SENATO DELLA REPUBBLICA
XIV LEGISLATURA
BOZZE NON CORRETTE
1ª COMMISSIONE PERMANENTE
(Affari
costituzionali, affari della Presidenza del Consiglio e dell'interno,
ordinamento
generale dello Stato e della Pubblica Amministrazione)
INDAGINE CONOSCITIVA SUGLI EFFETTI NELL'ORDINAMENTO DELLE REVISIONI DEL TITOLO V DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE
1° RESOCONTO STENOGRAFICO
SEDUTA DI MARTEDI' 23 OTTOBRE 2001
Presidenza del presidente PASTORE
indi del vice presidente MAGNALBO'
I testi contenuti nel presente fascicolo - che anticipa ad uso interno l'edizione del Resoconto stenografico - non sono stati rivisti dagli oratori
IC 0108
INDICE
Audizione del professor Leopoldo Elia
PRESIDENTE |
ELIA |
N.B: Sigle dei Gruppi parlamentari: Alleanza Nazionale: AN; CCD-CDU:Biancofiore: CCD-CDU:BF; Forza Italia: FI; Lega Nord Padania: LNP; Democratici di Sinistra-l'Ulivo: DS-U; Margherita-DL-l'Ulivo: Mar-DL-U; Verdi-l'Ulivo: Verdi-U; Gruppo per le autonomie: Aut; Misto: Misto; Misto-Comunisti italiani: Misto-Com; Misto-Rifondazione Comunista: Misto-RC; Misto-Socialisti Democratici Italiani-SDI: Misto-SDI; Misto-Lega per l'autonomia lombarda: Misto-LAL; Misto-Libertà e giustizia per l''Ulivo: Misto-LGU; Misto-Movimento territorio lombardo: Misto-MTL; Misto-Nuovo PSI: Misto-NPSI; Misto-Partito repubblicano italiano: Misto-PRI; Misto-MSI-Fiamma Tricolore: Misto-MSI-Fiamma.
Interviene il professor Leopoldo Elia
I lavori hanno inizio alle ore 15,35.
PROCEDURE INFORMATIVE
Audizione del professor Leopoldo Elia
PRESIDENTE.
L'ordine del giorno reca l'indagine conoscitiva sugli effetti nell'ordinamento
delle revisioni del Titolo V della Parte II della Costituzione.
Oggi è
in programma l'audizione del professor Leopoldo Elia.
Non
poteva esserci inizio migliore perché il ruolo ricoperto dal professor Elia in
qualità di costituzionalista della Corte costituzionale, di Presidente emerito,
di parlamentare e professore universitario cattedratico è un viatico assai
positivo per i nostri lavori.
Ricordo
che questa Commissione ha approvato la proposta di indagine conoscitiva sugli
effetti nell'ordinamento delle revisioni costituzionali in materia regionale
(Titolo II, parte V della Costituzione) che devono ancora trovare attuazione, e
ci riferiamo non soltanto all'ultima sottoposta a referendum confermativo
ma anche alla precedente relativa all'elezione diretta dei Presidenti delle
regioni, che ha determinato, tra l'altro, un'ampia autonomia statutaria delle
regioni stesse, che si sono attivate per l'approvazione di nuovi Statuti che
dovranno tener conto anche delle novità introdotte dalla seconda novella
costituzionale.
Ricordo
che, ai sensi dell'articolo 33, comma 4, del Regolamento, è stata chiesta
l'attivazione dell'impianto audiovisivo, e informo che la Presidenza del Senato
ha già preventivamente fatto conoscere il proprio assenso. Se non ci sono
osservazioni, tale forma di pubblicità è dunque adottata per il prosieguo dei
lavori. I nostri lavori devono avere la diffusione più ampia possibile perché
è interesse di tutto il Paese, oltre che di noi addetti, avere consapevolezza
degli effetti che le revisioni costituzionali hanno determinato e determineranno
in futuro.
Vorrei
ringraziare il professor Elia che si è dichiarato disponibile, oltre a fornire
un suo contributo scritto, ad intervenire per una audizione in Commissione.
Purtroppo,
alcuni di noi alle ore 16 dovranno partecipare ad una riunione della Giunta per
il Regolamento (impegno sopravvenuto e non rinviabile). Per tale motivo anch'io
dovrò allontanarmi e sarò sostituito dal vice presidente Magnalbò.
In coloro
che dovranno assentarsi indubbiamente resterà il sapore di una piccola
delusione: non aver potuto formulare domande al nostro illustre ospite.
Chiederemo, quindi, al professor Elia di essere disponibile a tornare in
Commissione per un'eventuale integrazione che potrebbe rendersi opportuna anche
a seguito della lettura del resoconto stenografico; oppure potremmo chiedergli
la disponibilità a rispondere ad ulteriori domande anche con una nota scritta.
Ricordo
che il professor Elia è stato uno dei protagonisti della Commissione affari
costituzionali, e quindi lo accogliamo, se possibile, con maggiore piacere, e ci
aspettiamo da lui, come da tutti, che sia tracciata la strada da percorrere
nell'applicazione di questa riforma che investe direttamente le nostre attività
specifiche. Siamo in attesa della costituzione della nuova Commissione
bicamerale per le questioni regionali, la cui composizione dovrà essere
integrata, in base alla novella costituzionale, da rappresentanti delle regioni
e delle autonomie locali. Nel frattempo si sta organizzando un progetto per
affidare alla Commissione affari costituzionali il compito, esaltante ma anche
oneroso, di intervenire anche su questa materia per la futura attività
legislativa.
ELIA.
Ringrazio il Presidente per la sua cortesia e i colleghi perché mi danno
l'occasione di tornare in quest'Aula dove ho lavorato per dieci anni: cinque
anni nel corso della X legislatura e cinque anni nel corso della XIII
legislatura. Quest'Aula evoca quindi molti ricordi, sui quali però non posso
ora indugiare per passare subito al tema di cui dobbiamo trattare.
Affermare
che questa riforma è stata prodotta soprattutto per dare una copertura
costituzionale alle riforme Bassanini, alle riforme che con legge ordinaria
erano già state realizzate ai fini di un federalismo amministrativo di cui si
è parlato fin dai primi passi del Governo Prodi, significa immiserire tale
riforma perché si tratterebbe di una sorta di sottoprodotto, di conseguenza. Il
punto fondamentale che come ragione costituzionale va evidenziato ed enunciato
per primo è il risanamento del contrasto interno alla Costituzione che si era
determinato nel corso degli ultimi anni (caso alquanto singolare nella storia
costituzionale): una nuova lettura dell'articolo 5 della Costituzione sul
principio di autonomia, insieme a quelli dell'unità e dell'indivisibilità che
ispirano quella disposizione alla luce del principio della sussidiarietà, aveva
determinato una scissura all'interno del corpo normativo della Costituzione, per
cui gran parte del Titolo V veniva ad essere inadeguata e perfino contrastante
con la lettura che dell'articolo 5 veniva data.
Indubbiamente,
uno degli indizi di questa frattura all'interno stesso della normativa
costituzionale era poi dato dal raffronto del Titolo V della Costituzione,
vigente ancora per qualche giorno (fino a quando la vacatio legis non sarà
trascorsa), e questo Titolo V che dava luogo ad una situazione paradossale: la
riforma Bassanini era più in armonia con l'articolo 5, basato sulla nuova
lettura, che con il Titolo V, così come si era venuto determinando. Anche in
mancanza di puntuali variazioni alle norme del Titolo V, sta di fatto che il
risultato delle riforme Bassanini sommate insieme comportava il superamento del
principio del parallelismo tra funzioni legislative e funzioni amministrative
delle regioni e portava, piuttosto, ad un criterio di dissociazione tra
l'attività legislativa e l'attività amministrativa; questa situazione doveva
essere superata e bisognava farlo con urgenza perché non si poteva rimanere con
questa contraddizione all'interno della normativa costituzionale.
Si è
proceduto, con vicende che ora non rievoco, sulla base di una marcata
distinzione tra il potere legislativo e l'attività amministrativa. Quanto al
primo, qualcuno dice che si è influito anche direttamente sull'articolo 70
della Costituzione, in base al quale la funzione legislativa è esercitata da
Camera e Senato, anche se il potere legislativo delle regioni era già
riconosciuto. Certamente si è operata una innovazione molto forte non solo
perché si è equiordinata la potestà legislativa dei due enti ma anche e
soprattutto perché si è operata una contrapposizione tra Stato e regioni in
modo che con il famoso rovesciamento e l'inversione dell'enumerazione delle
materie lo Stato è diventato il legislatore eccellente mentre la fonte è
diventata la legge regionale per tutto un complesso di materie. Si è distinta
fortemente l'attività amministrativa, affidandola in gran parte agli enti
locali e, in particolare, ai comuni, salvo i casi necessari di esercizio
unitario.
Quindi,
il primo pilastro della riforma si trova nella legislazione, con conseguenze
molto forti che stiamo individuando progressivamente. Forse ad una prima lettura
molti aspetti ci erano sfuggiti. Questa inversione è tipica delle Costituzioni
federali (Stati Uniti, Svizzera e Germania), dello Stato federale, anche se in
questo caso non è definito tale. Il rovesciamento delle enumerazioni delle
materie è un tratto del federalismo, mentre era un tratto del regionalismo,
della Costituzione spagnola del 1931 e della nostra del 1947, l'enumerazione
delle materie di competenza legislativa regionale, con la residualità a favore
dello Stato. In questo caso, invece, la residualità è a favore delle regioni.
È un rovesciamento molto forte non solo perché ci troviamo di fronte ad un
tratto di federalismo indubbio - il diritto comparato lo attesta - ma anche
perché esso ci costringe ad un ripensamento di tanti istituti disciplinati
dalla Costituzione. Mi riferisco ad esempio alle riserve di legge contenute
nella prima parte della Corte costituzione, specialmente a quella disciplinata
dall'articolo 23 sulle prestazioni personali o patrimoniali. Ci si chiede se
esse siano sempre riserve di legge statali, come si era pensato in larga misura
fino a ora o se, invece, possano essere in alcuni casi anche di leggi regionali;
questione che i sostenitori di un'interpretazione dell'articolo 119 della
Costituzione in materia fiscale ritengono collegata al potere delle regioni di
istituire tributi propri. Se questi sono attribuiti alle regioni, la legge
regionale che li istituisce in qualche modo copre o entra nella riserva di legge
dell'articolo 23 .
Ma la
maggiore controversia è sorta a proposito del potere così apparentemente
equiordinato tra Stato e regioni, già presente nel disegno di legge derivato
dal lavoro svolto dalla Bicamerale. Si fa riferimento al disegno di legge della
Bicamerale, ma naturalmente si potrebbe parlare di disegno di legge della Camera
dei deputati perché il 21, 22 e 23 aprile del 1998 gran parte di tale normativa
fu approvata da una larghissima maggioranza alla Camera dei deputati. È
improprio dunque in senso stretto fermarsi alla Bicamerale. Bisogna ricordare -
lo ribadisco - il consenso molto ampio della Camera dei deputati. Il testo in
questione però non recava il primo comma del nuovo articolo 117 che, a prima
vista, è molto impegnativo. Esso recita:" La potestà legislativa è
esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché
dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi
internazionali". Sugli obblighi internazionali è sorto un grande dibattito
che si svilupperà successivamente. Ci sono alcune affermazioni contrapposte al
riguardo: alcuni, come il professor Pinelli, affermano che è una norma che
riguarda il rapporto tra ordinamenti, ma non tocca la disciplina attuale delle
fonti come è stata fissata soprattutto dalla giurisprudenza della Corte
costituzionale, e cioè non si riconosce nell'ordinamento italiano un'autorità
superiore alle normative che discendono da trattati ratificati rispetto alle
leggi ordinarie di diritto interno; altri, invece, come il professor Luciani e
il professor Lombardi, ritengono che da questa impostazione derivi una
situazione molto simile a quella disciplinata dall'articolo 55 della
Costituzione francese della V Repubblica, che peraltro tratta in una sola norma
quello che nella Costituzione del 1947 era contenuto in due articoli, oltreché
nel preambolo. In essi si affermava che il diritto interno cedeva a quello
internazionale pubblico; e il diritto internazionale pubblico era interpretato
come diritto basato sui principi generali - quello che è scritto nell'articolo
10 della nostra Costituzione - ma anche come diritto pattizio.
Quest'ultimo
ha echi che vanno al di là del diritto perché in seno al Comitato consultivo
che discusse il progetto della Costituzione gollista vi furono affermazioni come
quella del deputato Teitgen, secondo il quale quello della superiorità della
normativa dei trattati rispetto alla legge ordinaria era addirittura un
principio di civiltà. In altre parole, tra popoli civili questa tesi non si
doveva mettere in discussione e, per la verità, essa non fu contrastata né dal
guardasigilli Debré, incaricato della riforma, né da altri deputati gollisti,
che di tendenza dovrebbero essere souverainistes, cioè piuttosto portati
a valorizzare la sovranità dello Stato. In sostanza, questa norma non ha
provocato grandi controversie nel diritto francese giacché il Conseil
constitutionnel non si può occupare se non delle leggi in fieri;
quindi, praticamente, è stata soprattutto la Corte di cassazione che ha fatto
valere la superiorità della normativa dei trattati rispetto alle leggi
ordinarie.
Ritengo
che in base ad alcuni principi della Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto
dei trattati, il nostro ordinamento, specialmente a seguito di questa
formulazione, possa essere maggiormente incline al riconoscimento di questa
superiorità, naturalmente senza toccare la formazione del processo che porta a
far valere nel diritto interno le norme dei trattati, nel senso che il
Parlamento rimarrebbe sempre competente, in base all'articolo della Costituzione
che disciplina l'autorizzazione alla ratifica. Però, una volta ratificato il
trattato, la normativa in esso contenuta avrebbe un livello gerarchicamente
superiore a quello delle norme di legge ordinaria. Si è tentato di far valere
questo principio nella sentenza n. 10 del 1993 della Corte Costituzionale,
(relatore Baldassarre) rimasta però isolata. In essa si cercava di riconoscere
questa superiorità per la Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU). Ma
- ripeto - si tratta di una sentenza rimasta isolata. La giurisprudenza italiana
ha insistito molto sul dualismo tra diritto interno e diritto internazionale.
Peraltro, per quanto riguarda il diritto comunitario, è evidente che
l'interferenza è stata tale che ad un certo punto il giudice italiano ha
applicato direttamente direttive e fonti dell'ordinamento comunitario.
Presidenza del vice presidente Magnalbò
(Segue
ELIA). Quindi, questa svolta, sia in Francia che negli altri Paesi in cui si è
verificata non ha provocato grandi difficoltà. Mi si dice che oggi alcune
sentenze più recenti della Cassazione francese siano reperibili con i mezzi
elettronici proprio in questo campo e credo che effettivamente si possa ampliare
il sistema garantistico italiano che presenta qualche "scopertura"
dopo le modifiche apportate alla legge elettorale.
La
materia della equiordinazione può apparire un po' strana e singolare. In base
alla teoria Pinelli (chiamiamola così) circa il rapporto tra ordinamenti, le
leggi regionali - per il rapporto tra ordinamento statale e regionale - non
potrebbero essere limitate ulteriormente, per esempio, da una legge ordinaria
che volesse stabilire il principio dell'indirizzo e coordinamento che in pratica
renderebbe superiore la legge nazionale rispetto a quella regionale. L'unico
elemento di differenziazione che rimarrebbe alla legge regionale sarebbe
l'obbligo di promuovere la parità uomo-donna anche nell'accesso alle cariche
elettive. Può trattarsi di un principio importante perché - come sapete - in
base alla legge costituzionale n. 1 del 1999 le regioni, sia pure sulla base dei
princìpi che dovrebbero essere stabiliti dalla legge dello Stato, hanno il
potere di produrre una legge elettorale per il proprio consiglio regionale.
Da questo
punto di vista, la dottrina si è divisa tra chi sostiene che questa norma
superi la sentenza Ferri n. 422 del 1995, che faceva cadere le quote femminili
nella proporzionale, ed altri autori che ritengono che in pratica sia una norma
programmatico-promozionale che di per sé non supererebbe la giurisprudenza
negativa della Corte costituzionale. Certo, è strano che tale principio sia
stato emanato solo per le leggi regionali mentre a rigore, dato l'argomento di
cui si tratta, dovrebbe valere anch'esso su scala generale.
Quali di
queste norme rivestono un'importanza particolare? Per la novità, quelle che non
sono previste nel nuovo articolo 117, quelle che sono coperte dal manto della
residualità; tutto il resto è molto pesante, molto importante. La competenza
esclusiva delle regioni, con la residualità prevista nel comma 4 dell'articolo
117, tutto quello che non è espressamente riservato allo Stato (ciò rende
difficile un'interpretazione basata sul criterio dei poteri impliciti dello
Stato), riguarda l'industria, i trasporti, la viabilità, la formazione
professionale, il turismo, l'agricoltura, l'artigianato, l'assistenza. Si tratta
di materie di enorme importanza, a cui qualcuno vorrebbe aggiungere anche
l'università in quanto, non essendo l'istruzione universitaria ricompresa in
nessuna delle materie nominate, si sostiene che ricada nella residualità. Però
va risposto che per giudicare delle attribuzioni bisogna anche considerare le
altre norme costituzionali, le quali recano - ultimo comma dell'articolo 33 -
una riserva statale che, secondo buona parte della dottrina, fa salva la
competenza statale in materia universitaria. Nel progetto di legge Amato-D'Alema,
invece, erano state unite istruzione, università, professione. Era il blocco a
legislazione concorrente che veniva imposto.
Questo ius
superveniens è molto diverso da quello di una legge ordinaria che è
sottoposta al giudizio della Corte costituzionale. Qui lo ius superveniens
è un paradigma costituzionale, è il termine nuovo di raffronto cui vengono
assoggettate le leggi ordinarie. Bisogna rendersi conto che a questa stregua è
già chiara l'incostituzionalità, per esempio, di una delle ultime leggi
approvate nella scorsa legislatura - la legge n. 135 del 2001 in materia di
turismo - che certamente non regge di fronte al potere di competenza esclusiva
delle regioni in materia appunto di turismo. Ciò vale naturalmente anche per
altre materie.
Invece il
comma 2 riguarda le competenze statali, le quali non sono amplissime, come
qualcuno ritiene, perché anche nelle Costituzioni tedesca e svizzera sono
previste riserve allo Stato più o meno equivalenti come numero. Semmai qualcuno
deplora che non siano nella competenza esclusiva dello Stato le poste, le
telecomunicazioni, le grandi reti di trasporto dell'energia, che invece qui, con
grande scandalo - in parte almeno giustificato - del professor Cassese, ricadono
nella legislazione concorrente, mentre avrebbero dovuto essere probabilmente
nella competenza esclusiva dello Stato.
Richiamo
la vostra attenzione su due norme particolarmente importanti per quanto riguarda
il potere legislativo esclusivo dello Stato. Innanzi tutto, non deve trarre in
inganno il termine "esclusivo", che non significa completo, tant'è
vero che in materia di istruzione la competenza statale è sulle norme generali
sull'istruzione. Poi vi sono ancora due gradini: i princìpi fondamentali che,
in materia di istruzione, dovrebbero essere emessi dal Parlamento prima che la
regione faccia la sua parte nella legislazione concorrente dedicata
all'istruzione. Quindi avremmo addirittura tre livelli di partecipazione: due
volte lo Stato, una volta le regioni. Voi capite l'enorme importanza di operare
tale distinzione. La scelta del buono scuola, che tocca il problema dei rapporti
tra scuola statale e scuola non statale, appartiene alle norme generali
sull'istruzione, ai princìpi fondamentali della materia istruzione in ambito di
legislazione concorrente o può essere disciplinata dalle regioni nell'esercizio
del loro potere concorrente in materia di istruzione? Ad un certo punto bisognerà
pur fare chiarezza, e dovrà farla o la Corte, che peraltro per due volte ha
dichiarato inammissibili ricorsi che riguardavano l'intervento della regione
Emilia-Romagna in materia di aiuti alle scuole non statali, o il legislatore
nazionale. Tutto consiglia che su molti aspetti si cerchi di non aggravare di
compiti la Corte, come già avvenne in precedenza per l'interesse nazionale,
occasione in cui sarebbe spettato al Parlamento giudicare. Come sapete, il
Parlamento non è mai stato investito di tale questione di merito sulle leggi
regionali, mentre è stata sempre la Corte ad occuparsene, trasferendo il
criterio dell'interesse nazionale in un criterio di legittimità. Sarebbe bene
che il Parlamento evitasse troppi oneri alla Corte, non tanto per una questione
di lavoro, ma per una questione di scelte troppo politicizzate, che non possono
giovare alla fisiologia della giustizia costituzionale.
L'altra
norma più importante, oltre quella dell'istruzione, è quella sui livelli
essenziali delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali. Anche in
questo ambito bisognerebbe tentare di fare chiarezza per sapere, possibilmente
non in via giurisdizionale, cosa si sia voluto dire con l'espressione, voluta
dalle regioni e che richiama il nucleo essenziale dei diritti della Legge
fondamentale tedesca, "livelli essenziali". Ma, in mancanza di una
normativa concorrente di tipo tedesco, bisognerebbe che il Parlamento italiano
tentasse perlomeno di definire questi livelli, che sono fondamentali per una
cittadinanza sostanziale (oggi, infatti, si parla di diritto di cittadinanza
sostanziale). Il criterio dei livelli essenziali è eminentemente trasversale e
supera quella concezione arcaica per cui lo Stato dovrebbe occuparsi soltanto
della spada, della bilancia, della feluca e della moneta, perché uno Stato
federale moderno, sia negli Stati Uniti sia altrove, si occupa anche del
benessere dei propri cittadini e si preoccupa, anche per salvare l'unità
effettiva del Paese, che i dislivelli nel godimento di questi diritti non siano
così profondi.
Abbiamo
il criterio trasversale dei livelli essenziali che, dalla legislazione di
competenza esclusiva dello Stato, passa a qualificare sia l'esercizio della
legislazione concorrente sia, a mio avviso, l'esercizio della legislazione
esclusiva delle regioni. Per esempio, il diritto alla salute. Se la regione ha
un potere legislativo nell'industria, anche il legislatore regionale deve tenere
conto di quella tutela nel settore.
L'altro
aspetto molto importante della legislazione è la legislazione concorrente, che
non è quella tedesca in cui lo Stato in certi casi può legiferare sia sui
principi che sul dettaglio, ma è quella che ripete le problematiche, certo non
agevoli, della distinzione tra princìpi fondamentali e normativa che chiamerei
di regolazione. Forse l'espressione "di regolazione" richiama troppo
alcune autorità indipendenti, però non so trovarne un'altra per contrapporla
ai princìpi. Questi princìpi fondamentali si differenziano profondamente,
secondo alcuni autori, dai princìpi fondamentali che erano alla base della
legislazione concorrente del periodo precedente della Costituzione del 1947
perché, essendo la legge regionale fonte con competenza di carattere generale,
si avrebbero varie conseguenze che prima non erano state tratte. Ossia, se lo
Stato non esercita questi poteri per la fissazione dei principi fondamentali, la
regione può agire liberamente. Quindi, se si vuole raggiungere un risultato
unificante, vi è l'urgenza che il Parlamento fissi tali principi fondamentali.
Diversamente, mentre la Corte costituzionale aveva sempre ritenuto che, in
assenza di principi fondamentali ad hoc, questi si potessero estrarre
dalla legislazione esistente, secondo questa impostazione più federalista, e
dato che si dice che il potere legislativo spetta alle regioni, salvo allo Stato
stabilire i princìpi fondamentali, bisognerebbe fare in modo da prevenire una
proliferazione di leggi troppo divergenti da regione a regione.
E vengo
quindi alla potestà regolamentare, che è assegnata sia allo Stato sia alla
regione, ma al primo per quelle materie che fanno parte della sua competenza
esclusiva. Può esserci una delega dallo Stato alle regioni per l'attuazione
regolamentare di leggi statali in materia esclusiva? In questo caso i
regolamenti regionali non sono, come di norma, serventi rispetto alla legge
regionale, ma sono, invece, serventi rispetto ad una legge statale. Saranno gli
statuti, salvo a vedere in che misura e se conformi ai princìpi della
Costituzione, a stabilire se ci possono essere regolamenti indipendenti
nell'ambito della normativa regionale e se questi possono dar luogo ad una
riserva del regolamento. Voi sapete che la legge costituzionale n. 1 del 1999 ha
escluso che i regolamenti regionali debbano essere necessariamente emanati dal
consiglio regionale, ed è l'esecutivo regionale, infatti, ad essere ormai in
grado di emanarli. Bisogna vedere se lo Statuto potrà o meno decidere una
riserva di regolamento per certe materie.
Il
secondo pilastro è quello della funzione amministrativa, della riforma
Bassanini. Non si parte da zero. Oggi, mentre in altri campi occorre intervenire
rapidissimamente per colmare delle autentiche lacune, per quel che riguarda la
funzione amministrativa, almeno in linea di massima, il vuoto è già in buona
parte colmato, perché per un certo periodo credo che andrebbe sperimentata la
normazione che è stata prodotta nella scorsa legislatura con decreti
legislativi e con decreti del Presidente del Consiglio sulla base della legge n.
59 del 1997. Naturalmente possono esserci degli scostamenti: in materie in cui
le regioni hanno acquisito il potere legislativo esclusivo, possono essersi
prodotte anche delle discrasie rispetto all'assegnazione di poteri da parte
dello Stato. Tali discrasie, in linea di massima, non dovrebbero prodursi
quando, nelle materie previste dall'articolo 117 della Costituzione, è stata la
regione ad assegnare compiti ai comuni e alle provincie con legge regionale. Ma
in tutte le altre materie, in particolare in quelle che la regione acquisisce
come competenza esclusiva, indubbiamente in futuro si potrebbe dar luogo ad
un'altra ondata, in cui le regioni ritenessero, nell'esercizio dei loro poteri,
di allocare competenze ed attribuzioni che erano state assegnate dai
provvedimenti Bassanini necessariamente per categorie (ad esempio, i comuni in
generale o quelli con un certo numero di abitanti), mentre il legislatore
regionale sarebbe in grado di specificare ancora di più queste funzioni in
relazione alle potenzialità locali degli enti (comune e provincia).
Certo,
questa materia può apparire formulata (e tale formulazione è stata molto
criticata in dottrina) in termini ambigui. L'articolo 118, come risulta dalla
proposta dell'Associazione nazionale dei comuni italiani, recepita forse troppo
grezzamente dal Comitato dei nove alla Camera, rischia di confondere le idee
perché parla di funzioni attribuite, funzioni conferite e funzioni proprie. In
tal modo, tra queste tre specie indubbiamente possono sorgere degli equivoci o
quanto meno delle ambivalenze.
Il terzo
pilastro è rappresentato dalla riformulazione dell'articolo 119. Non è vero,
come ha detto qualcuno, che la nuova formulazione di questo articolo riproduce
sostanzialmente, sia pure con altre parole, la vecchia formulazione. In realtà,
ci sono delle innovazioni molto forti, in parte solo anticipate dal decreto
legislativo n. 56 del 2000, nel quale è contenuta una normativa complessa, che
addirittura si prolunga per anni e anni per arrivare a regime e che dovrà
essere in qualche modo resa compatibile anche con questo nuovo articolo 119.
Emerge la
territorialità dell'imposta, emerge cioè che la compartecipazione della
regione ai tributi erariali va commisurata al gettito sul territorio. Per cui
non ci saranno mai più i "calderoni" dei fondi in cui non si sa cosa
sia dell'Emilia, cosa della Calabria, e così via. Questo diventa, invece, il
punto di riferimento base per questa parte dell'entrata regionale, che in
Germania è quella preminente (aliquote dell'IRPEF e dell'IVA). Questo elemento
della territorialità prevede un duplice riferimento. Innanzi tutto, vi è un
riferimento al gettito, per cui oramai tutti ritengono che non si possa arrivare
ad una parificazione assoluta nel contributo dei cittadini e delle regioni,
altrimenti sarebbe stato inutile richiamarsi a questo riferimento al gettito nel
territorio della regione. In secondo luogo, c'è un riferimento alla capacità
fiscale che ogni regione dovrebbe poter esercitare, in modo da rendere
responsabile la regione, se - per acquisire la simpatia degli elettori - non
stabilisce le imposte o le aliquote corrispondenti alla capacità fiscale della
regione stessa.
Quindi,
come vedete, si tratta di questioni che richiederebbero un enorme impegno e che
esigerebbero un chiarimento nel rapporto tra il decreto legislativo n. 56 del
2000 e questa nuova disciplina. Ci domandiamo se veramente il finanziamento
delle regioni potrà essere lo stesso, sia per le materie che toccano i livelli
essenziali dei diritti, sia per le materie di competenza esclusiva, che
riguardando l'industria, il commercio ed il turismo, non toccano direttamente
l'esercizio di questi diritti. In sostanza, non si verrà a creare per i vecchi
comuni una distinzione tra spese obbligatorie e spese facoltative, o più
facoltative? Ed il finanziamento di queste differenti spese potrà in qualche
modo essere qualificabile in maniera differente? È un grande problema, che
effettivamente dovrà essere affrontato.
Il quarto
pilastro è quello dei controlli. Cadono tutti i controlli preventivi sulle
leggi e sugli atti amministrativi delle regioni, delle province e dei comuni.
Per
quanto riguarda le regioni, qualcuno ritiene di non essere garantito perché, se
il Governo non impugna una legge regionale, questa legge non viene sottoposta al
sindacato della Corte costituzionale e quindi rimane nell'ordinamento giuridico
italiano. Allora, in dottrina, qualcuno pensa a dei soggetti aggiuntivi o a
minoranze parlamentari che possano investire della questione, nei 60 giorni
successivi alla pubblicazione della legge, la Corte costituzionale. In tal modo,
questi ulteriori soggetti potrebbero ovviare, con una sorta di azione pro
Constitutione, ad un'eventuale omissione governativa. Si vorrebbe quindi
aggiungere una garanzia nel caso in cui il Governo sia d'accordo con una
determinata regione per motivi politici, che non tengono molto conto della
Costituzione. Tale garanzia sarebbe rinforzata se si desse alla Corte
costituzionale il potere cautelare di sospendere l'efficacia di una legge che
potrebbe produrre dei guasti altrimenti non riparabili.
Il quinto
pilastro è dato dal rapporto tra regioni ed enti locali. Questo rapporto, in
realtà, non risulta chiarito, perché da una parte non si è voluto dare, a
causa della resistenza dei comuni (municipalismo contro regionalismo), ciò che
era stato riconosciuto alle regioni a statuto speciale, cioè il potere
ordinamentale. Questo potere è stato assegnato, con una legge costituzionale
del 1993, alle regioni a statuto speciale, che tra l'altro in generale - salvo
le provincie di Bolzano e Trento - non l'hanno esercitato, perché creava troppe
reazioni nei comuni.
Allora
rimane il dubbio: quali poteri hanno le regioni nei confronti dei comuni? In
realtà, l'articolo 118 chiarisce che ci sono funzioni che possono essere
conferite con legge regionale. Allora, se ci sono funzioni che possono essere
conferite con legge regionale, è evidente che anche la regione può allocare
competenze (probabilmente in quelle materie di competenza esclusiva che abbiamo
visto prima) al comune o alla provincia, i quali potrebbero arricchire le loro
attribuzioni con competenze assegnate mediante legge statale o legge regionale.
Rimane tuttavia quest'incertezza circa i limiti del potere allocativo delle
regioni. In Germania, invece, non ci sono dubbi circa il fatto che il Land
può senz'altro ridurre o ampliare le competenze delle circoscrizioni minori.
Un
problema di principio molto importante viene dal comma 3 del nuovo articolo 116
(articolo 2 del testo approvato anche dal corpo elettorale), che prevede
ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia concernenti le materie di
cui al comma 3 dell'articolo 117. Secondo alcuni, però mi sembra un po'
inverosimile, le regioni potrebbero così acquisire potere legislativo esclusivo
anche in materia di grandi reti di telecomunicazioni, di energia, eccetera, ma
soprattutto – è una novità negoziata all'ultimo momento alla Camera –
anche in alcune materie di legislazione esclusiva dello Stato, cioè quelle
famose norme generali sull'istruzione ed altre, di minore rilievo, concernenti i
giudici (non la giustizia: non esiste una giustizia di pace, come è stato
affermato scherzosamente, da contrapporre ad una giustizia di guerra, esistono
solo giudici di pace). Ebbene, mio avviso è problematico che questa norma
rispetti i princìpi fondamentali della Costituzione, perché mentre la legge
della Bicamerale diceva che "con legge costituzionale possono essere
aggiunte altre materie", e la stessa cosa era rimasta nell'approvazione
alla Camera, qui si viola secondo me il principio della rigidità costituzionale
dell'articolo 138, che è la garanzia massima che la Costituzione contempla per
la sua modifica. In altri termini, in questo caso, come riconosce il maggior
sostenitore di tale teoria che ha scritto un libro sul regionalismo
differenziato (perché adesso c'è una forte spinta al regionalismo asimmetrico
o differenziato), in sostanza si arriva con queste formule ad una vera e propria
ipotesi di revisione costituzionale. Dice questo giovane studioso del
regionalismo differenziato, Antonini: "La prospettiva dell'asimmetria
appare quindi votata a presentarsi come un'ipotesi di revisione costituzionale
potenzialmente idonea a ricondurre in nuovi e più giustificati equilibri l'una
e l'altra delle forme originarie del regionalismo italiano", cioè statuto
ordinario e statuto speciale. Ma se si realizza un'ipotesi di revisione
costituzionale, nel momento in cui si apre una strada che può dare alle regioni
poteri di cui non conosciamo la portata, è possibile procedere senza le
garanzie dell'articolo 138 della Costituzione, almeno nella misura in cui queste
garanzie erano mantenute dalle leggi istitutive della Bicamerale? Io ritengo che
questo sia un problema molto grave. Mentre eravamo partiti in modo ortodosso,
sia alla Bicamerale, sia successivamente, ci siamo poi venuti a trovare,
progressivamente, con poteri sempre più estesi delle regioni e con garanzie
sempre minori: invece dell'articolo 138, questa legge approvata dalle Camere a
maggioranza assoluta dei componenti sulla base di intese fra lo Stato e la
regione interessata. Voi capite che adesso – non mi riferisco a questa
legislatura, parlo in generale – con l'adozione del sistema maggioritario le
garanzie dovrebbero essere certamente maggiori rispetto a quelle previste in
questo comma. Mi rendo conto che c'è una forte spinta (non so se sia
incontenibile come dicono alcuni), specialmente in quello che scherzosamente
chiamo lo Stato di Milano. Voi sapete che c'è un bel libro di uno storico,
Fausto Fonzi, "Lo Stato di Milano e la resistenza a Crispi":
praticamente anche qui c'è un po' lo Stato di Milano, lo dico in termini più o
meno scherzosi.
Quindi,
questo è un punto che secondo me va meditato seriamente, perché altrimenti
questo regionalismo rischia di essere sì asimmetrico, ma a danno della
Costituzione. Tutto ciò impone cautela; certo, questo regionalismo
differenziato non è obbligatorio, ma impone quanto meno una grande cautela.
Vi è poi
una questione di merito. È vero che finora abbiamo avuto statuti speciali e
statuti ordinari, però tale distinzione non ha danneggiato molto il principio
di unità nazionale, perché c'erano statuti speciali al Sud così come al Nord.
Diversa sarebbe la situazione se si venissero a creare delle contrapposizioni
che comprendessero tutto o buona parte del Nord, ovvero tutto o buona parte del
Sud. Questo soprattutto perché purtroppo nella nostra Costituzione (che
tendenzialmente con questa revisione del Titolo V vorrebbe evolvere in senso
cooperativo, vorrebbe il federalismo cooperativo), eccezion fatta per la
conferenza Stato-regioni che non è citata, mancano le sedi per la cooperazione,
per il federalismo cooperativo, salvo quella Commissione per le questioni
regionali che dovrebbe integrarsi con rappresentanti delle autonomie e che è
stata lasciata al potere regolamentare delle Camere proprio per rispettare la
loro autonomia. Può darsi che si arrivi a quelle regolamentazioni parallele che
si ebbero quando si approvò la legge per la responsabilità penale dei
Ministri, togliendola alla Corte costituzionale e limitandola invece ad una
autorizzazione parlamentare, o addirittura prima, quando si disciplinarono le
elezioni dei giudici della Corte, quando, auspice il segretario generale del
Senato Picella, si adottò una regolamentazione parallela in termini simili tra
Camera e Senato, una sorta di atto bicamerale non legislativo.
Indubbiamente
questa esposizione non sarebbe completa (invero, le questioni su cui diffondersi
sarebbero tantissime) se, come mi ha chiesto il Presidente, non vi indicassi
alcune urgenze che secondo me sono da sottolineare in modo particolare. Innanzi
tutto, vi è la questione che agita in questi giorni lo stesso Governo, e cioè
il problema dei controlli.
È
accaduto infatti che, mentre la legge della Bicamerale e il disegno di legge
presentato da D'Alema e Amato prevedevano espressamente la soppressione di tutti
questi controlli, la legge costituzionale attuale invece - credo per una svista
- si limita ad abrogare quegli articoli che riguardano i controlli. Sono venute
fuori allora varie perplessità. Alcuni, come il relatore Cerulli Irelli alla
Camera, ritengono che, una volta travolta la norma costituzionale, rispetto a
cui queste leggi (come ad esempio la legge Paladin del 1993) si porrebbero come
leggi di attuazione costituzionale, cadrebbero egualmente, sia pure in via di
interpretazione, le leggi ordinarie che altrimenti regolavano questi controlli.
Altri invece ritengono che si sia creata una vera e propria lacuna nella
Costituzione. Vi cito solo una frase del professor Pastori, uno degli
amministrativisti che si è occupato della questione: "È vero che la legge
di riforma abroga le norme relative a tutte le altre forme di controllo su atti
ora previsti dalla Costituzione vigente, anche se non le vieta espressamente, il
che parrebbe costituire una indubbia lacuna: l'aver di fatto rimesso alla
legislazione ordinaria di prevedere eventuali altre forme di controllo".
Data la
lacuna che si è venuta a creare nella Costituzione, che non ha soppresso
espressamente i controlli, come la proposta di legge della Commissione
bicamerale - salvo naturalmente il visto sulle leggi del Commissario di Governo,
che sicuramente è caduto -, se anche cadessero, secondo la tesi di Cerulli
Irelli, queste norme, per una sorta di carambola interpretativa, rimarrebbe
tuttavia il potere dello Stato di stabilire i controlli con legge ordinaria.
È
comunque urgente per i comuni sapere se i loro bilanci devono essere sottoposti
a controllo, anche per la disciplina specifica esistente sulla materia. Occorre
chiarire al più presto la questione dei controlli.
Vedete,
certe volte è diverso abrogare o sopprimere istituti in modo espresso invece
che eliminare semplicemente le norme senza dare direttive per l'avvenire. Su
questo direi che occorrerebbe un'iniziativa governativa o una legge del
Parlamento, sia pure breve, che chiarisse questo aspetto dei controlli.
Poi vi
sono alcune grandi questioni molto urgenti: in primo luogo, quelle relative alle
norme generali sull'istruzione e sul livello essenziale dei diritti sociali, che
esigerebbero indubbiamente un intervento non troppo tardivo. Occorrerebbe anche
chiarire i criteri in base ai quali giudicare, almeno in via di massima, quando
le attribuzioni, in deroga al principio di sussidiarietà e per ragioni di
esercizio unitario, possono essere mantenute in capo alle regioni o allo Stato e
non conferite ai comuni. Andrebbero poi chiarite, almeno a titolo di precedente
o di esempio, alcune normative sui princìpi fondamentali per le materie di cui
abbiamo parlato prima.
Dovrebbe,
inoltre, esservi un raccordo tra il decreto legislativo n. 56 del 2000, in
materia fiscale, e l'articolo 119 della Costituzione e dovrebbero essere
stabiliti i princìpi alla base dei sistemi elettorali delle regioni; altrimenti
queste ultime non potrebbero esercitare il loro potere.
Da
ultimo, dobbiamo analizzare, solo per un attimo, i riflessi sulla vita
parlamentare di queste norme. Secondo me, le norme che hanno ridisciplinato i
Ministeri, che dopo questa legge potrebbero essere riviste in parte - alcuni
Ministeri hanno competenze che appartengono ormai alla competenza esclusiva
delle regioni (agricoltura, industria, commercio eccetera) - non possono mancare
di avere un "riflesso" - si dice così nelle conversazioni tra
studiosi - anche nella vita parlamentare. Certamente il riordino delle
Commissioni dovrà tener conto del riordino dei Ministeri, ma anche e
soprattutto del riordino delle competenze. Può darsi che gli onori, o gli
oneri, possano essere distribuiti ugualmente tra un numero di cariche che non
sarà ridotto, però è bene tentare una certa razionalizzazione.
Signor
Presidente, in conclusione, in considerazione della presenza del senatore Salvi,
vorrei fare una postilla.
Se
guardiamo al libro bianco sul mercato del lavoro in Italia: "Proposte per
una società attiva e per un lavoro di qualità", distribuito dal Ministro
del lavoro, forse ancora in via ufficiosa - ne circolano comunque molte copie -
a pagina IX dell'introduzione troviamo un'affermazione che ha dato luogo a molte
discussioni: "Peraltro, il nuovo assetto federale che interessa anche la
regolazione del mercato e dei rapporti di lavoro può valorizzare questo metodo
di intervento. La potestà legislativa concorrente delle regioni riguarda non
soltanto il mercato del lavoro, bensì anche la regolazione dei rapporti di
lavoro. Il legislatore nazionale, nel dialogo con regioni e parti sociali, dovrà
intervenire con una normativa cornice, ma poi spetterà alle singole realtà
territoriali costruire un impianto regolatorio che valorizzi le diversità dei
mercati del lavoro locali e superi l'attuale stratificazione dell'ordinamento
giuridico".
Ora,
poiché l'elenco delle materie della legislazione concorrente prevede soltanto
la materia della tutela e sicurezza del lavoro - ed è molto discusso che la
sicurezza del lavoro possa dipendere dalle diversità delle regioni - è stato
risposto a questa affermazione che il nuovo assetto federale - e si tratta di
legislazione concorrente, perché si parla di "normativa cornice" -
riguarderebbe anche i rapporti di lavoro.
È stato
opposto da altri che nel codice civile esiste un libro V che riguarda il lavoro
e che quelle norme insieme ad altre, come quelle contenute nello Statuto dei
lavoratori, farebbero parte di una competenza esclusiva dello Stato (al secondo
comma, lettera l) del novellato articolo 117 della Costituzione si parla
di "ordinamento civile e penale". Queste norme sul rapporto di lavoro
rientrerebbero, almeno come quadro, nell'ordinamento civile. Mi pare che anche
il senatore Bassanini si sia espresso in questi termini. In realtà, forse si fa
confusione con il concetto di politica dell'occupazione. Secondo altri, come
Cerulli Irelli, la politica dell'occupazione rientrerebbe nella competenza
esclusiva delle regioni, perché non rientrerebbe direttamente nella competenza
esclusiva o concorrente dello Stato.
Il
problema probabilmente esiste. Il libro bianco consta di circa novanta pagine.
Mi riservo di esaminarlo più analiticamente; per oggi mi fermo alla pagina IX.
BASSANINI
(DS-U). Rispetto all'ultima questione (sulla quale non si è pronunciato)
chiederei al presidente Elia in base a che cosa si può ritenere che la
competenza riservata allo Stato in materia di ordinamento civile comprenda solo
alcuni libri del codice civile e non altri. Alcune delle interpretazioni citate,
senza pronunciarsi, dal presidente Elia azzerano sostanzialmente (o pongono le
premesse per azzerare), per via di legislazione regionale, interi libri del
codice civile.
Su questo
argomento vorrei porre una domanda più generale al presidente Elia: non crede
che, al di là delle diverse posizioni di ciascuna forza politica, l'attuazione
di una riforma di questa portata richieda ormai un atteggiamento di sostanziale
onestà intellettuale? In questi ultimi mesi abbiamo visto contrapporsi tesi ed
interpretazioni singolarmente contraddittori. Abbiamo letto editoriali che
sostenevano che questa riforma è "acqua fresca", che non cambia
sostanzialmente niente; editoriali anche autorevoli: ricordo uno studioso vicino
alla mia parte politica, Ilvo Diamanti, in un editoriale su "Il sole 24
ore", che affermava che si tratta di una riforma di modestissima portata,
ma esortava a votare sì perché è meglio che niente.
Nel libro
bianco del Ministro del lavoro viene data un'interpretazione più estensiva
delle competenze regionali in una materia molto delicata quale i rapporti di
lavoro, pure appartenendo il medesimo Ministro ad una forza politica che afferma
che questa riforma è poca roba ed ha poco significato. Contraddizioni ce ne
sono da tutte le parti, ne ho citate soltanto alcune.
Viceversa,
anche sulla base di quanto affermato dallo stesso presidente Elia, penso che
questa sia una riforma di vasta portata. Egli ricordava una serie di materie
ormai di competenza esclusiva delle regioni; il che vuole dire competenza
legislativa esclusiva e competenza regolamentare piena delle regioni e degli
enti locali, tra cui, ad esempio, gran parte dei comparti dei settori
dell'industria (salvo una competenza ripartita in alcuni settori limitati come
la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell'energia) del
commercio, dell'artigianato e dell'agricoltura.
Di fronte
a questo dato non pensa, Presidente, che bisognerebbe richiamare tutti ad una
sorta di onestà intellettuale? Non giochiamo su queste cose e non tentiamo di
dare interpretazioni forzate; dove il testo, come nel caso dei rapporti di
lavoro, può essere correttamente interpretato, nel senso di una competenza
ancora unitaria, non cerchiamo di forzarlo allargando un ambito di competenza,
di devoluzione di funzioni che già è molto consistente. Si potrebbe arrivare a
ciò, cancellando un intero libro del codice civile che, a questo punto, deve
attendere soltanto la decisione delle regioni che potrebbero tranquillamente
abrogarlo e sostituirlo. A me, francamente, sembra un'interpretazione poco
sostenibile.
La
seconda domanda che vorrei porre è connessa con quella che ho appena svolto.
Nell'elenco, sia pure esemplificativo, delle principali materie che in forza
della riforma passano alla competenza esclusiva della regione, il presidente
Elia ci ha parlato di industria, commercio, artigianato e agricoltura senza
citare l'urbanistica.
Nel testo
si parla di governo del territorio; forse questo cambiamento di terminologia che
il legislatore ha usato sarebbe stato meglio evitarlo per renderne più chiara
l'interpretazione. Penso però che, se identifichiamo la materia urbanistica con
il governo del territorio (non so quale sia l'opinione del Presidente in
proposito), la legislazione è ripartita o concorrente; quindi i poteri
amministrativi sono di competenza regionale e locale, o provinciale nel caso del
Trentino-Alto Adige. È veramente così?
Ciò
significa che dovremmo porci immediatamente il problema di una verifica: non
tutte le disposizioni contenute nel disegno di legge Lunardi sulle grandi opere
sono coerenti con queste disposizioni costituzionali. Poiché non è stato
definitivamente approvato dovremmo analizzarlo meglio, perché dove è prevista
una potestà concorrente, non c'è più un potere amministrativo statale. E
questo vale, a maggior ragione, in una materia come l'urbanistica, che già era
tradizionalmente di competenza amministrativa delle regioni e degli enti locali.
Vorrei
porre un'ulteriore domanda al presidente Elia. Tra le materia di competenza
statale vi è la tutela della concorrenza. Vorrei sapere qual è la giusta
interpretazione. Riguarda le regole della concorrenza nelle materie di
competenza dello Stato o, più in generale, tutti i settori, compresi quelli di
competenza legislativa delle regioni? Si tratta di una competenza, per così
dire, trasversale, cioè definire le norme sulla tutela della concorrenza, le
norme antimonopolistiche in generale o solo nel settore di competenza del
legislatore statale?
ELIA.
Per quanto riguarda il primo punto, forse non mi sono espresso bene; non azzardo
un giudizio definitivo perché non ho potuto leggere ancora tutto il libro
bianco. Per una questione di metodo e per ragioni di prudenza, mi riservo di
leggerlo prima di fare affermazioni assolute. Se mi dovessi fermare alle prime
nove pagine, senza una motivazione specifica, direi – come ho già fatto - che
effettivamente vi è il libro V del codice, e che la formula "tutela e
sicurezza del lavoro" non mi sembra tocchi l'ordinamento del rapporto, dei
contratti. Quindi, ad una prima e non definitiva valutazione, affermerei anch'io
che la materia è tra quelle di legislazione concorrente, però per scrupolo di
studioso mi riservo di leggere l'intero libro bianco.
Il
problema dei lavori pubblici è certamente uno dei più gravi poiché rievoca
l'antica distinzione, presente nella vecchia norma costituzionale che ora non
esiste più. In altre parole, alcuni sono portati a far rientrare nel grande
"calderone" della competenza residuale materie come i trasporti e la
viabilità di interesse regionale. Le grandi reti di trasporto e di navigazione
rientrano tra le materie di legislazione concorrente; di conseguenza, tutta una
serie di attività e funzioni minori potrebbero dar luogo ad una competenza
regionale esclusiva, su scala più ridotta. Ritengo che alcune di queste
materie, come le grandi reti di trasporto e di navigazione o l'ordinamento della
comunicazione, dovrebbero essere riesaminate; come hanno fatto, del resto, gli
olandesi, che nel 1983 hanno approvato una sorta di legge di consolidamento e di
razionalizzazione di tutte le modifiche accumulatesi negli ultimi anni. Vedremo
se, una volta conclusa questa fase di transizione, sarà possibile procedere ad
una razionalizzazione. Oggi come oggi credo debbano essere date interpretazioni
che salvino la possibilità per lo Stato contemporaneo di agire a tutela di quel
benessere a cui si è accennato.
Per
quanto riguarda la concorrenza, credo si tratti (oltre che di una competenza) di
una finalità trasversale, che riguarda l'industria e il mondo economico; un po'
come la tutela del consumatore, che tocca l'esercizio del potere tariffario in
tutta una serie di settori.
Certamente
vi saranno conseguenze anche su procedimenti legislativi in corso. Ricordavo
poc'anzi un caso da manuale: la legge n. 153 del 2001, sul turismo, che a prima
vista è contraria all'assegnazione del turismo alla competenza esclusiva della
regione. Naturalmente sappiamo che il criterio delle materie si presta ad essere
dilatato o ristretto. Alcune formule utilizzate impediscono, per onestà
intellettuale, di restringere l'elenco, anche quando sul piano tecnico e
materiale da parte di alcuni studiosi si è parlato di follia, per alcune di
queste attribuzioni ripartite. In ogni caso, bisognerebbe seriamente valutare
quello che rende agibile il principio di unità dell'articolo 5 e quello che,
invece, lo rende oltremodo difficile e preferire - magis ut valeat - l'interpretazione
a favore del principio unitario.
DEL
PENNINO (Misto-PRI). La ringrazio, presidente Elia, per la sua
esposizione, che ha messo in evidenza, con molto acume e garbo, alcuni aspetti
di questa riforma che da tempo avevano destato in me preoccupazione e perplessità.
Non
voglio svolgere un'analisi dettagliata delle sue osservazioni, molte delle
quali, tra l'altro, mi trovano ampiamente consenziente: mi riferisco, in
particolare, alla riforma costituzionale impropria introdotta dall'ultimo comma
dell'articolo 116 e all'osservazione, indirettamente contenuta nelle sue parole,
sulla circostanza che con la modifica introdotta a proposito della impugnazione
le leggi regionali, eliminato il ricorso al Parlamento e mantenendosi solo
quello alla Consulta, in realtà si finirà con il gravare la Corte
costituzionale di ulteriori problemi.
Mi
soffermo, dunque, su un punto specifico della cosiddetta legislazione
concorrente, che - a mio avviso - rappresenta l'elemento di maggiore
preoccupazione di questa riforma. Vorrei capire se ho colto bene un'osservazione
e che mi sembra degna della massima attenzione. Lei ha sottolineato che con la
nuova formulazione dell'articolo 117 non vale più l'interpretazione secondo cui
i princìpi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato vengono comunque
dedotti da leggi di merito approvate in quella materia. È necessario che
esistano precise leggi di principio, non potendosi dedurre i princìpi generali
dall'insieme della legislazione di merito. Le conseguenze riguardano qualunque
iniziativa legislativa regionale sulle materie concorrenti. Lei ha fatto
riferimento ad alcune materie che oggettivamente sarebbero da riesaminare (sulle
quali sarebbe stato opportuno riflettere al momento della stesura del testo), le
grandi reti di trasporto e di navigazione e l'ordinamento della comunicazione.
Io aggiungerei la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale
dell'energia; certamente è questione di portata nazionale, non regionale.
Si tratta
di un aspetto su cui è necessario riflettere seriamente. Se questa
interpretazione venisse avallata dall'indagine conoscitiva, sarà necessario
porsi il problema di un intervento legislativo correttivo.
La
domanda che le pongo è: se la legislazione di principio, non è specificamente
prodotta, è consentita alle regioni un'iniziativa legislativa su queste materie
indipendentemente dalle indicazioni statali?
ELIA.
Pur
non essendo espressamente qualificata come una revisione in senso federale
dell'ordinamento, in questa disciplina ci sono dei tratti di federalismo;
basterebbe il rovesciamento dell'enumerazione. Questo - si dice - porta con sé
anche l'impostazione tipica degli Stati federali. È previsto espressamente,
proprio nel comma 3, che "Nelle materie di legislazione concorrente spetta
alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi
fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato". Un po' per questa
formulazione letterale, un po' perché la fonte legislativa statale non ha più
competenza generale, secondo alcuni, ci sarebbe un'attrazione che determinerebbe
la possibilità per le regioni di legiferare anche senza che siano stati prima
stabiliti i princìpi fondamentali; anche come funzione di stimolo, perché
altrimenti, non enunciando princìpi fondamentali, lo Stato bloccherebbe
praticamente l'esercizio della potestà legislativa regionale.
Il
riferimento alla normazione precedente effettivamente darebbe luogo a risultati
raramente utilizzabili data la differenza di impostazione, specialmente in tema
di organizzazione e di poteri amministrativi che si è venuta a realizzare con
questa riforma.
Come si
potrà far valere la tutela dell'interesse nazionale? Probabilmente si potrà
fare ricorso al comma 2 dell'articolo 120, che raccoglie due criteri propri
dell'articolo 72 della Legge fondamentale tedesca: la tutela dell'unità
giuridica o dell'unità economica. Credo che in casi estremi, per esempio la
produzione e il trasporto dell'energia o argomenti simili si può fare ricorso a
quel comma. È sbagliato parlare di "Governo": il Governo al massimo
potrà emanare un decreto-legge, in casi estremi; il potere rimane infatti al
Parlamento. Non si doveva parlare di "Governo" ma di
"Stato". Comunque, a parte la questione terminologica, un surrogato
della tutela dell'interesse nazionale sta in questa ipotesi di intervento
sostitutivo, non per il mancato rispetto dei trattati internazionali o della
normativa comunitaria né per il pericolo per l'incolumità e la sicurezza
pubblica, bensì appunto per "la tutela dell'unità giuridica o dell'unità
economica "e in particolare" la tutela dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini
territoriali dei governi locali".
Probabilmente
si innesterà un'interpretazione per cui in alcuni casi, che sarebbero del tutto
atipici, del tutto anomali rispetto alla vita di uno Stato federale anche
contemporaneo, potrebbe realizzarsi un intervento combinato Governo-Parlamento,
in sede di conversione di decreto-legge o con l'iniziativa legislativa in sede
parlamentare, che facendo valere i criteri dell'unità giuridica o economica,
ponga rimedio alle anomalie più stridenti che potrebbero verificarsi.
Anche se
non c'è ordinamento federale, in questo testo, rimane la domanda: quale
federalismo? Il problema non è il federalismo, il problema storicamente è
quale federalismo. L'elaborazione successiva, gli sviluppi legislativi,
giurisprudenziali e della prassi potranno indicarci quale ipotesi federalistica
si può realizzare.
KOFLER
(Aut). Presidente Elia, da convinto autonomista ho seguito con molto
interesse e con grande soddisfazione la sua accurata esposizione. Lei ci ha
indicato, su richiesta del presidente Pastore, alcune urgenze che incombono sul
legislatore nazionale.
La mia
non è una domanda del tutto disinteressata, in quanto provengo da una regione a
statuto speciale. Vorrei chiederle se ha potuto intravedere qualche urgenza che
incombe sul legislatore regionale o addirittura su quello provinciale. Mi
riferisco soprattutto all'applicazione dell'articolo 10 della legge
costituzionale.
ELIA.
Per alcuni casi l'adeguamento viene ritenuto in re, già realizzato, nel
senso che tutte le materie in cui vi è previsto il potere legislativo esclusivo
delle regioni a statuto ordinario automaticamente scatterebbe il potere
legislativo esclusivo, quando mancasse, per le regioni a statuto speciale.
Più
delicato è il punto che riguarda le cosiddette competenze legislative primarie,
se queste in qualche modo toccano le competenze esclusive dello Stato, indicate
al comma 2. Secondo alcuni studiosi varrebbero i limiti dei princìpi generali
dell'ordinamento e delle grandi riforme economico-sociali, però questo
esigerebbe un esame analitico, statuto per statuto, per verificare se vi sono
situazioni di contrasto a proposito di competenze primarie. A mio avviso, sono
soprattutto le regioni a statuto speciale che dovranno assumersi questo compito.
I consigli regionali e provinciali dovranno esaminare più da vicino la portata
dell'articolo 10 e distinguere se il pareggiamento è, per così dire,
automatico o se invece esige ulteriori interventi. Credo che il Parlamento abbia
già abbastanza lavoro, per cui speriamo che le regioni a statuto speciale diano
un contributo.
GUERZONI
(DS-U). Signor Presidente, ringrazio il professor Elia per la sua
relazione, stimolante e approfondita.
Sono tre
le questioni che vorrei affrontare. In materia di controlli egli ci ha ricordato
che l'abrogazione non è esplicita e la discussione che si è aperta, citando la
tesi del professor Pastori, circa l'ipotesi di provvedere con legge ordinaria.
Ma già nella Costituzione erano previsti dei controlli: se il Costituente
avesse voluto trasferire alla legislazione ordinaria la potestà, avrebbe potuto
indicarlo! Si potrebbe diversamente ragionare se fossero mancate previsioni
specifiche sul punto.
Lei ci ha
elencato questioni meritevoli di attenzione urgente. Non crede che bisognerebbe
includere quella della finanza locale, con riferimento alla formazione e
all'ordinamento dei bilanci dei comuni? Ieri ho partecipato ad un seminario
piuttosto impegnativo su questo tema, con la partecipazione di diversi sindaci.
L'articolo 119 prevede che: "I Comuni, le Province, le Città metropolitane
e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate
propri, in armonia con la Costituzione e secondo i princìpi di coordinamento
della finanza pubblica e del sistema tributario". Tenuto conto che nella
precedente legislatura, con la riforma fiscale, questi princìpi sono stati
definiti, il coordinamento è stato stabilito. Per i Comuni si fa riferimento
agli statuti, ma gli statuti già esistono. Non ci troviamo di fronte a vuoti,
rispetto ai quali si può esercitare il potere di stabilire ed applicare tributi
propri.
Bisogna
riflettere sul fatto se anche la questione della finanza locale debba essere
affrontata con una certa urgenza. In caso contrario, potremmo incontrare dei
problemi. Ricordo che stiamo varando una finanziaria che per la finanza locale
va in tutt'altra direzione e che all'inizio del prossimo anno potrebbero
determinarsi divaricazioni anche consistenti.
L'ultima
questione riguarda il principio di "interesse nazionale". Credo che
sia una questione centrale, che la riforma riproporrà con molta forza. Lei,
giustamente e saggiamente, ha detto che il Parlamento dovrebbe assumersi le sue
responsabilità, perché è una questione essenzialmente politica; in proposito,
ha citato i livelli essenziali dei servizi. Partendo da due presupposti, la
riforma approvata e i decenni passati dalla data di entrata in vigore della
Costituzione, quale potrebbe essere il passaggio parlamentare adatto per la
soluzione della questione?
ELIA.
Senatore Guerzoni, per quel che riguarda i controlli, la questione è resa più
grave dal fatto che per gli atti del Governo e per quelli della pubblica
amministrazione rimane fermo l'articolo 100, che prevede il controllo preventivo
di legittimità della Corte dei conti. Qualcuno dice che si è determinato uno
squilibrio eccessivo tra l'assenza di controllo sugli atti degli enti locali ed
il controllo per gli atti dell'amministrazione dello Stato e del Governo.
Questo, secondo me, è il motivo che spinge alcuni autori a sostenere che si può
ammettere che siano caduti i controlli come erano previsti da norme di
attuazione di disposizioni costituzionali abrogate, però questo non dovrebbe
impedire al legislatore ordinario di stabilire altre forme di controllo. Non
solo il cosiddetto controllo di gestione ex post della Corte dei conti,
ma anche, in qualche caso più grave (penso ai bilanci), un controllo preventivo
di legittimità. Come ho detto prima, c'è bisogno di un chiarimento. Ci sono
resistenze; alcuni si erano adagiati sulle funzioni del CORECO e su quelle di
presidenza di questi organismi: ci sono delle reazioni, umanamente
comprensibili, perché qualcuno teme di perdere la propria occupazione; ma
questo è un dettaglio. Ciò che è importante è che l'incertezza andrebbe
perlomeno provvisoriamente risolta in vista di scadenze più immediate.
Passo ora
alla questione della finanza locale e dei bilanci. Oltre alle discipline
particolari previste per questi controlli, che alcuni vedono come non
immediatamente attuativi di norme costituzionali, credo si debba far riferimento
alla necessaria razionalizzazione della finanza locale. L'articolo 119 mette
sullo stesso piano Stato, regioni, comuni e province impropriamente. Essendo in
vigore l'articolo 23 della Costituzione, i comuni e le province non avendo
potestà legislativa, non possono intervenire con norme regolamentari in materia
tributaria, fissando aliquote, salvo quelle già consentite dalla legge (tipo
ICI). Bisogna forse ripensare sia a queste discipline sia a quelle del decreto
legislativo n. 56 del 2000, che prevede tempi molto lunghi (se non sbaglio, andrà
a regime tra tredici anni).
GUERZONI (DS-U). Per le regioni?
ELIA.
Sì. Andrebbero coordinati tempi e scadenze in modo da non incorrere, se non in
vere e proprie aporie, quanto meno in discordanze che dovrebbero essere
eliminate. Per quello che riguarda l'interesse nazionale, certamente si è tolto
un limite, nella cui interpretazione la Corte, esponendosi, era stata fatta
oggetto di molte critiche per una tendenza troppo centralista. Abbiamo vissuto
troppo tempo con lo scambio tra principio di unità e principio di
accentramento. Nel superamento di questa identificazione impropria, si è dovuto
superare anche il concetto di interesse nazionale (che si poneva come limite per
la legislazione concorrente, in base all'articolo 117), in questa
equiordinazione delle due potestà.
Ritengo
che un valore come la tutela del principio di unità dovrebbe valere sia per la
legislazione nazionale, sia per quella regionale, e quindi dar luogo ad una
giurisprudenza che fissi alcuni criteri unificanti per entrambe. Sarebbe meglio
se lo facesse il legislatore, altrimenti bisognerà che provveda la Corte
costituzionale.
PRESIDENTE. Professor Elia, sarei tentato di porle una domanda sulla Camera delle regioni, per questo esempio di democrazia mediata che viene immesso nel nostro ordinamento. Purtroppo stanno iniziando i lavori dell'Aula e quindi non abbiamo più tempo a nostra disposizione. Comunque, avremo modo di parlarne in altre occasioni.
ELIA. Certamente. C'è già una letteratura su questo argomento!
PRESIDENTE. La ringrazio per il suo contributo. Rinvio il seguito dell'indagine conoscitiva ad altra seduta.
I lavori terminano alle ore 17,30.