atti che vengono controllati ed altri che non subiscono alcuna forma di controllo.
Qualcuno che coordini e metta ordine ci dovrà pur essere. E' interesse dello Stato non lasciare completamente liberi i comuni per gli atti più significativi, quali i bilanci, le piante organiche, i piani regolatori, per i quali non esiste più alcuna forma di controllo.
Quando, fra non molto, questi comuni avranno contratto paurosi debiti, a chi si rivolgeranno? Chi dovrà ripianare i loro debiti?
Per il passato, lo Stato ripianava il debito. Oggi dovranno rivolgersi alle Regioni, le quali dovranno aumentare le tasse e dovranno mettere balzelli. Fra non molto, andremo incontro a situazioni di caos, disordine e sfiducia.
Oggi si può ancora intervenire, nel tentativo di risolvere la questione, e in questo senso, signor Presidente, vorremmo avanzare una proposta.
E’ possibile costituire una commissione della quale, oltre a far parte autorevoli membri del Governo, membri delle Commissioni parlamentari e consiglieri regionali, possano essere chiamati a far parte anche alcuni membri del coordinamento nazionale? Forse una commissione di studio potrebbe sortire un effetto pratico per cercare di risolvere un problema che non il nostro. E’ banale doverlo dire, ma qui nessuno difende alcunché; tutti abbiamo un lavoro, un’attività, una professione.
Io, ad esempio, ricopro la carica di presidente del comitato di controllo per 547.000 lire nette al mese; questo perché non si pensi che i rappresentati ed i membri del CO.RE.CO. percepiscano chissà quali compensi. Come affermava l’avvocato Lorenzoni, si tratta di un’attività gratuita; è una professionalità gratuita concessa a tutti i comuni. Le sezioni di controllo, quando si riuniscono, in un anno non costano più di 20-30 milioni, signor Presidente.
Quando un comune è costretto a far controllare un atto servendosi di una consulenza esterna paga di certo queste cifre. Anche questi sono risparmio, economia ed oculatezza, anche su questo bisognerà cercare di intervenire.
Suggeriamo, quindi, di istituire una commissione, un comitato, un organismo del quale chiamare a far parte anche alcuni rappresentati del coordinamento nazionale. Ve ne saremmo grati.

ANGARANO. I pericoli di indebitamento a cui si è fatto riferimento già esistono.
Posso affermare, in qualità di rappresentante del CO.RE.CO. di Bari, che noi abbiamo grossi comuni che hanno già contratto, o meglio pensano di contrarre (e non so come faranno), in presenza già di deficit fuori bilancio, debiti dai 10 ai 30 miliardi.
Considerate le spese di gestione del consiglio comunale (quali, ad esempio, gli stipendi dei consiglieri comunali, le consulenze esterne ed altro), la cifra che può essere destinata agli investimenti deve invece ammontare a circa un 20 per cento delle entrate.
Stando così le cose credo che fra non molto si arriverà alla bancarotta.

PATRASSI. Sono membro del CO.RE.CO di Milano e assistente universitario della cattedra di diritto pubblico dell’università Statale.
Non parlerò di controllo, ma solo di consulenza. Sono d'accordo con quanto detto dal dottor Portatadino, dall'avvocato Lorenzoni, dal dottor Modesti e dall'avvocato Balli. Desidero solamente avanzare la proposta di un organo che sopperisca nell'attività consultiva, non giurisdizionale, a tutti gli enti locali per gli esposti, i reclami presentati dalle associazioni di categorie e dai cittadini che hanno liti pendenti contro la pubblica amministrazione. È una proposta che rispecchia il sistema adottato dalla Regione siciliana, che prevede il ricorso straordinario al presidente della Giunta regionale contro gli atti della pubblica amministrazione.
Considerato che il controllo sugli atti non deve esistere più, praticamente la Regione, nel rispetto del proprio statuto, potrebbe avvalersi dell'esperienza e della professionalità dei componenti di questi comitati per dare certezza ed economicità all'azione dei suoi cittadini, senza ricorrere al TAR o alla giurisdizione penale.

PRESIDENTE. Il dottor Patrassi ha parlato di consulenza ai cittadini. Tuttavia, mi sembra che si tratti di una consulenza rivolta soprattutto agli enti e a quei componenti degli organi rappresentativi che magari, essendo in minoranza, non hanno possibilità di rivolgersi ad alcun soggetto, se non ad un tribunale amministrativo.

PORTATADINO. Esatto, Presidente. Ma non è solo questo, bensì passare da un controllo sulla non illegittimità, diciamo così, ad una metodologia di soluzione dei problemi. Di solito, è difficile trovare una soluzione legittima perché non si conosce fino in fondo la natura del problema e le possibilità alternative di risolverlo in modo diverso.
La funzione del comitato di controllo (che in questo caso diventa di consulenza), dal momento che esso ha un’esperienza, un raccordo con l'ente Regione e con altre realtà, è quella di suggerire soluzioni: si tratta di un aspetto nuovo rispetto alla tradizione precedente.

IOANNUCCI (FI). Quindi, praticamente volete passare da una funzione di controllo ad una funzione di consulenza preventiva? Volete unire il controllo di legittimità alla consulenza? Probabilmente c'è un po' di confusione.

BALLI. Si tratta di due aspetti del tutto distinti. Nessuno vuole più far rivivere l'articolo 130 della Costituzione. Da una parte, c’è la consulenza, che è un'attività - tra l'altro statuita ormai dalla cosiddetta Bassanini e prevista da varie norme - di aiuto agli enti locali; dall’altra, c'è un'attività di controllo successivo, non preventivo o di legittimità, sugli atti fondamentali, nella specie la finanza pubblica e i bilanci.
E' esattamente ciò che fanno gli organismi di controllo negli altri Paesi europei. Ad esempio, in Inghilterra fino ad un certo punto il controllo non esisteva. È stata la signora Thatcher ad istituire le Audit Commission, che non effettuano un controllo, ma compiono una verifica dei bilanci degli enti locali (a pagamento degli stessi, oltre tutto) e redigono un rapporto. Queste commissioni, quindi, non avrebbero un potere di annullamento degli atti, ma semplicemente formulerebbero un rapporto sulla situazione all'organismo, in questo caso il consiglio regionale. È chiaro che tale rapporto poi avrà un grande peso politico, però è comunque di carattere tecnico.

IOANNUCCI (FI). Insomma, è un rapporto di carattere collaborativo.

CICCANTI (CCD-CDU:BF). Come le Authority.

BALLI. Lasciamo stare le Authority. Sono contrario ad esse, perché a mio modesto avviso da noi sono state costituite per incrementare lo stipendio dei relativi componenti e dipendenti.

MODESTI. Vorrei fare una precisazione per rispondere alla domanda della senatrice Ioannucci.
Quando parliamo dei controlli (è scritto nel documento che abbiamo lasciato), ci riferiamo solo ai controlli eventuali, cioè quelli a richiesta dell'ente, come previsto in parte anche adesso dal Testo unico. Tali controlli possono essere richiesti dalla Giunta o, in alcuni casi, dalle minoranze consiliari.
Crediamo che questo sia un passaggio molto importante, che è giusto rimanga, perché i controlli generalizzati non servono a niente.

IOANNUCCI (FI). Ho formulato appositamente la domanda, perché volevo che questo punto fosse ben chiaro al lettore del resoconto stenografico della vostra audizione. Poteva rimanere qualche dubbio sull’argomento, avrebbe creato qualche perplessità. Ora, invece, è tutto chiaro; la proposta che avete delineato rende possibile un esame più fattivo.

PRESIDENTE. Ringrazio i componenti del coordinamento del CO.RE.CO per la collaborazione offerta. Sono sicuro che le loro osservazioni verranno tenute ben presenti da questa Commissione nel futuro lavoro di elaborazione legislativa.
Dichiaro conclusa l’audizione e rinvio il seguito dell’indagine conoscitiva ad altra seduta.

I lavori terminano alle ore 19,15.