Presidenza del presidente PASTORE
I testi contenuti nel presente fascicolo - che anticipa ad uso interno l'edizione del Resoconto stenografico - non sono stati rivisti dagli oratori
PRESIDENTE
BASILE (FI)
BUTTIGLIONE, ministro per le politiche comunitarie
CICCANTI (CCD-CDU:BF)
GUBERT(CCD-CDU:BF)
N.B: Sigle dei Gruppi parlamentari: Alleanza Nazionale: AN; CCD-CDU:Biancofiore: CCD-CDU:BF; Forza Italia: FI; Lega Nord Padania: LNP; Democratici di Sinistra-l'Ulivo: DS-U; Margherita-DL-l'Ulivo: Mar-DL-U; Verdi-l'Ulivo: Verdi-U; Gruppo per le autonomie: Aut; Misto: Misto; Misto-Comunisti italiani: Misto-Com; Misto-Rifondazione Comunista: Misto-RC; Misto-Socialisti Democratici Italiani-SDI: Misto-SDI; Misto-Lega per l'autonomia lombarda: Misto-LAL; Misto-Libertà e giustizia per l'Ulivo: Misto-LGU; Misto-Movimento territorio lombardo: Misto-MTL; Misto-Nuovo PSI: Misto-NPSI; Misto-Partito repubblicano italiano: Misto-PRI; Misto-MSI-Fiamma Tricolore: Misto-MSI-Fiamma.
Interviene il ministro per le politiche comunitarie Buttiglione.
I lavori hanno inizio alle ore 14,50.
PROCEDURE INFORMATIVE
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'indagine conoscitiva sugli effetti nell'ordinamento delle revisioni del Titolo V della Parte II della Costituzione, sospesa nella seduta di mercoledì 30 gennaio.
E' in programma l'audizione del Ministro per le politiche comunitarie.
Ringrazio il ministro Buttiglione per la sua presenza e la sollecitudine con cui ha accolto il nostro invito. Le problematiche che affrontiamo riguardano temi "caldi". L'audizione in Commissione su tali materie naturalmente comporta un grande impegno anche perché concerne la prospettazione di soluzioni a problemi che sono -come abbiamo potuto constatare in questa stessa sede - piuttosto rilevanti e non semplici da affrontare.
Stiamo predisponendo un documento conclusivo sulle audizioni e un indice riguardante tutto il lavoro svolto in Commissione, comprendente tutta la documentazione acquisita e i resoconti stenografici, che penso sarà estremamente utile per cercare, non dico di risolvere, ma di affrontare con cognizione di causa i problemi che questa riforma comporta. Mi riferisco soprattutto a quella sull'impianto del cosiddetto "federalismo", non tanto alla prima, che pure fu oggetto di indagine conoscitiva, sull'elezione diretta dei Presidenti, ma all'ultima, entrata in vigore l'anno scorso. Nell'affrontare i problemi, la mancanza di norme transitorie spesso ci pone in difficoltà di carattere generale che sono sotto gli occhi di tutti, e soprattutto del Parlamento, che per ogni provvedimento deve farsi carico di studiare i meccanismi più idonei per attuare in via progressiva la riforma; riforma che coinvolge, ovviamente, anche il livello comunitario, con un forte richiamo all'ordinamento dell'Unione europea, che un po' ci farà scudo, per così dire, rispetto a certe forze centrifughe che pure il federalismo determina e incoraggia, che sono anche positive ma che potrebbero comunque determinare nell'ambito dell'ordinamento generale delle fratture, dei momenti di crisi, che nessuno di noi si augura possano avvenire.
BUTTIGLIONE, ministro per le politiche comunitarie. Signor Presidente, il numero non elevatissimo dei partecipanti a questa riunione di Commissione invita ad essere forse un poco più distesi e familiari nell'esposizione.
Negli ultimi anni ha avuto grande notorietà un filosofo, Ilia Prigogine che si è occupato del tema del disordine e del caos. Si potrebbe dire che tutto quello che ha detto Prigogine è precontenuto in un antico scritto del Bergson, sulla materia e la memoria, dove il Bergson dice che il concetto di ordine è relativo, nel senso che non esiste il disordine allo stato puro: ogni disordine è un ordine che noi ancora non comprendiamo, è un ordine in formazione. Questo ci conforta in una fase in cui la struttura ordinamentale della Repubblica non è propriamente limpidissima e assolutamente coerente. Siamo in una fase di transizione, c'è un vecchio ordine che è in crisi, c'è un nuovo ordine che si va delineando e noi dobbiamo procedere costruendo un ponte fra due mondi.
Non resisto alla tentazione di un'altra citazione: un grande filosofo del diritto, Adolf Reinach, ci ha parlato della teoria fenomenologica pura dei fenomeni giuridici e politici. Esiste una essenza dello Stato federale che, come per altri fenomeni giuridici e politici, subisce sempre una deviazione sistemica tutte le volte che si cala nella storia ed è cedevole rispetto alle esigenze, ai problemi, alle domande che emergono dal contesto storico concreto. Perde perciò ogni validità? Tutt'altro, è il punto di riferimento attraverso il quale noi interpretiamo il materiale empirico che si offre alla nostra osservazione per tentare di colmare le lacune della realtà in riferimento a un modello ideale.
Dico questo perché stiamo trattando esattamente della transizione da un tipo di ordine a un altro tipo di ordine e dobbiamo cercare di colmare, qualche volta anche in modo un po' frettoloso, le lacune che si determinano, in modo da facilitare questa transizione, avendo in mente i princìpi di coerenza interna di un ordinamento che inevitabilmente ci guidano in questo processo.
La revisione del Titolo V della Costituzione ci dà un ordinamento giuridico fortemente ed essenzialmente diverso da quello precedente. Nell'ordinamento precedente, nonostante la natura antifascistata della Costituzione italiana, che nasce dopo la lotta contro il fascismo, avevamo ancora un'idea fondamentalmente gentiliana: tutto è nello Stato, ci sono le regioni, le provincie, i comuni e le comunità montane; lo Stato è il concetto giuridico che tutto comprende, tanto che Stato e ordinamento giuridico sono parole che si possono usare come sinonimi. Dopo la riforma del Titolo V della Costituzione così non è: la Repubblica vede un insieme di ordinamenti raccordati fra di loro, ognuno dei quali però pretende una sua qualche propria originarietà, che gli viene riconosciuta, nessuno dei quali è di per sé strutturalmente superiore all'altro; anche se, ovviamente, in forza delle sue attribuzioni, ciascuno di essi ha una specifica relazione con gli altri, che può anche essere una relazione di sovra e di sottordinazione, ma in senso funzionale e non più essenziale. Questo, peraltro, risponde a una direzione della scienza giuridica che precede la nostra riforma del Titolo V: il concetto originario di sovranità, così come è stato teorizzato da Jean Bodin e poi formulato in modo classico da Karl Schmidt, sovranità come competenza ultima delle competenze, è entrato in crisi prima e a un livello ancora più alto nell'ordinamento europeo. Voi sentite tutte le discussioni che vi sono sul super Stato europeo.
L'Europa che andiamo a costruire è uno Stato? È difficile dirlo, certamente non ricade dentro l'antico concetto di Stato, perché è per eccellenza un ordinamento che pretende una superiorità in un ambito, ma rinuncia a considerarsi superiore in tutti gli ambiti: se è uno Stato, non lo è nel senso gentiliano, è piuttosto una comunità di comunità. La riforma del Titolo V introduce lo stesso principio nell'ordinamento interno italiano: anche la Repubblica è una comunità di comunità. Questo è il dato di partenza che ci dà la forma di riferimento alla luce della quale poi tentiamo di muoverci nel mare enorme dei problemi con i quali dobbiamo fare i conti.
Quando entriamo in quest'ottica, è evidente che anche il problema della trasposizione della legislazione comunitaria nell'ordinamento interno italiano si pone in termini affatto nuovi e diversi, proprio per l'autocoscienza, l'autodefinizione che lo Stato italiano dà di sé stesso; non si pone in termini diversi a livello dell'ordinamento europeo, nel quale correttamente il rapporto fondamentale - non so se questo sarà cambiato nella Convenzione, ne parleremo con il collega Basile se valga la pena di cambiarlo o no - è quello tra Unione e Stati. Ciò che avviene all’interno degli Stati non è cosa di cui l’Unione debba occuparsi, ma essendosi lo Stato italiano ridefinito “federale”, esso riconosce una specifica competenza delle regioni nel rapporto con l’Unione, che va al di là di quel riferimento alle regioni che pure è contenuto nella normativa europea e che si esplicita in una serie di attribuzioni le quali però non hanno la capacità di forzare l’esclusività del rapporto regione-Stato.
L’autodefinizione e l’autocoscienza che oggi lo Stato italiano ha di se stesso, invece, ci impone di rivedere il rapporto Unione-regioni, come avviene in altri Stati federali. La Repubblica federale tedesca ci offre, da questo punto di vista, un modello.
Quindi, il nuovo Titolo V ci dà due riferimenti: per un verso viene riconosciuto alla normativa europea un immediato effetto nell’ordinamento italiano e la sua superiorità rispetto ad altre fonti normative. Era già così, ma non era mai stato scritto con questa forza e con questa precisione. D'altro canto, le regioni hanno una dimensione comunitaria. Le nuove attività regionali, quelle di competenza esclusiva, ma anche quelle di competenza concorrente, hanno una dimensione comunitaria ed è esplicitamente prevista la necessità che una legge dello Stato disciplini le norme di procedura e le modalità di esercizio del potere sostitutivo dello Stato in caso di inadempienza. Quindi, si può parlare di competenza diretta delle regioni nelle materie sia esclusive che concorrenti, e della necessità di una legge dello Stato. Quest’ultima è necessaria per il motivo che ho già richiamato: davanti all'Unione esiste ed è responsabile lo Stato; in caso di inadempienza non sono i contribuenti della singola regione, ma i contribuenti di tutto lo Stato ad essere responsabili ed è comunque lo Stato responsabile. Di conseguenza, esso mantiene la funzione di garantire complessivamente la conformità dell'ordinamento italiano con quello europeo per cui deve disporre degli strumenti che gli consentano di farlo. Questo, tra l'altro, corrisponde strettamente a quel principio di sussidiarietà che è diventato un principio fondante dell'ordinamento costituzionale europeo. Il principio di sussidiarietà in genere è citato più o meno così: ogni comunità di ordine superiore deve evitare di intromettersi nelle vicende di una comunità di ordine inferiore e deve riconoscerne la competenza originaria. Ma nella formulazione completa esso aggiunge: salvo che questo non sia necessario per sostenere la comunità che si trova nell'impossibilità o nell’ incapacità di adempiere alle funzioni che le sono proprie (la parola sussidiarietà deriva, infatti, dal termine latino subsidium, sostegno). Quindi, da questo principio deriva un divieto di interferenza, ma anche un dovere di intervento ove se ne verifichi la necessità. L'inadempienza regionale è un caso tipico in cui questa necessità di intervento si manifesta e, alla luce del principio di sussidiarietà, noi sviluppiamo il nostro processo normativo con il quale adeguiamo la nostra legislazione al nuovo principio costituzionale. Principio di sussidiarietà che vale verso l'Unione europea e, per esplicita scelta del legislatore italiano, vale anche nell'ordinamento interno.
Per ottemperare a queste necessità, secondo questa filosofia, il Governo ha predisposto una bozza di disegno di legge che reca disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. In particolare, la materia della partecipazione delle regioni in ambito comunitario trova disciplina nell’articolo 3 di questo disegno di legge, che prevede un intervento di novella alla legge La Pergola attraverso la riscrittura degli attuali articoli 1-bis e 9, che disciplinano la partecipazione da parte delle regioni e del Parlamento alla fase ascendente delle decisioni comunitarie e le competenze delle regioni e delle provincie autonome nella cosiddetta fase discendente.
Per quello che riguarda la fase ascendente, è stabilito un obbligo di trasmissione di tutti gli atti normativi e di indirizzo degli organi dell'Unione e della Comunità: Unione e Comunità – come è noto - non sono esattamente la stessa cosa. Infatti, l'Unione abbraccia gli ambiti ulteriori aggiunti dai trattati di Maastricht e Amsterdam, mentre la Comunità riflette le strutture più consolidate di quella che è stata la Comunità economica europea. Questi atti vanno trasmessi, contestualmente alla loro ricezione, al Parlamento, ma anche alle regioni e alle provincie autonome. Oltre a questo, vanno trasmessi anche gli altri documenti di consultazione.
Aggiungo che la XIV Commissione della Camera ha approvato un documento con il quale chiede che questi atti siano accompagnati da relazione tecniche, cosa che materialmente è impossibile per ogni atto, ma che è estremamente utile e necessaria per i grandi atti di indirizzo da cui discende la filiera degli atti normativi. Stiamo lavorando sia con la Camera che con il Senato offrendo delle relazioni tecniche e dei momenti di lavoro comune sui Libri bianchi, che sono la matrice da cui dipendono le direttive, ed offrendo di continuare questo lavoro non su tutti gli atti normativi bensì su quelli che hanno un particolare rilievo a scelta della Commissione stessa. In tal modo, la Commissione può dare un effettivo indirizzo all'attività negoziale con la quale il Governo italiano contribuisce alla formazione delle norme europee.
Inoltre, sono state disciplinate le modalità con le quali regioni e province autonome possono concorrere alla formazione della posizione italiana da sostenere in sede di Unione europea nelle materie di loro competenza, nell'ambito del complessivo sistema di coordinamento di tutti i soggetti interessati, che è di competenza del dipartimento delle politiche comunitarie, a norma nell'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo n. 303, del 1999. Questo implica molte cose. L'obbligo di informazione è la condizione per poi potersi presentare e ricevere un indirizzo. Un Governo che va al tavolo negoziale avendo un indirizzo del Parlamento è più forte di un Governo che ci va senza averlo. Questo aiuta il popolo italiano a sentire che la sovranità non è perduta, ma è esercitata in modo molto più efficace, perché è condivisa nei livelli europei.
Vi è, inoltre, la questione della partecipazione, con modalità da concordare, anche di rappresentanti delle regioni e delle province autonome direttamente al tavolo negoziale, quando ciò appaia opportuno per la natura delle materie che vengono trattate. Questo avviene già in altre paesi. In Belgio può addirittura capitare che il capo della delegazione sia un Ministro regionale. E’ noto infatti che in quel Paese si è realizzata una devolution estremamente radicale. In altri Paesi ciò non avviene, ma può verificarsi che il rappresentante di un Land tedesco sia nella delegazione e prenda la parola quando siano discussi argomenti che toccano materie, dal punto di vista tedesco, di competenza esclusiva del Land, o meglio del Bundesrat (perché esiste anche la Camera delle regioni, che noi ancora non abbiamo). Dovremo, quindi concordare questi aspetti con la Conferenza Stato-regioni.
Mi permetto di segnalare che all’interno di questo complesso processo costituzionale vi è la difficoltà di definire lo status della Conferenza Stato-regioni: non è più quella di prima, ma non si è ancora capito esattamente cosa sia, non si è capito se ci stiamo avviando verso un sistema con una terza Camera o se il Senato debba essere riformato in modo da diventare Camera delle regioni. Si tratta di un problema ancora aperto e bisognoso di ulteriore riflessione; qualora non venisse risolto, rischieremmo di avere troppo o troppo poco: una Conferenza Stato-regioni che non è all'altezza delle nuove competenze e delle nuove funzioni attribuite alle regioni con il nuovo ordinamento o una Conferenza Stato-regioni che, come qualche volta è accaduto, diventa una terza Camera, più potente delle altre perché quello che si decide al suo interno è inemendabile da parte delle altre Camere e non può essere sottoposto a sindacato parlamentare. Ambedue le soluzioni sembrano sbagliate, per eccesso o per difetto.
Nella fase ascendente, quindi, contiamo di lavorare trasmettendo gli atti, sollecitando o comunque ricevendo atti d'indirizzo delle Commissioni parlamentari e della Conferenza Stato‑regioni, su specifici temi che toccano le grandi linee della legislazione europea, e prevedendo anche la partecipazione diretta, che ha un indubbio valore simbolico, delle regioni al tavolo delle trattative, con modalità ancora non definite e da concordare.
Per quanto riguarda invece la fase discendente, cioè, non la partecipazione alla formulazione degli atti normativi europei ma la loro trasposizione nell'ordinamento italiano, si è ribadito il principio per cui le regioni possono dare attuazione immediata alle direttive comunitarie nelle materie di loro competenza - non solo esclusiva, ma anche concorrente, ovviamente nell'ambito in cui tale competenza concorrente esiste - e si è precisato che la legge comunitaria annuale, che continuerà ad esistere, nelle materie di legislazione concorrente indicherà i princìpi fondamentali nel rispetto dei quali le regioni e le provincie autonome eserciteranno la loro competenza legislativa. Evidentemente, trattandosi di competenza concorrente, è necessaria una legge cornice, la quale poi permette anche di raccordare le modalità di esercizio delle competenze nei diversi ambiti regionali.
La parte più delicata riguarda di nuovo le modalità di esercizio del potere sostitutivo dello Stato in caso di inadempienza da parte di regioni e provincie autonome. Come abbiamo agito? Ci troviamo in una situazione complessa: dobbiamo prevedere la possibilità di un’inadempienza prima che tale inadempienza si sia verificata, perché se iniziamo a muoverci dopo che l'inadempienza si è verificata il danno è stato già realizzato; non possiamo chiudere la stalla quando i buoi sono scappati.
E allora, che cosa abbiamo pensato di fare? Lo Stato dà vita a norme sostitutive, le quali però entrano in vigore solo alla scadenza del termine assegnato dalla direttiva. L'Italia è obbligata ad agire entro il 31 dicembre 2003? Bene: noi all'inizio dell'anno, magari con la legge comunitaria dell'anno precedente che si è trascinata nell'anno successivo, emaniamo una norma la quale entrerà in vigore il 31 dicembre solo nel caso in cui le regioni non abbiano provveduto ad esercitare tempestivamente la loro competenza. Se la esercitano, questa norma rimane nel cassetto e nelle regioni entra in vigore la norma emessa dalla regione.
Non si tratta quindi di una sostituzione in senso proprio, ma della predisposizione di una sostituzione possibile, che scatta soltanto in caso di inadempienza e nel momento in cui avviene l'inadempienza. In questo senso, l'azione è sostitutiva perché produce effetto solo dopo il concretizzarsi del non adempimento, anche se è approvata prima di tale data.
Questo significa che in caso di non adempimento noi priviamo la regione della competenza che le è propria? Niente affatto. Se la regione esercita successivamente le proprie competenze, la norma della regione entra in vigore e prende il posto della norma statuale; le competenze delle regioni sono pienamente rispettate. Semmai, dobbiamo rivolgere un invito alle regioni ad evitare che questo accada, perché certamente non è utile ai cittadini avere una norma che entra in vigore per alcuni mesi e poi è subito sostituita. Ci aspettiamo quindi da parte delle regioni un esercizio tempestivo delle loro competenze.
La possibilità di questo intervento suppletivo anticipato e cedevole corrisponde ad un modello ideale, il principio di sussidiarietà, in quella sua seconda parte che implica un diritto ed un dovere di intervenire per supplire in caso di incapacità della comunità di ordine inferiore a svolgere le relative funzioni o a sostegno di queste ultime, ma corrisponde anche al diritto vigente, in modo particolare all'articolo 9 della legge n.86 del 1989, oltre che all'articolo 2 della legge comunitaria per il 2002, che il Senato ha già approvato. Questo articolo, come ricorderete, è stato concordato sulla base di incontri con le Commissioni della Camera e con questa Commissione del Senato.
Quindi, abbiamo anticipato in questo modo la linea che è poi contenuta nel disegno di legge di attuazione del Titolo V che ho sopra richiamato; per la verità l'avevamo già anticipata in occasione di alcuni provvedimenti precedenti e abbiamo avuto la soddisfazione di vedere che questa soluzione è stata poi adottata anche da altre amministrazioni ed è entrata nel progetto di legge.
Il tema dell'intervento suppletivo anticipato e cedevole merita un approfondimento particolare anche in attesa dell'approvazione del disegno di legge di attuazione del nuovo Titolo V della Costituzione, di cui prima abbiamo detto. Il Governo, in modo particolare il Dipartimento per le politiche comunitarie, ha dovuto affrontare, dopo l'entrata in vigore della riforma, il problema specifico dell'ammissibilità e dei limiti dell'utilizzo dello strumento regolamentare ai fini dell'adempimento degli obblighi comunitari, anche alla luce del nuovo riparto di competenze tra Stato e regioni, che dipende dal nuovo articolo 117 della Costituzione. Si tratta del recepimento regolamentare di direttive non tempestivamente trasposte da parte delle regioni che avevano la possibilità già di farlo sulla base dell'articolo 9 della legge n. 86 del 1989. Anche qui, la base dell'azione è sempre quel principio fondamentale di sussidiarietà sopra richiamato, formulato da Pio XI nell'enciclica “Quadragesimo anno”, ma inserito da Maastricht nella struttura costituzionale dell'Unione europea e ripreso dall'articolo 117, comma 5, quando alla previsione della competenza regionale nell'attuazione degli atti comunitari fa seguito il richiamo al potere sostitutivo dello Stato. Si tratta di qualcosa di diverso dall'analogo potere dello Stato previsto dall'articolo 120 della Costituzione, perché non abbiamo a che fare con un intervento che rimedia ad una violazione, ma con un intervento che rimedia ad un’inerzia; tra l'altro, questo vale anche per quanto abbiamo detto precedentemente. Se ci fondassimo sull'articolo 120, sarebbe giusta l'obiezione: voi non potete provvedere in anticipo per un’ipotesi che suppone che prima sia stata commessa una violazione. Qui si prevede, invece, la possibilità di un'inerzia, non di una violazione. Mentre l'intervento sulla violazione presuppone la violazione, anche perché deve essere calibrato sulla natura della medesima, l'intervento in caso di inerzia può avere, e nel nostro caso ha, un carattere generale ed astratto. La previsione del potere sostitutivo dello Stato trova fondamento nella circostanza che l'Unione europea costituisce un'Unione di Stati e lo Stato quindi è interlocutore diretto dell'Unione; lo abbiamo già richiamato precedentemente, quindi non mi diffondo sul concetto.
Ne deriva la conseguenza che lo Stato, che deve rispondere, deve avere anche gli strumenti per farlo, o meglio deve potersi mettere nelle condizioni di non essere chiamato a risponderne; non può ritrovarsi impotente davanti a violazioni di norme comunitarie determinate da comportamenti attivi o anche semplicemente da omissioni di soggetti che hanno autonomia costituzionale.
Possiamo citare le sentenze nn. 425 del 1999 e 126 del 1996; quest'ultima tocca l'esercizio di competenze esclusive, non concorrenti, da parte delle province autonome di Trento e Bolzano: "Gli strumenti consistono non in avocazioni di competenze a favore dello Stato" - quello che noi ci siamo assolutamente preoccupati di escludere - "ma in interventi repressivi o sostitutivi e suppletivi" - questi ultimi anche in via preventiva (quelli che abbiamo previsto noi), ma cedevoli di fronteall'attivazione dei poteri regionali e provinciali normalmente competenti - "rispetto a violazioni e carenze nell'attuazione e nell'esecuzione di norme comunitarie da parte delle Regioni e delle Province Autonome".
Tanto detto, in assenza di prescrizione di segno limitativo nelle maglie dell'articolo 117, quinto comma, della Costituzione, non è dubitabile che lo Stato possa esplicare il potere sostitutivo con lo strumento regolamentare, ove si tratti di materia non soggetta a riserva di legge. È estranea a questa fattispecie la ripartizione delle competenze regolamentari disegnata dal sesto comma dell'articolo 117, la quale delinea il normale riparto delle competenze e non invece le forme del potere sostitutivo, che difficilmente possono essere determinate in modo puramente astratto e comunque certo non a livello costituzionale. Sono due cose totalmente diverse: una è il normale riparto delle competenze, per cui in condizioni normali esiste una precisa distinzione; lo stato di necessità che deriva dall'inadempienza attiva invece un differente meccanismo. Nel riparto fisiologico delle competenze è naturale che allo Stato competa l'uso del solo strumento legislativo nelle materie non di sua competenza esclusiva, se solo si considera che la fissazione di princìpi fondamentali o di norme fondamentali di riforma a tutela dell'unità dell'ordinamento non può avvenire con lo strumento regolamentare, ma necessita dell'imprimatur legislativo. La legge, diceva il Ferrara (il grande giurista del secolo passato), è una norma generale e astratta. In questo caso è quindi ovvio che, dovendo delineare una cornice che deve essere generale e astratta, lo strumento adeguato è quello legislativo.
L'esercizio del potere sostitutivo implica, per converso, la fissazione di norme complete e di dettaglio, che siano allo stesso livello di dettaglio dello strumento regolamentare che la regione avrebbe potuto o dovuto usare e che invece non ha usato. Non possiamo fare una legge per fare un provvedimento puntuale e concreto. Colgo un lieve sorriso sul volto di qualche senatore, che forse pensa a qualche caso in cui il Parlamento in realtà ha fatto provvedimenti amministrativi travestiti da disposizioni legislative, ma questa può essere una lamentevole eccezione, non la regola. Dovendo intervenire per sostituire il mancato esercizio di un potere regolamentare è ovvio, logicamente e anche giuridicamente, che lo strumento adeguato sia quello regolamentare. L'uso dello strumento sostitutivo postula in definitiva la fisiologica possibilità di coincidenza della tipologia dello strumento prescelto dal soggetto sostituente rispetto a quello praticabile dall'ente sostituito. Se si tratta di sparare ad un passero, si usa un calibro 32 perché, se si usa il calibro 12, si "sfracella" il passero.
Questi regolamenti, in base alle considerazioni sopra esposte, entrano in vigore solo dopo la scadenza del termine assegnato per il recepimento alle regioni e cedono integralmente il passo al momento dell'intervento regionale rispettoso dei principi fondamentali eventualmente sanciti non dal regolamento, ma dalla legge comunitaria o, comunque, da altre disposizioni di legge.
A questo orientamento ha aderito anche la Conferenza Stato-regioni in occasione della pronuncia di alcuni pareri su testi governativi che adottavano la soluzione sopra prospettata, resi nella seduta del 31 gennaio dell'anno corrente. Giova peraltro rammentare che questa azione sostitutiva non implica rischi di ingerenza statale in margini di discrezionalità regionale. Abbiamo princìpi vincolanti di livello europeo, norme di principio nazionali ed infine l'uso dello strumento regolamentare della regione; e vale comunque il principio di cedevolezza: quando la regione correttamente utilizza le sue facoltà, la norma posta provvisoriamente dallo Stato viene a decadere.
Quanto al problema della copertura legislativa di questo fenomeno, si reputa che, ferma l'esplicitazione del meccanismo finora descritto nella legge di attuazione del Titolo V e nelle leggi comunitarie 2001 e 2002 - quest'ultima in corso di predisposizione - la disciplina di riferimento può essere già tratta dal dettato dell'attuale articolo 9 della legge "La Pergola", da interpretarsi in conformità con il nuovo assetto costituzionale e già considerata dai rammentati decisa della Consulta idonea a fondare l'esercizio di un potere sostitutivo in ordine a materie di competenza esclusiva di regioni a statuto speciale e di province autonome.
È bene infine osservare che una diversa impostazione contrasterebbe con il dato positivo già richiamato ed avrebbe effetti assai cattivi sul piano del corretto assolvimento degli obblighi comunitari, perché è evidente che la necessità di un ricorso sistematico allo strumento legislativo comporterebbe una massiccia rilegificazione di aree che per loro natura non sono da legificare.Tutti parliamo della necessità di delegificare: qui ci troveremmo a rilegificare in un ambito di estensione oltretutto imprevedibile, che giustamente oggi è sottoposto a disciplina regolamentare.
Bisogna anche dire che, se scegliessimo quel cammino, ci troveremmo in gravissima difficoltà anche da un punto di vista pratico. In molti casi abbiamo procedure di infrazione a cui ovviare con tempestività; se non possiamo fare i regolamenti e dobbiamo fare le leggi, ingolfiamo il Parlamento, ma abbiamo anche buone probabilità di non arrivare in tempo e quindi di esporre il cittadino italiano alle sanzioni comunitarie, cioè di venir meno alla finalità di base per la quale abbiamo fatto tutto questo lavoro e stiamo costruendo questo ordinamento.
Il disordine sotto il cielo è grande, però mi pare che lo sforzo che abbiamo fatto per razionalizzare questo disordine e indirizzato alla costruzione di un nuovo ordine normativo federale sia apprezzabile e coronato anche da un qualche successo.
PRESIDENTE. Ringrazio il ministro Buttiglione, anche perché ha dato uno spaccato estremamente significativo di come si possa passare veramente da una fase normativa di estrema complessità, e che ci può spaventare sotto il profilo del disordine, ad una qualche forma di razionalizzazione, che consenta di convivere con norme spesso insufficienti o contraddittorie. Lo ringrazio soprattutto per l'introduzione di filosofia del diritto, che riconcilia i commissari presenti e me personalmente con questa fase di disordine. Parliamo sempre di leggi di riassetto, di riordino, di codificazione, ma poi ci troviamo di fronte improvvisamente a una situazione tutta da affrontare e dobbiamo veramente dar atto al Governo di avere, insieme al Parlamento, cominciato ad affrontarla con estrema sensibilità, ma anche con estrema coerenza e intelligenza.
Mi fa anche piacere che questa soluzione normativa della "questione comunitaria" sia stata dibattuta e in qualche modo risolta dall'intervento in Commissione, perché mi sembra che la posizione definitiva, almeno secondo questo progetto di disegno di legge di attuazione della novella costituzionale, sia quella indicata in questa Commissione. Mi auguro che la Camera – ma credo non ci sia pericolo – segua, salvo possibili miglioramenti, questa strada maestra. Soprattutto in materia comunitaria, rischieremmo di incrinare la solidarietà anche politica dell'Italia con gli altri partner, se ci trovassimo impelagati in questioni istituzionali e costituzionali non risolvibili.
Mi fa piacere anche la puntualità e la precisione dei riferimenti alle problematiche che abbiamo affrontato in queste audizioni e che si collegano strettamente con quelle in materia regolamentare di cui si è occupato, in particolare, il ministro Frattini, preso anche lui nella morsa tra necessità di ordine e accettazione, almeno in una fase transitoria, di disordine.
Credo che la normativa comunitaria abbia una strada privilegiata in Costituzione - di questo i novellatori non si sono dimenticati, per fortuna - che ci consente di andare avanti. Credo che anche l'atteggiamento responsabile, estremamente cauto, delle regioni dimostri la piena consapevolezza di questo passaggio, che non è facile dal punto di vista dell'elaborazione concettuale della traduzione dei nuovi concetti in formule normative.
GUBERT (CCD-CDU:BF). Si distingue tra norma sostitutiva in caso di inattività e contenzioso sull'interpretazione corretta dell'attuazione di norme comunitarie da parte delle regioni. Nell'ipotesi di un'attuazione parziale da parte della regione (ad esempio, la regione disciplina la caccia, la produzione dei formaggi eccetera, lasciando ampi varchi) formalmente la norma esiste, quindi si dovrebbe applicare l'articolo che innesca il contenzioso. Se però si interpreta come carenza di attuazione, si apre un conflitto piuttosto consistente tra centro e periferia, per il mancato rispetto dell'autonomia regionale. Secondo me, andrebbe chiarito chi stabilisce che si tratta di parziale attuazione ai fini dell'applicazione della norma cedevole o dell'altra procedura.
PRESIDENTE. Un problema analogo, che pone le stesse questioni, è quello di un inesatto adempimento degli obblighi comunitari, cioè un regolamento che contraddica le norme di legge o della direttiva comunitaria.
BASILE (FI). Signor Presidente, mi unisco ai suoi ringraziamenti al Ministro, anche per la dotta introduzione che ha fatto.
Credo che il Ministro abbia centrato i problemi principali che dobbiamo affrontare, traendo spunto dalla riforma costituzionale che interessa le regioni in un quadro molto più ampio, essendo stata riconosciuta una loro dimensione comunitaria che prima non esisteva in pieno.
Il Ministro ha tracciato un quadro del potere sostitutivo. Credo sia abbastanza comprensibile cosa intende allorché parla di intervento suppletivo anticipato e cedevole. E' molto importante, fa capire molte cose, definisce anche il tipo di intervento dello Stato, che riguarda un'inerzia, non una violazione da parte delle regioni, il che non è chiaro per tutti, come abbiamo visto nel corso delle audizioni.
Credo sia importante anche quanto il Ministro ha detto sul principio di sussidiarietà, sancito a livello di Unione europea dal Trattato di Maastricht (in questi giorni è stato festeggiato il decennale). Per lo Stato vi è il divieto di interferire nelle competenze delle regioni, ma c'è anche il dovere di intervenire allorché le regioni, per un qualsiasi motivo, non lo fanno, salva la possibilità di attivarsi successivamente.
Molto interessante quanto ha detto riguardo alla fase ascendente. Sono contento che sia pronto questo disegno di legge del Governo sulla riforma tanto attesa della legge "La Pergola": dopo oltre 10 anni c'era bisogno di rivedere il meccanismo che disciplina il recepimento delle direttive europee. Quanto alla fase ascendente, è importante quanto ha detto a proposito dell'obbligo di informazione, presupposto essenziale e necessario per poter sedere ai tavoli e dare un contributo qualificato. La partecipazione delle regioni e delle provincie autonome - a seconda delle competenze nelle diverse materie - è molto importante, così come quella della Conferenza Stato-regioni.
Inoltre, credo sia importante ricercare strumenti di facile applicazione; tutta la questione dell'uso dello strumento regolamentare credo sia di estremo interesse e forse merita un apposito incontro. Sicuramente, è stato precisato, non bisogna correre il rischio di ingerenze statali non gradite.
Credo che molti di questi problemi possano essere affrontati in un contesto più generale, più ampio, all'interno nella Convenzione europea: per esempio, la partecipazione, il ruolo e le competenze dei Parlamenti nazionali nel processo comunitario.
Infine, credo che uno degli obiettivi prioritari, nell'ambito del nuovo ordine normativo federale che si va costruendo, debba essere quello di evitare o di ridurre le sanzioni comunitarie per inadempienze. L'osservatorio che il Ministero sta predisponendo e che sarà inaugurato tra qualche giorno è molto importante e servirà anche da coordinamento per tante iniziative comunitarie da attuare in Italia.
CICCANTI (CCD-CDU:BF). Signor Presidente, credo che il gruppo di lavoro che si è costituito presso la Conferenza Stato-regioni sull'adeguamento della legislazione al nuovo Titolo V aiuterà molto a completare alcuni aspetti che qui sono stati accennati per quanto riguarda le politiche comunitarie e il diritto comunitario. Su questa materia specifica credo che politicamente tutta la partita si giochi sul rafforzamento della fase ascendente. Attualmente il sistema è squilibrato a favore di un intervento ex post e, come il ministro Buttiglione ricordava, si sviluppa sul tavolo europeo senza quel processo democratico indispensabile per raccordare i vari soggetti istituzionali, soprattutto adesso che la platea si è ampliata con una titolarità più nitida, più specifica delle regioni.
Non so, signor Ministro, se sia il caso, in questa fase ascendente, di rafforzare quel metodo già affermato nelle politiche sociali europee del coordinamento aperto: in altre parole, sostenere la partecipazione soprattutto delle regioni, ma anche di altri soggetti istituzionali di tipo sociale, per poi avere una ricaduta, già delineata nella relazione, che ha però carattere di mero diritto interno, di rapporto tra diritto interno e quello degli enti locali. Mi chiedo se questa possa essere una formula per risolvere alcuni aspetti.
BUTTIGLIONE, ministro per le politiche comunitarie. Condivido interamente le osservazioni svolte dal senatore Basile, in merito alle quali non esprimo alcun commento, anche perché non mi sembra siano state poste domande specifiche.
Sono convinto, senatore Ciccanti, che il metodo del coordinamento aperto sia la soluzione di molti problemi, anche se non di tutti. Si tratta comunque di una mentalità da assimilare, che contribuisce potentemente ad avvicinare le istituzioni ai cittadini o quantomeno tra loro stesse, accordandole tra loro, oltre che ai punti vitali ai quali le istituzioni devono fare riferimento.
E vengo ai problemi sollevati dal senatore Gubert: cosa accade se la norma è incompleta? Ritengo che, per la parte in cui essa è incompleta, entri in funzione la normativa predisposta in via preliminare dallo Stato. Ciò darà luogo a non pochi problemi interpretativi, ma è l'unica soluzione logicamente coerente che si può proporre. Certo, è necessaria la cooperazione delle regioni perché una normativa derivante dall'integrazione di due normative, ognuna delle quali probabilmente pensata, almeno in parte, con intenzioni diverse, può portare a risultati paradossali. Ma questa è la regola centrale della teoria dell'interpretazione e non vedo in che altro modo si possa procedere. Lo sforzo di costruire dal disordine l'ordine passa dal legislatore all'interprete.
Per rispondere a cosa accade in caso di inesatto adempimento di obblighi comunitari, prima di tutto dobbiamo domandarci chi rileva l'inesatto adempimento. Mi sembra che, alla luce della struttura che ci siamo dati, non lo rilevi lo Stato bensì la Commissione europea, che apre procedura di infrazione verso di esso. Quando la procedura di infrazione viene aperta, lo Stato si consulta con la regione e decide di sostenere le ragioni di quest'ultima oppure, ritenendo che esse siano indifendibili, di procedere ad un intervento sostitutivo. Su che base? In questo caso vi è un problema che, a mio avviso, è stato assai utile segnalare. Forse sarà necessario un aggiustamento normativo perché sulla base della normativa esistente mi sembra difficile sfuggire alla tesi per cui si procede sulla base dell'articolo 120 della Costituzione piuttosto che sulla base dell'articolo 117. Ora, va benissimo procedere sulla base dell'articolo 120, salvo il caso in cui il problema emerga a livello regolamentare. Se, infatti, ciò dovesse avvenire, è difficile, sulla base dell'articolo 120, rispondere con uno strumento adeguato. Saremmo obbligati a sparare al passero con il calibro 12, per così dire, con il rischio di non prenderlo o di disintegrarlo, di non stare nei tempi, e così via. Nel nostro caso il problema di stare nei tempi si pone perché saremmo in presenza di una procedura di infrazione già iniziata. Credo si debba segnalare il problema per determinare le condizioni che ci consentano, anche sulla base del citato articolo 120, di intervenire con procedura regolamentare quando ne esistano, ovviamente, gli estremi. In tal modo, in piena coerenza con il dettato costituzionale, potremmo disporre di strumenti adeguati alla natura della sfida davanti alla quale ci troviamo. Confesso di non avere neanche io le idee molto chiare su questo, ma sono sicuro che il mio prezioso ufficio legislativo sta già elaborando le modalità correttive adeguate per far fronte a tale problema che, in questo momento, è solo un caso di scuola, ma che in futuro potrebbe essere reale.
PRESIDENTE. La ringrazio, signor Ministro. Il cammino verso l'ordine è faticoso e spero che di questo tutti si rendano conto. Ritengo che sia il Governo che il Parlamento si stiano impegnando seriamente per l'attuazione del nuovo articolo 117 della Costituzione. Il dato politico importante, a mio avviso, è proprio questo: nessuno sta dormendo sugli allori. Tutti noi siamo consapevoli delle grandi responsabilità che abbiamo e della necessità di creare un nuovo sistema, ed è in questa direzione che ci stiamo impegnando. Mi auguro quindi che la nostra consapevolezza sia condivisa anche da altri livelli di Governo, magari impazienti, che però devono comprendere che occorre procedere con una certa gradualità nell'assunzione di responsabilità. Siamo in presenza di un passaggio difficile in assenza di norme transitorie. Sarebbero state sufficienti alcune di queste per svolgere il lavoro in termini più pacati e meno caotici di quelli che ci si prospettano. Per quotidiana esperienza, sappiamo che il percorso non è facile. Mi auguro che il lavoro che la Commissione sta compiendo si riveli utile anche a questo fine.
Ringrazio nuovamente il ministro Buttiglione per il suo intervento.
Il ciclo delle audizioni continua in quanto ritengo che ognuna di esse fornisca un contributo sempre valido per consentirci, tra qualche mese, di dare corso a quelle leggi attuative di cui il Paese ha bisogno. In assenza di quell'ordine cui poc'anzi si faceva cenno, è impossibile una convivenza civile tale da assicurare il progresso per tutti.
Dichiaro conclusa l'audizione e rinvio il seguito dell'indagine conoscitiva ad altra seduta.