17° RESOCONTO STENOGRAFICO
Presidenza del presidente PASTORE
I testi contenuti nel presente fascicolo - che anticipa ad uso interno l'edizione del Resoconto stenografico - non sono stati rivisti dagli oratori
PRESIDENTE
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SANGALLI |
Audizione dei rappresentanti del coordinamento nazionale tra gli organi regionali di consulenza e controllo per gli enti locali
PRESIDENTE IOANNUCCI (FI) CICCANTI (CCD-CDU:BF)
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ANGARANO BALLI BORTONE LO NOCE LORENZONI MODESTI PATRASSI PORTATADINO |
N.B: L'asterisco indica che il testo del discorso è stato rivisto dall'oratore
Sigle dei Gruppi parlamentari: Alleanza Nazionale: AN; CCD-CDU:Biancofiore: CCD-CDU:BF; Forza Italia: FI; Lega Nord Padania: LNP; Democratici di Sinistra-l'Ulivo: DS-U; Margherita-DL-l'Ulivo: Mar-DL-U; Verdi-l'Ulivo: Verdi-U; Gruppo per le autonomie: Aut; Misto: Misto; Misto-Comunisti italiani: Misto-Com; Misto-Rifondazione Comunista: Misto-RC; Misto-Socialisti Democratici Italiani-SDI: Misto-SDI; Misto-Lega per l'autonomia lombarda: Misto-LAL; Misto-Libertà e giustizia per l'Ulivo: Misto-LGU; Misto-Movimento territorio lombardo: Misto-MTL; Misto-Nuovo PSI: Misto-NPSI; Misto-Partito repubblicano italiano: Misto-PRI; Misto-MSI-Fiamma Tricolore: Misto-MSI-Fiamma.
Intervengono il Ministro per la funzione pubblica e il coordinamento dei servizi di informazione e sicurezza Frattini, i Sottosegretari di Stato per la difesa Bosi per l'economia e le finanze Contento, per le infrastrutture e i trasporti Mammola e per l'interno Mantovano. Intervengono, ai sensi dell'articolo 48 del Regolamento, in rappresentanza dell'Unioncamere il presidente Carlo Sangalli e il vice presidente Ferruccio Dardanello, accompagnati dal segretario generale Giuseppe Tripoli e dalla responsabile dell'ufficio legislativo Tiziana Pompei; in rappresentanza del coordinamento nazionale tra gli organi regionali di consulenza e controllo per gli enti locali il presidente Franco Balli e il vice presidente Fabio Lorenzoni, nonché Giorgio Bortone, Giovanni Bulfaro, Pasquale Litterio, Alfredo Lo Noce, Cataldo Modesti, Serafino Petricone, Costante Portatadino, presidenti di Comitati Regionali di Controllo, Vincenzo Angarano, Rosanna Di Gioacchino, Domenico Di Pinto, Roberto Patrassi, membri di Comitati Regionali di Controllo, Filippo Centonze e Antonio Martinangeli, dirigenti di Comitati Regionali di Controllo.
I lavori hanno inizio alle ore 14,35.
PROCEDURE INFORMATIVE
Audizione dei rappresentanti dell'Unioncamere
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca
il seguito dell'indagine conoscitiva sugli effetti nell'ordinamento delle
revisioni del Titolo V della Parte II della Costituzione, sospesa nella seduta
antimeridiana.
Abbiamo oggi in programma le audizioni dei rappresentanti dell'Unioncamere e del
coordinamento nazionale tra gli organi regionali di consulenza e controllo per
gli enti locali.
Dal momento che abbiamo poco tempo a disposizione, do immediatamente la parola
all'onorevole Carlo Sangalli, perché esprima le osservazioni che l’Unioncamere
desidera sottoporre all'attenzione della Commissione sulla modifica del Titolo V
della Costituzione.
SANGALLI. Signor Presidente,
desideriamo innanzitutto ringraziare il Senato per questa audizione, che a noi
piace interpretare come un gesto di grande attenzione verso il mondo delle
Camere di commercio, che rappresentiamo.
Come certamente sapete, le Camere di commercio sono state rinnovate con la legge
n. 580 del 1993, che ha stabilito una nuovo assetto normativo; sono quindi
istituzioni rinnovate, al servizio dello sviluppo economico del territorio. Le
Camere di commercio rientrano altresì nell'ambito delle autonomie funzionali,
sono cioè istituzioni che debbono la loro autonomia non tanto al territorio nel
quale sono insediate, quanto alla funzione che esse svolgono, cioè la
promozione del sistema delle imprese e dell'innovazione, che costituiscono
elementi decisivi della trasformazione della nostra società.
Al riguardo, vi fornisco il seguente dato: dagli anni Trenta ad oggi, il numero
delle imprese industriali e dei servizi è passato da 1 milione a circa 4
milioni, che diventano 5 considerando le imprese agricole. Questo rilevante
numero di imprese rappresenta il 20 per cento del totale europeo, con un tasso
di crescita davvero rilevante, soprattutto nel Sud: ogni giorno, infatti, in
Italia nascono 1.000 imprese. Si è creato quindi un nuovo ceto medio, con una
identità sempre più riconoscibile, che esprime nuove richieste ed ha nuove
aspettative, nuove aspirazioni nei confronti delle istituzioni e della politica.
Vorrei precisare che le Camere di commercio sono federaliste - se mi consentite
l'espressione - "credenti e praticanti", perché sono gli unici enti
locali provvisti di federalismo fiscale: i bilanci dipendono esclusivamente dal
diritto annuale che le imprese versano alla propria Camera di commercio. Noi
abbiamo da sempre insistito sull'esigenza di una riorganizzazione dello Stato
che salvaguardasse l'unità, valorizzando al tempo stesso le diversità, le
tante autonomie di cui è ricco il Paese.
Per quanto riguarda le modifiche del Titolo V della Costituzione, approvate
nella scorsa legislatura, constatiamo che nel testo della legge costituzionale
n. 3 del 2001 mancano alcuni tasselli importanti e sono presenti alcune
incertezze e contraddizioni. In particolare, nella legge sopra citata, vi sono
alcuni passaggi che penalizzano le Camere di commercio. Innanzitutto, è venuto
meno nell'articolo 118 il riferimento alle autonomie funzionali, che pure era
presente nel testo licenziato dalla Commissione affari costituzionali della
Camera; è scomparsa, inoltre, la categoria degli "altri enti locali",
nella quale le Camere di commercio erano ricomprese. Oggi resta soltanto
nell'articolo 5 l’espressione "autonomie locali", nella quale
certamente noi ci riconosciamo.
A nostro giudizio, queste due omissioni sono gravi, soprattutto alla luce della
sentenza n. 477 del 2000 della Corte costituzionale, in cui si riconosce che le
Camere di commercio sono enti pubblici locali dotati di autonomia funzionale e
si precisa che la Camera di commercio "entra a pieno titolo, formandone
parte costitutiva, nel sistema dei poteri locali, secondo lo schema
dell'articolo 118 della Costituzione".
Vorrei svolgere un'altra considerazione. La riscrittura del Titolo V della
Costituzione, secondo noi, non tiene conto delle ricchezze di tutte le
autonomie, sia territoriali sia funzionali, e fornisce una visione piatta,
sbilanciata quasi esclusivamente sulle istituzioni a base territoriale. Una
visione dell’ordinamento tutta incentrata sul dato territoriale, secondo noi,
è sorpassata e non avverte le esigenze di società sempre più complesse come
la nostra.
Il ruolo di quelle che il Costituente chiamò "formazioni sociali",
inserendole nell’articolo 2 della Carta costituzionale, assume oggi in uno
Stato più moderno, più ricco, una dimensione nuova e fondamentale. Le imprese,
che le Camere di commercio rappresentano e tutelano, costituiscono un mondo, una
collettività che ragiona, che decide, che opera avendo come punto di
riferimento non tanto il territorio quanto piuttosto il mercato. Quindi, per le
imprese un’organizzazione istituzionale adeguata non può avere esclusivamente
come riferimento e in un certo senso anche come vincolo il territorio. Non
tenere conto di questo fenomeno ha l’effetto di portare alla realizzazione di
un federalismo che, secondo noi, è soltanto parziale. La riforma su cui ci
siamo espressi pochi mesi fa con il referendum è, a nostro parere,
incapace di fornire delle risposte innovative.
Il fatto che - come dicevo prima - si sia affermata una visione tradizionale del
decentramento, sbilanciata tutta sul dato territoriale, ha prodotto anche due
effetti che desidero sottolineare. Da un lato, ha portato a trascurare il ruolo
dell’associazionismo e del privato organizzato; dall’altro, ha ridotto la
sussidiarietà ad un’idea fondata solo sulla prossimità territoriale,
dimenticando la sua dimensione funzionale, nonché l’indispensabile
complementarietà che deve esistere tra enti diversi e nei riguardi della società
civile ed economica.
La legge costituzionale n. 3 del 2001 si pone anche in controtendenza rispetto
all’assetto istituzionale dei principali Paesi europei, anche ad ordinamento
federale. Infatti, nei Paesi a forte esperienza federalista vi è un chiaro
ruolo delle Camere di commercio in una logica di sussidiarietà con le
istituzioni locali e nazionali. In Germania, in Spagna, in Austria le
istituzioni camerali costituiscono dei sistemi a rete su base nazionale, come
enti pubblici sottoposti ad una disciplina unitaria.
Il presidente del Consiglio Berlusconi per la celebrazione del nostro centenario
ci ha inviato un messaggio, datato 11 dicembre 2001, di cui mi permetto di
leggere una parte: "Nel prossimo Consiglio dei ministri licenzieremo il
decreto legislativo sulla devolution. Sarà un’occasione importante per
riformare la nostra Carta costituzionale in modo davvero moderno e al passo con
l’Europa. Mi auguro, altresì, che alla fine il testo possa tener conto anche
delle autonomie funzionali a cui le Camere di commercio appartengono".
Forti anche di questo messaggio, cogliamo l’occasione di questa audizione per
rappresentare al Senato della Repubblica alcune proposte. Ci auguriamo che il
Parlamento corregga in alcuni passaggi la riforma, tenendo conto del ruolo delle
autonomie funzionali, salvaguardando e valorizzando l’autonomia delle Camere
di commercio e dei loro organi.
Ci auguriamo anche - ma sappiamo che tale questione non riguarda il Senato -
un’adeguata presenza delle Camere di commercio nei principali organismi di
raccordo e coordinamento tra lo Stato, le Regioni e le altre autonomie, in modo
particolare per quanto riguarda la cabina di regia.
Siamo, inoltre, convinti - questa è un’altra richiesta - che le autonomie
funzionali dovrebbero portare il proprio contributo ai lavori della Commissione
bicamerale per le questioni regionali allargata ai rappresentanti delle regioni,
delle province autonome e degli enti locali.
Inoltre, dovrebbe essere confermata in tutti gli statuti regionali - mi rendo
conto anche in questo caso che si tratta di un passaggio distinto rispetto a
quanto abbiamo chiesto al Senato - la partecipazione delle Camere di commercio
ai consigli delle autonomie locali, luogo di consultazione tra la regione e gli
enti locali, di cui le autonomie funzionali già fanno parte in diverse realtà.
Signor Presidente, seguendo l’intenzione del Parlamento e del Governo di
ritoccare e rivedere in alcuni passaggi la Carta costituzionale, le Camere di
commercio dovrebbero essere riconosciute come autonomie funzionali, per quello
che hanno rappresentato in seguito anche alla modifica approvata dal Parlamento
nel 1993, elevandole al ruolo di istituzione, riconoscendo loro una forte
autonomia. Riteniamo importante che in questo passaggio legislativo ulteriore ci
sia questo riconoscimento che, secondo noi - lo diciamo non da avvocati
d’ufficio ma perché ne siamo convinti - le Camere di commercio, per tutto
quello che hanno rappresentato e rappresentano, certamente meritano.
PRESIDENTE. Voglio raccogliere la
preoccupazione dell’Unioncamere, espressa in maniera molto chiara dal suo
Presidente, cioè che addirittura la rilevanza costituzionale prima conferita
alle Camere di commercio e agli enti locali non territoriali dall’articolo 118
sia venuta meno o, quantomeno, si sia attenuata, perché a questo punto occorre
far riferimento soltanto agli articoli 2 e 5.
Non so quanto possa essere utile, tuttavia farei anche un richiamo all’ultimo
comma del nuovo articolo 118, che in qualche modo, anche se in maniera molto
debole, prevede l’applicazione del principio di sussidiarietà cosiddetta
orizzontale, nel quale potrebbe rientrare anche l’attività di questi enti,
basati su strutture di carattere associativo e che quindi rispecchiano delle
realtà, in questo caso imprenditoriali e in genere del lavoro, nel loro
territorio.
Se questa è conclusione è corretta, prego il presidente Sangalli di dare un
cenno di conferma e dirci se ritiene che l’ultimo comma del nuovo articolo 118
possa essere già usato, allo stato dell’arte, per recuperare questa
"caduta" istituzionale della veste delle Camere di commercio.
SANGALLI. Signor Presidente,
la ringrazio per aver richiamato l'ultima parte dell'articolo 118, che riguarda
appunto la sussidiarietà orizzontale. Ne prendo atto e le sono grato per il
fatto che anche lei testimonia che si tratta quasi di aggrapparsi ad un fuscello
mentre si sta per annegare.
Piuttosto che niente va bene anche questo, anche se - secondo me - si tratta di
un'interpretazione riduttiva, perché la sussidiarietà deve essere un concetto
molto più forte, molto più carico di contenuti. Quando investe un'istituzione,
essa deve tener conto anche della partecipazione delle altre istituzioni e,
quindi, di un senso di corresponsabilità. Ci vorrebbe quella che persone più
erudite di me definiscono "sussidiarietà verticale".
Comunque, ripeto, forti di quello che le Camere di commercio hanno rappresentato
nel passato, della nuova legge, di alcune interpretazioni legislative delle
leggi Bassanini, forti soprattutto del messaggio che il presidente Berlusconi ha
inviato per la celebrazione del nostro centenario, pur restando questa parte
marginale, ci auguriamo che una parte sostanziale della Carta costituzionale
riconosca in maniera netta le autonomie funzionali, riconosca quindi la capacità
istituzionale delle Camere di commercio di poter continuare a svolgere un ruolo
di tutela dei propri appartenenti, cioè le imprese.
PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti per la disponibilità manifestata e dichiaro conclusa la loro audizione.
I lavori proseguono in altra sede dalle ore 14,55 alle ore 18,20.
Audizione dei rappresentanti del coordinamento nazionale tra gli organi regionali di consulenza e controllo per gli enti locali
PRESIDENTE. Proseguiamo i nostri
lavori con l'audizione dei rappresentanti del coordinamento nazionale tra gli
organi regionali di consulenza e controllo per gli enti locali, che saluto e
ringrazio per i contributi scritti che hanno già inviato alla Commissione in
relazione agli aspetti della riforma del Titolo V della Parte II della
Costituzione che li riguardano più da vicino.
Preciso che, qualora intendessero farci pervenire un ulteriore contributo
scritto dopo l'audizione, ad integrazione di quelli che già ci sono stati
inviati, sarà allegato agli atti dell'indagine conoscitiva. Infatti il tempo a
nostra disposizione è piuttosto limitato in considerazione dei successivi
lavori della Commissione.
Lascio quindi la parola all'avvocato Balli, presidente del coordinamento.
BALLI. Signor Presidente, prenderà per primo la parola il dottor Modesti, presidente del CO.RE.CO. delle Marche.
MODESTI. Signor Presidente,
la ringraziamo per averci concesso questa audizione che noi riteniamo molto
importante. Seguiamo con attenzione il dibattito che si sta svolgendo in questa
Commissione e le audizioni di autorevoli personalità, a cominciare dal
governatore Fazio e dagli ex presidenti della Corte costituzionale Baldassarre
ed Elia. Vogliamo portare un nostro modesto contributo affinché alcuni aspetti
vengano compresi con maggiore chiarezza, in quanto riteniamo che c'è una certa
confusione e che alcune decisioni siano state prese quanto meno in maniera
frettolosa ed inopportuna a livello regionale.
Conoscete meglio di noi l'iter della riforma costituzionale e quindi
tralascerò questo aspetto per non perdere tempo.
In molte Regioni, con semplici lettere dei Presidenti delle stesse, è stato
messo al bando il Testo unico sugli enti locali per la parte che riguarda i
controlli. Altre Regioni si sono comportate diversamente e in esse si sta
lavorando esattamente come prima della riforma, nel pieno rispetto del Testo
unico citato. Tale paradosso, a nostro avviso, è stato causato da
improvvisazioni perché, quand'anche fosse vero - e noi non siamo del tutto
convinti - che debbano essere obbligatoriamente abrogati i controlli, in ogni
caso ciò deve essere fatto con strumenti legislativi ordinari nazionali o
regionali.
Anche noi, come tanti, siamo perplessi sull'attribuzione della competenza. Noi
riteniamo che, in base all'articolo 117, una parte della competenza sia dello
Stato, una parte appartenga alla legislazione concorrente e un'altra sia
completamente regionale. Le Regioni hanno compiuto, a nostro avviso, una fuga in
avanti appropriandosi in maniera frettolosa di competenze sulle quali bisognava
riflettere, come giustamente la Commissione che ci ospita sta facendo, per
cercare di interpretare al meglio come applicare la riforma della Costituzione.
Noi vogliamo cogliere questa occasione - vi lasceremo un documento - anche per
sottoporre al Parlamento, quindi in questo caso alla 1a Commissione del Senato,
alcune riflessioni di natura politica, perché non vi sono solo aspetti tecnici
o legislativi, ma anche questioni politiche assai rilevanti. Stiamo discutendo
della vita democratica in oltre 8.100 comuni, del comportamento di decine di
migliaia di consiglieri comunali e di migliaia di assessori, cioè l'anello
della democrazia più vicino ai cittadini.
Le riforme dell'ultimo decennio sono andate a senso unico: è stato attribuito
un forte potere ai sindaci con l'elezione diretta, vi è stata una
concentrazione dei poteri negli esecutivi, uno svuotamento di gran parte delle
funzioni delle assemblee elettive, una subordinazione degli apparati agli
esecutivi, con l'utilizzazione del principio della nomina discrezionale (e
conseguentemente a questo anche consistenti miglioramenti economici), altro che
autonomia! Molta parte dell'apparato dei dirigenti è più di prima, in realtà,
subalterna a chi governa pro tempore gli enti locali.
Questo processo doveva essere accompagnato da controlli più penetranti, più
significativi. Addirittura, con l'abrogazione dell'articolo 130, si è messo in
moto lo smantellamento totale dei controlli. È un paradosso, non ci sono
riferimenti analoghi in alcuni Paese dell'Unione europea dove, in forme diverse,
i controlli sono presenti.
C'è il pericolo, evidenziato anche dalle audizioni che avete svolto, di
dirottare lo scontro politico delle istituzioni locali in direzione dell'autorità
giudiziaria, quella contabile, quella penale, quella amministrativa. Fra poco i
ricorsi all'autorità giudiziaria si faranno con il ciclostile. Noi che siamo un
punto di riferimento importante per capire qual è lo stato degli enti locali -
abbiamo orecchie per ascoltare e occhi per vedere a causa del ruolo che
svolgiamo - siamo a conoscenza quotidianamente di palesi, evidenti violazioni
delle regole. Chi è soggetto a determinate forzature, a fatti evidenti non può
fare niente, se non rivolgersi all'autorità giudiziaria con tempi biblici (non
ci sarà mai risposta), con un imbarbarimento del confronto politico (vedremo
quel che succederà a livello nazionale).
Quindi forme di controllo vanno comunque mantenute, a nostro avviso, in maniera
diversa dal passato: non controlli ripetitivi, ma su atti fondamentali.
Consentitemi un esempio: com'è possibile che i comuni possano approvare gli
statuti senza che nessuno dia un visto - se non un controllo - di congruità, di
legittimità. Oggi tutto passa tramite i regolamenti; pensiamo a quelli
importanti che hanno attinenza con il singolo cittadino, coi tributi, con le
varie imposte comunali. Tutti emanano regolamenti, non c'è più nessuno che
pone un visto per valutare se questi sono conformi alla norma. Nel Paese si
rischia di mettere in campo una babele di linguaggi, di comportamenti davvero
incomprensibili. Non penso fosse questo lo spirito di chi voleva il federalismo.
A nostro avviso, è necessario che il Parlamento e le Regioni, nella loro
autonomia, valutino questo tipo di problematiche. Noi riteniamo che forme di
controllo siano utili e necessarie per questioni di principio, per garantire una
maggiore trasparenza e una maggiore democrazia nella vita degli enti locali, ma
sono anche utili agli stessi amministratori. Soltanto un amministratore - chi vi
parla lo è stato per tantissimi anni - che ha il paraocchi non riesce a capire
che forme di controllo sono una garanzia anche per lui.
Vorrei fare un'ultima osservazione per sfatare troppi luoghi comuni sui comitati
di controllo, fermi a 15, 20 o 30 anni fa. Già a partire dalla legge n. 142 del
1990 i comitati di controllo hanno subìto una trasformazione profonda;
successivamente si è andati ancora oltre nel senso di alleggerire, indebolire
le forme di controllo. In ogni caso tali comitati sono organi agili (non c'è
confronto nella pubblica amministrazione circa la tempestività con cui adottano
le decisioni, essendo previsto l'istituto del silenzio-assenso); costano poco;
svolgono un ruolo importante di tutela, di rispetto delle regole e di filtro -
come dicevo in precedenza - rispetto a ricorsi che possono seguire altri rivoli;
sono organi assolutamente autonomi.
Qualcuno continua a parlare di controllo politico delle Regioni sugli enti
locali. Stiamo scherzando, di cosa parliamo? I comitati di controllo, in base
alla legge, sono organi assolutamente autonomi, sono estremamente
professionalizzati perché il meccanismo di nomina è tutt'altro che politico.
La Regione non sceglie chi vuole ma in base a terne proposte da ordini
professionali; quelli che non provengono da tali terne comunque devono
dimostrare di avere un curriculum di tutto rispetto. Quindi sono organi
molto professionalizzati, ma soprattutto autonomi.
Quando sento parlare, come ha fatto la regione Toscana nei giorni scorsi, con
legge regionale, di sopprimere il CORECO attribuendo le funzioni residue al
difensore civico (nella relazione si accenna al principio della terzietà), io
rabbrividisco. Il difensore civico è nominato dal Consiglio regionale a
maggioranza, in alcuni casi è anche rimovibile: quale autonomia ha se deve
controllare gli atti del controllato? Il cittadino si dovrebbe rivolgere al
difensore civico per controllare l'amministrazione che lo ha nominato. Ma
scherziamo? Il comitato di controllo ha tutt'altra stoffa.
Quindi, noi siamo contrari a controlli rituali, ripetitivi e che possono
sembrare anacronistici, che è giusto superare; siamo favorevoli invece a forme
di controllo significative sugli atti fondamentali degli enti e vogliamo
diventare - lo abbiamo previsto anche in alcuni documenti - degli sportelli al
servizio degli enti locali. La consulenza, in particolare, che si sta
diffondendo in alcune Regioni. Vogliamo svolgere controllo eventuale - non
generalizzato - sugli atti che le Giunte, di loro iniziativa, o un determinato
numero di consiglieri comunali richiedono perché ravvisano delle illegittimità.
Rimanga almeno questo e anche, ad esempio, un meccanismo - questo ovviamente
riguarda più che altro le Regioni - di supporto e segreteria all'istituendo
Consiglio regionale delle autonomie per dare una maggiore credibilità a questo
nuovo istituto che non dipenda esclusivamente dagli uffici regionali.
Lascio ora la parola ad altri colleghi. Consegniamo un documento che può essere
utile per le vostre riflessioni.
LORENZONI. Signor Presidente,
ho presieduto il comitato di controllo sugli atti del comune di Roma e delle
IPAB romane. Faccio parte del coordinamento nazionale e ho seguito negli ultimi
dieci anni l'evoluzione della normativa sui controlli fra enti di diverso
livello territoriale: in passato i controlli dello Stato sulle Regione e, più
recentemente, quelli delle Regioni sugli enti locali.
Porto l'esperienza vissuta a partire dal 1990 con la legge n. 142 e poi con la
legge n. 127 del 1997, che ha visto una modificazione assolutamente radicale
della posizione e della funzione del controllo affidato ai comitati.
Le ragioni dell'opposizione ai controlli dei CO.RE.CO. da parte di alcuni comuni
deriva dalla normativa e dalla vicenda sostanzialmente terminata nel 1990. Sino
ad allora i controlli erano esercitati atto per atto, con un'incidenza
assolutamente pervasiva nei confronti dell'attività quotidiana delle
amministrazioni locali e - non possiamo nasconderlo - con un'occasionale, ma non
sporadica, utilizzazione della sede del controllo per dare forza ad una
minoranza che, nell'ambito della dialettica democratica, non aveva altrettanta
forza nel dibattito ordinario.
Dal 1990 gli atti sottoposti al controllo sono stati drasticamente ridotti: nel
1997 addirittura si è arrivati a sottoporre al controllo pochissimi atti. Sono
rimaste invariate le modalità di esercizio del controllo in tempi ristretti e
con il meccanismo del silenzio-assenso, per cui non si è verificata nessuna
possibilità di intralcio nei confronti dell'azione amministrativa degli enti
locali. È stato sostituito però il controllo oppositivo atto per atto con uno
di tipo collaborativo. A tale innovazione abbiamo affidato numerose riflessioni
e abbiamo seguito l'iter parlamentare della legge n. 127 del 1997.
Abbiamo notato con interesse in questa normativa, a fianco alla modifica
dell'oggetto del controllo, l'introduzione della figura della consulenza. Essa
rappresenta l'elemento più significativo del passaggio dal controllo oppositivo
a quello collaborativo.
I tre anni trascorsi sicuramente hanno dimostrato che, in effetti, introdurre la
consulenza nell'ambito delle funzioni di controllo collaborativo è stata una
felice intuizione.
Oggi ci troviamo di fronte alla modifica del Titolo V della parte seconda della
Costituzione e ad una disposizione drastica di abrogazione dell'articolo 130,
con una configurazione dei rapporti tra i diversi enti territoriali che, in
qualche modo, ribalta la precedente impostazione. Per la verità, lo fa fino a
un certo punto nel senso che già nell'articolo 5 della Costituzione è prevista
una formula per cui la Repubblica riconosce e garantisce le autonomie; quindi,
quella formulazione normativa - che è rimasta in vigore, ma era già vigente
prima della modifica del Titolo V - già fornisce una configurazione per cui il
carattere delle autonomie è originario e non derivato dalla legge che le
istituisce.
È certo però che la figura della sussidiarietà fornisce una diversa
collocazione dei rapporti tra i vari enti locali a diverse dimensioni
territoriali. Di qui la possibilità di abolire il controllo o la rivendicazione
di considerare il controllo assolutamente incompatibile con il nuovo assetto
costituzionale.
Noi riteniamo che tale incompatibilità non sussista. Infatti, il controllo
oppositivo, che determina un'avocazione del potere finale in capo all'ente
regionale, è sicuramente tramontato: esso non ha ragione d'essere, non ha
plausibilità e non è compatibile con il disegno costituzionale. Però, il
concetto di sussidiarietà, non a caso, si accompagna, nella stessa dizione
testuale del nuovo articolo 118 della Costituzione, ai principi della
differenziazione e dell'adeguatezza. Si parla del potere sostitutivo, che
nell'ambito del potere di controllo è un istituto assolutamente essenziale e
fondamentale per configurare il carattere dell'istituto stesso. Oltre alla
sussidiarietà si fa riferimento alla necessità di rispettare il principio
della leale collaborazione.
Ebbene, in base a questi quattro concetti giuridici, che assumono certamente
carattere innovativo nella nostra normativa (sussidiarietà, differenziazione,
adeguatezza e leale collaborazione) riteniamo che l'esperienza dei controlli
(quella realizzata proprio dai comitati regionali di controllo a partire dalla
legge n. 142 del 1990 e poi con la legge n. 127 del 1997) possa costituire
patrimonio a cui far riferimento per costruire strumenti di raccordo che si
caratterizzino in modo diverso. Forse sarebbe opportuno parlare non più di
controllo, bensì di monitoraggio, di valutazione dei risultati, di capacità di
individuare standard di qualità, di trovare momenti di consulenza che
vadano al di là della semplice espressione del parere e che siano collegati,
invece, all'assunzione di determinazioni e a forme di ausilio e di verifica
delle capacità di interdipendenza, che devono essere costruite con carattere di
novità.
A tale scopo abbiamo formulato una serie di riflessioni che in parte abbiamo già
consegnato alla Commissione. Abbiamo immaginato, inoltre, alcune formulazioni
normative nei nuovi statuti regionali. Al riguardo, riteniamo di segnalare, in
particolare, l'importanza dell'esperienza che abbiamo alle spalle al fine di
adeguare la nuova normativa alla capacità di realizzare gli istituti nuovi del
nuovo assetto istituzionale su pochi concetti ben determinati: la terzietà
dell'organo, la collegialità delle determinazioni assunte, la tempestività di
quest'ultime (che non possono essere prese a pretesto per paralizzare l'azione
del soggetto sottoposto al controllo) e la loro professionalità (che è poi la
garanzia più valida dell'imparzialità delle determinazioni e della distinzione
del controllo rispetto all'attività di amministrazione attiva).
A tal proposito siamo molto perplessi circa le soluzioni che si intendono dare
ad alcuni di questi controlli, attribuendoli non più ad organi imparziali, ma
agli assessorati o agli assetti burocratici della Regione.
L'innovazione sul piano culturale è affidata, allo stato attuale,
sostanzialmente al decreto legislativo n. 286 del 1999 che ha definito e
regolamentato in via generale i nuovi istituti del controllo e del monitoraggio
e della valutazione dei costi, segnando il divario che esiste tra le ambizioni
normative e le capacità di realizzazione sul piano operativo. Non possiamo
nascondere che le determinazioni di quel decreto legislativo, che fanno parte
del quadro che si è poi concluso con la riforma della Costituzione, sono
culturalmente e particolarmente aggiornate; al contempo, però, non si può
nascondere che si tratta di determinazioni che allo stato restano solo
enunciazioni, che richiedono "gambe" per camminare. L'esperienza che
intendiamo portare in questa sede credo possa rappresentare un esempio da
prendere in considerazione, piuttosto che lasciare alla facile propaganda la
denigrazione di istituti che, francamente, meritano diversa attenzione.
BALLI. Signor Presidente, ho
lavorato per diciotto anni in un organo di controllo e quindi ho maturato una
certa esperienza al riguardo. Peraltro, ho anche fatto parte di un organismo
europeo (EURORAI), che rappresenta l'unione dei vari organi di controllo di
tutta Europa. Infatti, tutti parlano di federalismo, ma se in Europa si analizza
l'esperienza dei Paesi dove il federalismo è applicato ( mi riferisco
soprattutto alla Spagna, alla Germania e all'Austria) si nota che in tutti
esiste un organismo terzo, il cui nome può variare da regione a regione, che
effettua il controllo dei bilanci e delle attività degli enti locali a lui
sottoposti. A mio avviso, quindi, occorre sfatare del tutto la teoria di coloro
(in particolare, i sindaci delle grandi città e l’ANCI) che sostengono che il
loro mandato nasce da una vittoria popolare e quindi non è soggetto ad alcun
controllo che non sia di tipo giurisdizionale. Sappiamo (l’esperienza ce lo
insegna ogni giorno) che da noi il controllo giurisdizionale può provocare solo
grandi problemi.
Ma chi ha ricevuto un mandato politico amministra denaro pubblico, non suo. La
differenza tra le imprese pubbliche e quelle private risiede nel fatto che
queste ultime fanno quel che vogliono, perché utilizzano denaro loro, mentre
quelle pubbliche devono rispondere a qualcuno. Quel "qualcuno" non può
essere solo ed esclusivamente, per così dire, la giurisdizione perché, come
noto, da noi funziona quanto meno male; oltre tutto, senza controlli, si
amplierebbe il peso della giurisdizione e credo che andremmo (mi scusi, signor
Presidente, se uso una immagine un po’ forte) veramente a "scatafascio".
A questo punto, dunque, vogliamo sottoporre il controllo alla Corte dei conti ?
Questa ha accumulato dei ritardi in materia pensionistica al punto che deve
ancora definire le pensioni riferite alla prima guerra mondiale; per quelle
della seconda guerra mondiale sono passati cinquant’anni. Dunque, è un
organismo che non può dare una risposta concreta, rapida e immediata.
Pensiamo ai revisori dei conti e ai difensori civici? Rilevo che i revisori dei
conti sono nominati dagli stessi organi che dovrebbero controllare; quindi,
secondo me, hanno un peso molto limitato. L’utilizzo dei difensori civici
determinerebbe invece una stortura del loro ruolo, perché nel momento in cui
essi divenissero controllori dell’attività pubblica (a parte il fatto che,
ovviamente, sono nominati dallo stesso comune) perderebbero il ruolo di
difensori civici.
Che rimane, allora? Ci vuole un qualche organismo che allo stato attuale io
individuo nel CORECO: l’unico in cui sussistono competenze di natura
giuridica, contabile, fiscale e commerciale (visto che è presente un
rappresentante dell’ordine dei commercialisti). Quindi è un organismo in
grado di svolgere il cosiddetto controllo "sulla" gestione (e non
"di" gestione) dell’ente locale, che è esattamente quello che oggi
manca e che non si può, a mio avviso - lo ripeto per l’ennesima volta -,
affidare alla Corte dei conti. A parte il fatto che quest’ultima, a fianco
alla sezione di controllo ha quella giurisdizionale, per cui c’è il rischio
di innescare un meccanismo diabolico, il comitato di controllo è un organismo
terzo, che sicuramente offre tutte le garanzie necessarie di tempi brevi. Non è
vero, infatti, che il comitato di controllo è un ente che propone lacci e
lacciuoli, come hanno affermato i sindaci. Esso risponde in 30 giorni. Abbiamo
istituzionalizzato per primi l’istituto del silenzio-assenso, cosa non da
poco. Se il Comitato di controllo non si pronuncia entro 30 giorni, l’atto
viene approvato; quindi vi è rapidità nelle decisioni.
Un’ultima riflessione. Tutte queste storture, secondo me, sono nate dal fatto
che il controllo è stato considerato come preventivo di legittimità, in base
all’articolo 130 della Costituzione, poi abrogato. In realtà il controllo non
deve essere preventivo, ma successivo, come in tutti gli altri Paesi europei,
che - a mio avviso - può essere bene e ampiamente esercitato dal comitato di
controllo o da un organismo a lui similare.
Informo che lascerò agli Uffici un documento relativo ad un intervento che ho
svolto al riguardo in un convegno.
PORTATADINO. Signor
Presidente, sono il presidente della sezione interprovinciale
Brescia-Bergamo-Mantova, quindi nella regione Lombardia. Mi limiterò a trattare
il tema della consulenza, che è stato introdotto dalla legge n. 127 del 1997 e
che, a giudizio unanime, non è stato caducato dall’approvazione della legge
costituzionale.
Ci troviamo in una situazione abbastanza paradossale: i CO.RE.CO. non svolgono
più una funzione di controllo, ma di consulenza. Quindi potrebbe essere
temeraria l’iniziativa di qualche Regione tendente ad abolire definitamente e
totalmente la struttura stessa del Comitato di controllo.
Soprattutto voglio portare brevemente in questa sede l’esperienza e la
posizione della regione Lombardia che, dopo aver approvato con una delibera del
2000 le modalità dell’esercizio della consulenza (che peraltro veniva già
svolta in maniera informale), proprio lunedì scorso ha approvato con una nuova
delibera, che di seguito riassumerò, il potenziamento della funzione di
consulenza. Mi piacerebbe anche riassumere brevemente i "considerando"
della delibera, in particolare che "considerato che il venire meno dei
controlli preventivi di legittimità da un lato e il crescere delle funzioni
amministrative svolte dagli enti locali dall’altro comportano per questi
ultimi la necessità di un supporto giuridico-istituzionale qualificato da parte
delle regioni, individuato nella consulenza già svolta dall’organo di
controllo, opportunamente rafforzata ed ampliata, la Regione Lombardia delibera
una serie di modalità attuative".
Lascerò anch’io agli uffici questo documento che va in una direzione opposta
a quella della soppressione o della riduzione di un sostegno operativo agli enti
locali e rafforza questa diversa funzione di consulenza. Quindi, amplia al
limite massimo consentito la possibilità di raccogliere e di ottenere
preventivi elementi di valutazione in ordine all’adozione di atti o
provvedimenti: dunque, non più soltanto gli atti oggetto di delibere
collegiali, ma anche provvedimenti oggetto di iniziative, per esempio, dei
funzionari riguardanti l’attività amministrativa dell’ente, ottenendo dalla
competente sezione territoriale del comitato di controllo i pareri in forma
scritta, purché la richiesta sia avanzata dal legale rappresentante o da
qualsiasi altro soggetto dell’amministrazione competente ad emanare l’atto
in oggetto.
Questa consulenza può riguardare la definizione e la trasmissione di qualsiasi
elemento utile al raggiungimento dello scopo richiesto dall’ente in relazione
al quadro normativo, alle norme statutarie, alla giurisprudenza, ed alla
dottrina.
Inoltre (anche questa è una discreta novità) la Regione dispone che vi possano
essere strumenti alternativi al singolo parere scritto, quali incontri sul
territorio, circolari interpretative e simili.
Vorrei dare atto anche in questa sede istituzionale così importante della
fiducia che la regione Lombardia ha testimoniato nei confronti delle sue due
sezioni interprovinciali (è qui presente anche il dottor Patrassi, della
sezione interprovinciale di Milano) per affidare loro un compito che a mio
avviso non è solo delicato, ma anche estremamente importante, proprio per la
quantità e a la qualità delle nuove funzioni cui gli enti locali e tutti gli
altri enti ad essi assimilati sono chiamati.
LO NOCE. La nostra presenza
in questa sede, come in occasione di altri incontri con le istituzioni, non è
tesa a postulare sostituzioni di attività o a difendere ruoli o posizioni
precostituite. Siamo qui per esprimere le nostre preoccupazioni di cittadini, di
contribuenti per il modo in cui vengono impiegate le risorse economiche da parte
degli enti locali.
Siamo preoccupati per la mancanza di un controllo sull’impiego delle risorse
economiche con la conseguenza che, in un momento di federalismo fiscale, i
cittadini dovranno provvedere a ripianare gli eventuali deficit che gli
enti locali avranno creato con un loro ipotetico comportamento non conforme alle
leggi vigenti sotto il profilo della legittimità.
Ci rendiamo conto del percorso iniziato nel lontano 1995 dall’ex
ministro Bassanini, che ha iniziato a demolire poco alla volta interi pacchetti
normativi che riguardavano il funzionamento degli enti locali e che aveva come
obiettivo quello dell’eliminazione totale dei controlli e, in particolare,
della figura dei comitati di controllo, portato all’estremo.
Al fine di uscire da Tangentopoli e al fine di garantire gli amministratori si
è, poco alla volta, proceduto in questo senso. Si è cominciato a ridurre i
controlli su atti particolarmente importanti, quali i contratti di appalto, le
assunzioni di personale da parte degli enti locali; si è svuotato, poi, il
potere dei Consigli comunali e provinciali dando maggiore importanza e rilievo,
maggiori poteri al presidente della Giunta regionale, della Giunta provinciale e
al sindaco, eletti direttamente dai cittadini.
Si è poi separata la funzione di gestione da quella di indirizzo politico
lasciando quest’ultimo ai politici (quindi ai consiglieri comunali, agli
assessori, ai presidenti delle Giunte, ai sindaci) e lasciando la gestione, e
quindi le responsabilità, ai dirigenti e ai funzionari; nel contempo si è
eliminata la funzione del segretario comunale come garante della legittimità
degli atti. Il segretario comunale attualmente viene scelto dal sindaco, che ne
determina il compenso e che esercita su di lui quel potere gerarchico che
permane sui suoi dirigenti e, quindi, fa sì che questi possano compiere,
siglare e avallare determinate delibere al di fuori di qualsiasi controllo.
Sotto quest’aspetto, ci rendiamo conto che le risorse economiche, nel momento
in cui vengono dilatati i poteri dei vertici dei consigli provinciali e
comunali, vengono poste in serio pericolo. Nel momento in cui un’autonomia
viene dilatata oltre ogni misura e non aumentano, nel contempo, le responsabilità,
soprattutto patrimoniali, di chi amministra, di chi governa, di chi dà
l’indirizzo politico c’è un calo di democrazia. I cittadini sono fortemente
preoccupati per tutto questo.
Occorre, pertanto, adottare provvedimenti che possano ripristinare controlli
successivi, come esistono in tutta Europa. Negli stati federali, quali
l’Austria, la Germania, la Spagna, i controlli esistono, funzionano molto bene
e garantiscono sia il buon impiego delle risorse economiche sia che gli atti
della pubblica amministrazione rispondano ai requisiti dell’economia,
dell’efficienza e dell’economicità.
BORTONE. Vorrei sottolineare,
signor Presidente, che in Italia oggi vi sono un’infinità di situazioni
diverse.
Gli atti degli 8.000 comuni d’Italia, ad esempio, vengono giudicati in maniera
diversa a seconda di dove si trova il comune che li ha emanati; per cui vi sono
atti sottoposti soltanto a consulenza ed atti sottoposti a controllo, come
avviene per la regione Puglia dove noi continuiamo a godere di una piena
fiducia. Mi meraviglia come alcuni colleghi dei CO.RE.CO. accettino lettere
della Giunta con cui si comunica la cessazione dell’attività. Io,
francamente, mi sarei ribellato, non avrei accettato che una legge dello Stato o
una legge regionale venisse cancellata con una semplice circolare.
In Italia, invece, esiste questa situazione. Vi sono comuni che emanano atti che
vengono controllati ed altri che non subiscono alcuna forma di controllo.
Qualcuno che coordini e metta ordine ci dovrà pur essere. E' interesse dello
Stato non lasciare completamente liberi i comuni per gli atti più
significativi, quali i bilanci, le piante organiche, i piani regolatori, per i
quali non esiste più alcuna forma di controllo.
Quando, fra non molto, questi comuni avranno contratto paurosi debiti, a chi si
rivolgeranno? Chi dovrà ripianare i loro debiti?
Per il passato, lo Stato ripianava il debito. Oggi dovranno rivolgersi alle
Regioni, le quali dovranno aumentare le tasse e dovranno mettere balzelli. Fra
non molto, andremo incontro a situazioni di caos, disordine e sfiducia.
Oggi si può ancora intervenire, nel tentativo di risolvere la questione, e in
questo senso, signor Presidente, vorremmo avanzare una proposta.
E’ possibile costituire una commissione della quale, oltre a far parte
autorevoli membri del Governo, membri delle Commissioni parlamentari e
consiglieri regionali, possano essere chiamati a far parte anche alcuni membri
del coordinamento nazionale? Forse una commissione di studio potrebbe sortire un
effetto pratico per cercare di risolvere un problema che non il nostro. E’
banale doverlo dire, ma qui nessuno difende alcunché; tutti abbiamo un lavoro,
un’attività, una professione.
Io, ad esempio, ricopro la carica di presidente del comitato di controllo per
547.000 lire nette al mese; questo perché non si pensi che i rappresentati ed i
membri del CO.RE.CO. percepiscano chissà quali compensi. Come affermava
l’avvocato Lorenzoni, si tratta di un’attività gratuita; è una
professionalità gratuita concessa a tutti i comuni. Le sezioni di controllo,
quando si riuniscono, in un anno non costano più di 20-30 milioni, signor
Presidente.
Quando un comune è costretto a far controllare un atto servendosi di una
consulenza esterna paga di certo queste cifre. Anche questi sono risparmio,
economia ed oculatezza, anche su questo bisognerà cercare di intervenire.
Suggeriamo, quindi, di istituire una commissione, un comitato, un organismo del
quale chiamare a far parte anche alcuni rappresentati del coordinamento
nazionale. Ve ne saremmo grati.
ANGARANO. I pericoli di
indebitamento a cui si è fatto riferimento già esistono.
Posso affermare, in qualità di rappresentante del CO.RE.CO. di Bari, che noi
abbiamo grossi comuni che hanno già contratto, o meglio pensano di contrarre (e
non so come faranno), in presenza già di deficit fuori bilancio, debiti
dai 10 ai 30 miliardi.
Considerate le spese di gestione del consiglio comunale (quali, ad esempio, gli
stipendi dei consiglieri comunali, le consulenze esterne ed altro), la cifra che
può essere destinata agli investimenti deve invece ammontare a circa un 20 per
cento delle entrate.
Stando così le cose credo che fra non molto si arriverà alla bancarotta.
PATRASSI. Sono membro del
CO.RE.CO di Milano e assistente universitario della cattedra di diritto pubblico
dell’università Statale.
Non parlerò di controllo, ma solo di consulenza. Sono d'accordo con quanto
detto dal dottor Portatadino, dall'avvocato Lorenzoni, dal dottor Modesti e
dall'avvocato Balli. Desidero solamente avanzare la proposta di un organo che
sopperisca nell'attività consultiva, non giurisdizionale, a tutti gli enti
locali per gli esposti, i reclami presentati dalle associazioni di categorie e
dai cittadini che hanno liti pendenti contro la pubblica amministrazione. È una
proposta che rispecchia il sistema adottato dalla Regione siciliana, che prevede
il ricorso straordinario al presidente della Giunta regionale contro gli atti
della pubblica amministrazione.
Considerato che il controllo sugli atti non deve esistere più, praticamente la
Regione, nel rispetto del proprio statuto, potrebbe avvalersi dell'esperienza e
della professionalità dei componenti di questi comitati per dare certezza ed
economicità all'azione dei suoi cittadini, senza ricorrere al TAR o alla
giurisdizione penale.
PRESIDENTE. Il dottor Patrassi ha parlato di consulenza ai cittadini. Tuttavia, mi sembra che si tratti di una consulenza rivolta soprattutto agli enti e a quei componenti degli organi rappresentativi che magari, essendo in minoranza, non hanno possibilità di rivolgersi ad alcun soggetto, se non ad un tribunale amministrativo.
PORTATADINO. Esatto,
Presidente. Ma non è solo questo, bensì passare da un controllo sulla non
illegittimità, diciamo così, ad una metodologia di soluzione dei problemi. Di
solito, è difficile trovare una soluzione legittima perché non si conosce fino
in fondo la natura del problema e le possibilità alternative di risolverlo in
modo diverso.
La funzione del comitato di controllo (che in questo caso diventa di
consulenza), dal momento che esso ha un’esperienza, un raccordo con l'ente
Regione e con altre realtà, è quella di suggerire soluzioni: si tratta di un
aspetto nuovo rispetto alla tradizione precedente.
IOANNUCCI (FI). Quindi, praticamente volete passare da una funzione di controllo ad una funzione di consulenza preventiva? Volete unire il controllo di legittimità alla consulenza? Probabilmente c'è un po' di confusione.
BALLI. Si tratta di due
aspetti del tutto distinti. Nessuno vuole più far rivivere l'articolo 130 della
Costituzione. Da una parte, c’è la consulenza, che è un'attività - tra
l'altro statuita ormai dalla cosiddetta Bassanini e prevista da varie norme - di
aiuto agli enti locali; dall’altra, c'è un'attività di controllo successivo,
non preventivo o di legittimità, sugli atti fondamentali, nella specie la
finanza pubblica e i bilanci.
E' esattamente ciò che fanno gli organismi di controllo negli altri Paesi
europei. Ad esempio, in Inghilterra fino ad un certo punto il controllo non
esisteva. È stata la signora Thatcher ad istituire le Audit Commission, che
non effettuano un controllo, ma compiono una verifica dei bilanci degli enti
locali (a pagamento degli stessi, oltre tutto) e redigono un rapporto. Queste
commissioni, quindi, non avrebbero un potere di annullamento degli atti, ma
semplicemente formulerebbero un rapporto sulla situazione all'organismo, in
questo caso il consiglio regionale. È chiaro che tale rapporto poi avrà un
grande peso politico, però è comunque di carattere tecnico.
IOANNUCCI (FI). Insomma, è un rapporto di carattere collaborativo.
CICCANTI (CCD-CDU:BF). Come le Authority.
BALLI. Lasciamo stare le Authority. Sono contrario ad esse, perché a mio modesto avviso da noi sono state costituite per incrementare lo stipendio dei relativi componenti e dipendenti.
MODESTI. Vorrei fare una
precisazione per rispondere alla domanda della senatrice Ioannucci.
Quando parliamo dei controlli (è scritto nel documento che abbiamo lasciato),
ci riferiamo solo ai controlli eventuali, cioè quelli a richiesta dell'ente,
come previsto in parte anche adesso dal Testo unico. Tali controlli possono
essere richiesti dalla Giunta o, in alcuni casi, dalle minoranze consiliari.
Crediamo che questo sia un passaggio molto importante, che è giusto rimanga,
perché i controlli generalizzati non servono a niente.
IOANNUCCI (FI). Ho formulato appositamente la domanda, perché volevo che questo punto fosse ben chiaro al lettore del resoconto stenografico della vostra audizione. Poteva rimanere qualche dubbio sull’argomento, avrebbe creato qualche perplessità. Ora, invece, è tutto chiaro; la proposta che avete delineato rende possibile un esame più fattivo.
PRESIDENTE. Ringrazio i componenti
del coordinamento del CO.RE.CO per la collaborazione offerta. Sono sicuro che le
loro osservazioni verranno tenute ben presenti da questa Commissione nel futuro
lavoro di elaborazione legislativa.
Dichiaro conclusa l’audizione e rinvio il seguito dell’indagine conoscitiva
ad altra seduta.
I lavori terminano alle ore 19,15.