SENATO
DELLA REPUBBLICA
XIV LEGISLATURA
BOZZE NON CORRETTE
1ª COMMISSIONE PERMANENTE
(Affari costituzionali, affari della Presidenza
del Consiglio e dell'interno,
ordinamento generale dello Stato e della Pubblica
Amministrazione)
INDAGINE CONOSCITIVA SUGLI EFFETTI
NELL'ORDINAMENTO DELLE REVISIONI DEL TITOLO V DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE
2° RESOCONTO STENOGRAFICO
SEDUTA DI MERCOLEDI' 24 OTTOBRE 2001
(Antimeridiana)
Presidenza del presidente PASTORE
__________________________________________________________________________________
I testi contenuti nel presente fascicolo - che
anticipa ad uso interno l'edizione del Resoconto stenografico - non sono stati
rivisti dagli oratori
IC 0112
INDICE
Audizione del professor Antonio Baldassarre
PRESIDENTE |
BALDASSARRE |
N.B:
Sigle dei Gruppi parlamentari: Alleanza Nazionale: AN; CCD-CDU:Biancofiore:
CCD-CDU:BF; Forza Italia: FI; Lega Nord Padania: LNP; Democratici di
Sinistra-l'Ulivo: DS-U; Margherita-DL-l'Ulivo: Mar-DL-U; Verdi-l'Ulivo: Verdi-U;
Gruppo per le autonomie: Aut; Misto: Misto; Misto-Comunisti italiani: Misto-Com;
Misto-Rifondazione Comunista: Misto-RC; Misto-Socialisti Democratici
Italiani-SDI: Misto-SDI; Misto-Lega per l'autonomia lombarda: Misto-LAL;
Misto-Libertà e giustizia per l''Ulivo: Misto-LGU; Misto-Movimento territorio
lombardo: Misto-MTL; Misto-Nuovo PSI: Misto-NPSI; Misto-Partito repubblicano
italiano: Misto-PRI; Misto-MSI-Fiamma Tricolore: Misto-MSI-Fiamma.
Interviene
il professor Antonio Baldassarre.
I
lavori hanno inizio alle ore 9,30.
PROCEDURE
INFORMATIVE
Audizione
del professor Antonio Baldassarre
PRESIDENTE.
L'ordine del giorno reca il seguito dell'indagine conoscitiva sugli effetti
nell'ordinamento delle revisioni del Titolo V della Parte II della Costituzione,
sospesa nella seduta di ieri.
Ricordo
che le audizioni che stiamo svolgendo tendono ad acquisire elementi di
valutazione sulle problematiche inerenti alle riforme costituzionali, tra le
quali va senz'altro ricompresa quella relativa agli statuti regionali, approvata
circa tre anni fa.
Abbiamo
oggi il piacere di audire il professor Antonio Baldassarre. Naturalmente, la sua
disponibilità a partecipare ai nostri lavori non esclude un suo contributo
scritto, come abbiamo chiesto a tutti i presidenti emeriti della Corte
costituzionale, soprattutto nel caso in cui non vi fosse il tempo di esaurire
tutte le risposte alle domande che verranno dai commissari. Il nostro ospite mi
ha preannunciato che la sua introduzione sarà abbastanza breve in quanto
preferisce rispondere, come parte più corposa del suo contributo, alle domande
dei commissari.
Do
senz'altro la parola al professor Baldassarre.
BALDASSARRE.
Signor Presidente, grazie per l'invito e per la considerazione espressa nei miei
confronti.
Le
problematiche da affrontare sono così numerose da rendere assai difficile una
introduzione che le ricomprenda tutte. Mi limiterò dunque in questa prima fase
a sottolineare due aspetti in particolare, rinviando le altre questioni alle
domande che verranno da parte vostra.
Vedo
innanzi tutto un grande problema per quanto concerne il coordinamento fra
l'attuazione del Titolo V della Costituzione e i vari provvedimenti che vanno
sotto il nome di leggi Bassanini. A mio avviso, si pone soprattutto un problema
di impostazione perché la più grande novità del Titolo V non sta tanto nella
ripartizione delle materie quanto nella nuova impostazione che, secondo il
principio di sussidiarietà, considera come livello primario quello delle
autonomie. Ciò comporta che l'attuazione della riforma sia per così dire di
carattere ascendente, parte cioè dalle Regioni e dalle autonomie, il che
comporta il ricorso ad una certa tecnica giuridica di attuazione. Nel passato, e
anche i provvedimenti Bassanini seguivano tale impostazione costituzionale,
l'andamento era opposto. Quindi, ribadisco che si pone innanzi tutto un problema
di coordinamento.
Un altro
punto che probabilmente è stato sottovalutato riguarda il controllo da parte
della Corte costituzionale. Oggi, la notizia che quest'ultima ha giustamente
bloccato tutti i procedimenti rigurdanti la legislazione regionale, va
considerata con attenzione. Per la Corte infatti un primo problema importante da
affrontare è capire che cosa deve fare, come deve giudicare, quale tipo di
pronuncia deve emettere rispetto a quei procedimenti, se di infondatezza oppure
di cessazione della materia del contendere. C'è dunque una situazione che
attualmente impegna la Corte in seminari interni o in richieste di aiuto e
opinioni ai vecchi componenti, perché al momento i giudici costituzionali sono
oggettivamente in difficoltà nel trovare una soluzione rassicurante rispetto ai
giudizi di costituzionalità attualmente pendenti.
Vi sono
poi anche problemi più particolari. E' noto, ad esempio, il problema del limite
rappresentato dal vincolo internazionale, già dibattuto in dottrina. Ricordo
anche un preoccupato articolo sul quotidiano "La Stampa" di Massimo
Luciani. Questo problema si può forse risolvere in via interpretativa,
stabilendo che cosa si deve intendere per vincolo internazionale, però al
momento esiste. In realtà se il vincolo della limitazione internazionale alla
competenza legislativa statale fosse preso alla lettera, come ha giustamente
scritto Luciani nell'articolo che ho richiamato, sarebbe una specie di bomba
(così lui l'ha definito). Probabilmente sarà necessario dare un significato a
questo vincolo che dia agibilità alle leggi del Parlamento.
BASSANINI
(DS-U). Ieri il professor Elia, il cui atteggiamento sempre molto
problematico è ben noto a tutti noi, su una serie di questioni ha risposto
senza esprimere alla fine un orientamento definitivo. Questo atteggiamento per
molti versi gli fa onore, però su alcune questioni ci ha lasciato alquanto
incerti e allora vorrei sottoporre a lei, professor Baldassarre, alcune domande
relative a quei temi.
Innanzi
tutto vorrei riferirmi al problema del regime dei controlli. Le disposizioni
costituzionali sui controlli (mi riferisco in primo luogo ai controlli sugli
atti amministrativi delle regioni e degli enti locali) sono abrogate, nel senso
che il nuovo testo del Titolo V non contiene alcuna disposizione sui controlli.
Mi sembra fuori discussione che l'intenzione o il proposito del legislatore sia
stato quello di abrogare i controlli preventivi di legittimità sugli atti
amministrativi delle regioni e degli enti locali. Tuttavia, anche il professor
Elia ha sottolineato come formalmente sono abrogate le disposizioni
costituzionali ma non le disposizioni legislative ordinarie che disciplinano
questi controlli. Quale è la sua interpretazione? Queste disposizioni, secondo
lei, vengono meno in quanto si tratta di norme ordinarie, fondate sulle
disposizioni costituzionali dei vecchi articoli 125 e 130? Oppure occorrerebbe
una legge di abrogazione della legislazione ordinaria in materia?
Ancora più
in generale. Come va interpretato, secondo lei, il nuovo sistema del Titolo V:
nel senso che la Costituzione non dispone alcunché in materia di controlli e
lascia quindi tutto alla discrezionalità del legislatore ordinario, oppure che
i controlli preventivi di legittimità sugli atti amministrativi dei soggetti di
cui è disciplinata l'autonomia non sono ammissibili e non possono essere
previsti?
La
seconda questione che vorrei sottoporre anche a lei, sulla quale ieri abbiamo
avuto un'interpretazione perplessa, per così dire, anche se di un certo
orientamento, riguarda la disciplina dei rapporti di lavoro, un tema di cui si
è dibattuto molto nelle scorse settimane.
Dobbiamo
ritenere la disciplina dei rapporti di lavoro, e innanzi tutto il relativo
titolo del codice civile, ricompresa nella competenza del legislatore statale in
materia di ordinamento civile - come tendenzialmente penso - oppure nella
competenza in materia di tutela e sicurezza del lavoro, che invece è in regime
di legislazione ripartita o concorrente?
La terza
questione che le vorrei porre, riguarda l'interpretazione della norma che
riserva allo Stato la legislazione in materia di tutela della concorrenza.
Dobbiamo intendere tale tutela come una competenza generale riservata al
legislatore statale? In sostanza, la dobbiamo intendere come competenza generale
a disciplinare la concorrenza e la competizione in tutti i settori di attività
economica o soltanto in quelli di prerogativa dello Stato? La mia tendenziale
convinzione è che l'interpretazione giusta sia la prima e che quindi il
legislatore statale resti competente a disciplinare mercato, competizione, antitrust,
indipendentemente dal settore in cui questa disciplina opera; pertanto anche nei
settori del commercio, dell'artigianato, dell'industria, che sono ormai di
competenza dei legislatori regionali. Si tratterebbe quindi di una competenza
trasversale, limitata dall'oggetto della disciplina del mercato e della
concorrenza. Tuttavia, anche su questo punto vi sono interpretazioni più
restrittive.
Infine,
sulla questione degli obblighi internazionali, ieri il presidente Elia ricordava
che una disposizione analoga è contenuta, ormai da quarant'anni, nella
Costituzione gollista della V Repubblica francese. Non sembra che in Francia
tale disposizione abbia creato problemi interpretativi, tant'è che è stata
pacificamente interpretata. Gli obblighi devono prima essere stati
legittimamente contratti attraverso le normali procedure di ratifica e di
autorizzazione alla ratifica, che nel caso di trattati internazionali che
modifichino l'impianto legislativo in vigore, richiedono l'intervento
parlamentare.
Quindi,
la tesi del presidente Elia prevede che al massimo questa disposizione comporti
l'assimilazione del nostro sistema a quello già in vigore in Francia da diversi
decenni e che finora non ha provocato particolari problemi applicativi; anche se
naturalmente stabilisce un principio di supremazia degli obblighi internazionali
una volta regolarmente contratti.
Qual è
la sua interpretazione al riguardo?
MANCINO
(Mar-DL-U). Innanzi tutto desidero salutare il presidente Baldassarre per
la sua disponibilità a rispondere ad alcuni dei tanti quesiti che la nuova
normativa costituzionale pone.
Mi
limiterò a qualche considerazione, giacché ritengo che con l'approvazione
della legge costituzionale si entri nel vivo del principio di sussidiarietà.
Quindi, anche dal punto di vista scalare, dal basso verso l'alto, si deve stare
attenti a non invadere i piani inferiori: regioni, amministrazioni provinciali,
comuni, comunità montane e aree metropolitane.
Il
principio di sussidiarietà dovrebbe comportare un'autolimitazione del potere
legislativo nazionale. Uso il termine "nazionale" perché nella
riforma lo Stato diventa parte, quindi dobbiamo cominciare a parlare di nazione
piuttosto che di Stato.
Indubbiamente
vi saranno molti problemi di coordinamento, anche rispetto alla legge n. 59 del
1997 e a quelle intervenute successivamente. L'impianto rovesciato assegna in
via presuntiva alle regioni tutte le competenze, salvo quelle tassativamente
attribuite allo Stato. Naturalmente non abbiamo esaurito la problematica, perché
per quanto la competenza dello Stato possa essere tassativa, è probabile che vi
siano delle interferenze. Senza considerare la valutazione di alcuni vuoti
legislativi, rispetto ai quali c'è stata la prima domanda del senatore
Bassanini. Restano, infatti, questioni non definibili, che secondo la
presunzione della competenza generale, dovremmo attribuire alle regioni. Non
credo tuttavia che lo si possa fare tanto tranquillamente, anche per il vincolo
di solidarietà nel territorio cui debbono le stesse regioni concorrere,
nell'interesse dello Stato, in quegli spazi di autonomia che non sono in
discussione.
La prima
domanda, relativa all'attuazione delle modifiche al Titolo V della parte II
della Costituzione, concerne funzioni che sono su un doppio binario: nazionale e
regionale. Non sarà facile. Sul piano nazionale, infatti, in Parlamento
possiamo fare una serie di eccezioni, ma sul piano regionale esiste una vexata
quaestio. Quel "normalmente", di cui al vecchio articolo 118 della
Costituzione, viene cancellato dalla nuova disposizione: "Le funzioni
amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurare l'esercizio
unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato,
sulla base dei princípi di sussidiarietà, differenziazione ed
adeguatezza". Ora, per assicurare l'esercizio unitario, sulla base dei
princípi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, occorre lo sforzo
di un Costituente regionale che sia all'altezza dei tempi attuali, non certo
come negli anni '70. All'epoca, la riforma degli enti locali si sarebbe potuta
parzialmente realizzare se le regioni fossero state titolari del potere di
delegare le funzioni amministrative agli enti locali. Ma le regioni non hanno
avuto quel potere, in modo particolare alcune regioni, salvo le deleghe
istruttorie, che però hanno privato di autonomia sia i comuni che le province
delegatarie. Fino a quando queste funzioni amministrative non verranno definite
da parte delle regioni, chi le eserciterà? Secondo la Bassanini dovrebbero
farlo i comuni e le provincie, però, secondo un'interpretazione rigorosa
dell'articolo 118, vi sarebbe bisogno di una produzione legislativa regionale
che conforti tutto quello che in anticipo è avvenuto (ed io ho sempre
considerato favorevolmente tale anticipazione).
Questa è
la prima questione: il tempo che occorrerà sarà tale che metterà a dura prova
anche il legislatore nazionale.
Seconda
questione: nelle materie di legislazione concorrente, dice la nuova norma,
spetta alle regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei
princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. Cioè, lo Stato
avrebbe una legislazione molto limitata: non potrebbe invadere quella delle
regioni, se non vincolandola ad un interesse nazionale. Poi si vedrà questo
interesse, che è scomparso e ricomparso ma che per me resiste, e abbiamo tutti
interesse a farlo resistere, coinvolgendo, sia pure in una fase diversa, cioè
sul piano della composizione delle Camere, la presenza delle autonomie (regioni,
comuni e provincie). Tuttavia, signor Presidente, in questo caso si tratta di
materie di legislazione concorrente, non di una questione generica. Vi è, cioè,
una tipizzazione: questo, quest'altro e quest'altro ancora. Da qui nasce
un'esigenza di chiarezza, perché se ricominciamo tra norme programmatiche e
norme precettive e invadiamo il campo delle regioni, avremo fatto fallire la
riforma.
Di qui, a
mio avviso, l'esigenza di conoscere bene la legislazione dei princìpi
fondamentali, le cosiddette leggi-quadro o leggi cornice, che non si sono mai
fatte e che una parte della dottrina, contrariamente ad un'altra parte,
sosteneva come necessarie ai fini del completamento dell'ordinamento regionale.
Su questo piano la legislazione concorrente mette a dura prova la fantasia del
legislatore, non solo nazionale ma anche regionale. Questo per evitare che la
stessa Corte costituzionale registri un incremento preoccupante di riti volti a
stabilire quanto dovrebbe fare il legislatore nazionale e quanto il legislatore
regionale. Cioè, dovremmo anche evitare che la Corte costituzionale diventi
quella ipotizzata dalla Bicamerale: un istituto caratterizzato dall'ingresso
quasi libero di tutti i conflitti. La Corte costituzionale dovrebbe invece
conservare la sua funzione e l'ingresso alla stessa dovrebbe avvenire secondo
regole, a mio avviso, da disciplinare ulteriormente.
E arrivo
alla terza domanda: sul piano del contenzioso e dell'ingresso alla Corte
costituzionale, cosa ne sarà di tali questioni?
DEL
PENNINO (Misto-PRI). Signor Presidente, professor Baldassarre, anch'io
vorrei ricollegarmi ad una osservazione che ha fatto ieri nella sua esposizione
il professor Elia, la quale ha aggravato di molto le preoccupazioni che già
erano in me relativamente alla riforma; mi riferisco all'osservazione relativa
alla legislazione concorrente. La valutazione del professor Elia è stata la
seguente: una volta realizzata l'inversione nell'attribuzione delle competenze,
limitando quelle dello Stato e lasciando alle regioni la competenza su tutte le
altre materie, viene a cadere anche l'interpretazione che era stata data negli
anni pregressi e cioè che le famose leggi di principio, o leggi-quadro, qualora
non fossero state specificamente adottate, potevano ritenersi dedotte dalla
normativa di insieme vigente nella materia.
Oggi, con
la riforma costituzionale non si può più ritenere di dedurre tali princìpi
dalla legislazione vigente; ove non vi fossero leggi di principio, le regioni
sarebbero titolate a legiferare sulla materia. Il che, tenuto conto delle
materie attribuite alla legislazione concorrente (ad esempio, le grandi reti di
trasporto e navigazione, l'ordinamento della comunicazione, la produzione, il
trasporto e la distribuzione nazionale dell'energia elettrica), creerebbe una
situazione nella quale verrebbero attribuite alla legislazione regionale anche
materie che in realtà rientrano nella competenza statale.
Siccome
lo scioglimento di questo nodo costituisce uno degli obiettivi della nostra
indagine conoscitiva - e in merito sono del parere che mantenere la legislazione
concorrente sia soltanto occasione di futuri conflitti di attribuzione fra Stato
e regioni - vorrei conoscere il parere del professor Baldassarre in merito
all'interpretazione che ci ha dato ieri il professor Elia e che è stata per me
oggetto di profonda riflessione.
VILLONE (DS-U). Signor Presidente, anzitutto
vorrei unirmi al saluto dei colleghi al professor Baldassarre, al quale mi lega
una lunga esperienza di vita accademica.
I
colleghi già hanno posto numerose domande; io vorrei riprendere brevemente una
questione sollevata dal senatore Bassanini in merito alla concorrenza. Ho
infatti la sensazione che l'impianto concettuale da noi adottato in questa
riforma per certi versi - bisogna dirlo - si sia già un po' invecchiato,
proprio come idea.
Se si
guarda all'esperienza concreta degli Stati federali moderni si nota che, in
alcuni casi, la separazione è tendenzialmente rigida, in altri, invece
l'interazione centro-periferia è definita in maniera molto flessibile. In
genere, un punto di flessibilità ha a che fare con il sistema
economico-produttivo; diversamente diventa difficile per lo Stato federale
attuare politiche economiche federali.
Per
intenderci, nella Bicamerale ci ponemmo espressamente il problema - senza però
in realtà riuscire a risolverlo in modo soddisfacente- di superare il modello
della bipartizione tra legislazione concorrente e legislazione esclusiva. Per
intenderci, professor Baldassarre: una clausola che costituisca una formulazione
moderna della interstate commerce clause in questo testo, secondo me, non
c'è mentre dovrebbe essere contemplata. Avverto questa mancanza. Questa è la
prima questione che le pongo.
La
seconda domanda riguarda la questione dell'interesse nazionale. Ho sempre
ritenuto sbagliata la posizione di chi non ha voluto introdurre esplicitamente
nel testo il riferimento al principio di interesse nazionale. L'ho sempre
ritenuto un errore, perché – come diceva anche il senatore Mancino –
l'interesse nazionale non può non esserci. Quindi, anche se non si scrive,
uscirà fuori da qualche parte; allora è meglio scriverlo e definirlo
chiaramente. Sono sempre stato convinto di questo, perché è chiaro che, se non
lo si scrive, già nell'articolo 5 della Costituzione si può radicare
l'interesse nazionale. Vorrei quindi sapere, professor Baldassarre, se è
d'accordo sulla necessità di mettere per iscritto da qualche parte il concetto
di interesse nazionale.
Inoltre,
vorrei rivolgerle una domanda più specifica. Vorrei sapere se a suo avviso ci
si può limitare – come qualcuno dice – a quell'unità giuridica o economica
di cui si parla espressamente nel nuovo articolo 120 della Costituzione, nella
chiave del potere sostitutivo (ma tralasciamo il fatto che il potere sostitutivo
ha qualche difetto e dovrebbe avere una formulazione diversa, come ha ricordato
ieri il professor Elia). Allora, vorrei sapere se l'interesse nazionale passa
attraverso quella strada o se torniamo, in prospettiva, alla vecchia questione
dell'interesse nazionale come fondamento positivo della competenza, che poi fu
il crinale su cui si sono orientate giurisprudenza e dottrina.
Il terzo
punto su cui vorrei soffermarmi riguarda l'articolo 11 del testo di modifica. Si
tratta di un tema che sta già venendo all'attenzione di tutti. Nell'articolo
11, comma 1, si stabilisce che "i regolamenti della Camera dei deputati e
del Senato della Repubblica possono prevedere la partecipazione di
rappresentanti delle Regioni, delle Province autonome e degli enti locali alla
Commissione parlamentare per le questioni regionali". In realtà, penso che
ciò vada inteso nel senso che i Regolamenti parlamentari "devono"
prevedere tale partecipazione. In sostanza, questo articolo è stato formulato
così per il rispetto dell'autonomia regolamentare delle Camere, come si diceva
ieri nella Giunta per il Regolamento, ma probabilmente va inteso in senso
propriamente prescrittivo.
Dunque,
dobbiamo porci la questione dell'attuazione dell'articolo 11. Infatti, ci si sta
iniziando a chiedere con quale strumento debba essere attuato, se si debba
procedere con il solo strumento regolamentare, quindi se vada tutto previsto
nella disciplina regolamentare, in particolare per quanto riguarda
l'individuazione delle categorie di rappresentanti e della modalità di scelta
delle persone dei rappresentanti. Allora, discipliniamo tutto nel Regolamento,
oppure abbiamo bisogno di un'interazione con fonti diverse, di livello statale o
substatale? In mancanza di tutto questo, poi, potrebbe emergere un vizio di
procedura? Personalmente, penso di no, ma qualcuno si pone tale quesito, quindi
lo segnalo solo per completezza. Tuttavia, questo problema è molto delicato,
perché è difficile pensare che nella norma regolamentare sia inserita l'intera
disciplina attuativa dell'articolo 11. Su questo tema vorrei conoscere il parere
del professor Baldassarre.
VALDITARA
(AN). Mi richiamo al discorso che ha fatto anche il senatore Bassanini,
in merito alla questione relativa all'università, cioè il rapporto con
l'articolo 33, comma 6, e l'assenza di un riferimento esplicito all'università
nell'articolo 117.
Le chiedo
anche un'opinione sul significato del vincolo derivante dagli "obblighi
internazionali".
PRESIDENTE.
La ringrazio, senatore Valditara, per la brevità del suo intervento.
Lascio
ora al professor Baldassarre l'ingrato compito di provare a sciogliere tanti
dubbi.
BALDASSARRE.
Ne scioglierò ben pochi, anche perché molte domande che mi sono state poste
avrei voluto rivolgerle io a voi, per capire qual è l'intenzione del
legislatore costituzionale, perché la Corte ancora applica il criterio di
andare a verificare l'intenzione del legislatore.
La prima
domanda posta dal senatore Bassanini aveva due corni, ed il secondo è
determinante. In sostanza, se affermiamo che il silenzio sui controlli significa
che il legislatore ha piena discrezionalità in questa materia, è chiaro che
tutte le problematiche successive non si pongono. Infatti, se l'abolizione dei
vecchi controlli significasse autorizzare il legislatore ad intervenire come
crede sulla materia, se quindi dovessimo rispondere affermativamente a questa
domanda, penso che tutti gli altri problemi non si porrebbero.
Questa è
una delle domande che avrei voluto porre al legislatore costituzionale, cioè
che cosa intendeva fare con quella norma. Teoricamente, l'una e l'altra
soluzione sono possibili, però scavando dall'esterno l'intentio legislatoris
(non l'intentio legis, in questo caso), si deduce che il motivo di fondo
era l'abolizione di questi controlli. Pertanto, tenderei a scartare, in quanto
contraria all'intenzione del legislatore costituzionale, un'interpretazione
secondo cui si afferma una norma autorizzatoria che dà piena discrezionalità
al legislatore.
A questo
punto, però, sorgono i problemi, evocati anche nella domanda formulata dal
senatore Mancino, sull'ingresso delle questioni alla Corte costituzionale. E'
vero che possiamo concepire che i controlli siano assenti, però dobbiamo
stabilire quali percorsi si debbano seguire, per esempio, per l'ingresso delle
questioni alla Corte costituzionale. Sugli atti amministrativi, a questo punto,
una volta aboliti tutti gli altri controlli, rimangono solo quelli
giurisdizionali, e questo crea qualche problema pratico, soprattutto in
relazione al fatto che la giustizia amministrativa ansima, non fa certo respiri
profondi.
BASSANINI (DS-U). Possono essere sempre previsti i controlli interni dagli statuti regionali.
BALDASSARRE. Certamente, però l'esperienza mostra che i controlli interni sono abbastanza inefficienti o di scarsa efficacia. In ogni caso, possono essere previsti, non c'è dubbio.
MANCINO (Mar-DL-U). E quel potere generale di annullamento successivo degli atti viziati è un'altra questione che resta in piedi.
BALDASSARRE.
Quello ormai rimane in piedi soltanto per gli atti amministrativi statali.
Comunque, già questo è un problema.
Credo che
l'intenzione (cerco di dare un'interpretazione, si tratta solo di un tentativo,
quindi non do nessun tipo di garanzia) fosse quella di abolire soltanto i
controlli previsti nelle norme del Titolo V della Costituzione. Il potere di
annullamento cui fa riferimento il senatore Mancino, invece, aveva un'altra
fonte, un'altra base, perciò, tutto sommato, si può ritenere che sia ancora in
vigore.
Vorrei
affrontare un'altra questione posta nella prima domanda dal senatore Bassanini,
che costituisce un altro problema annoso nella nostra dottrina giuridica. Si
chiede se l'eliminazione della norma costituzionale sui controlli significa
anche il venir meno di tutti i controlli previsti dalle norme consequenziali di
rango primario, cioè dalle leggi ordinarie. E' il problema dei limiti della
cosiddetta abrogazione tra previsioni di fonte diversa. In dottrina sono
esposte, come sapete bene, entrambe le tesi. E' chiaro – lo ha affermato anche
la Corte costituzionale in varie sentenze – che una pronunzia di illegittimità
costituzionale, che avrebbe un carattere quasi di accertamento dell'abrogazione,
avvenuta o meno, darebbe maggiore certezza rispetto all'ipotesi secondo cui con
l'abrogazione verrebbero meno anche i controlli previsti dalle leggi ordinarie.
In sostanza, una fonte costituzionale è venuta meno. In linea generale, laddove
c'è un immediato contrasto, credo che possiamo considerare abrogata anche la
norma di legge ordinaria; laddove c'è un dubbio credo che sia essenziale,
fondamentale l'intervento della Corte costituzionale che, dichiarando
l'illegittimità costituzionale, in realtà compie un'opera di accertamento, nel
senso che elimina dall'ordinamento norme che si dubita siano ancora presenti in
conseguenza dell'eliminazione di norme costituzionali. Ciò è già avvenuto
nelle vicende della Corte costituzionale e credo possa avvenire nuovamente.
Ripeto,
laddove c'è un evidente, chiaro e manifesto contrasto sarei dell'opinione che
è venuta meno anche la norma ordinaria che prevede il controllo. In altre
parole, tra le due tesi in dottrina - abrogazione o no, anche tra fonti diverse
- sarei per una tesi mista: laddove c'è un evidente e immediato contrasto,
abrogazione anche se si tratta di fonti diverse; laddove c'è incertezza,
preferirei un intervento della Corte in sede di giudizio di legittimità
costituzionale, esclusivamente ai fini della certezza, cosa che peraltro - torno
a ripetere - mi pare sia già avvenuta. In alcuni di questi casi si diceva che
la questione avrebbe dovuto essere risolta dal giudice ordinario perché si
trattava di abrogazione; comunque, la Corte più volte, abrogazione o no,
dichiarava incostituzionale la norma, eliminandola dall'ordinamento, tagliando
così la testa al problema.
VILLONE (DS-U). Dal punto di vista strettamente tecnico, ha però presupposto che non ci fosse abrogazione.
BALDASSARRE. No, la motivazione della Corte era polivalente: la tesi dell'abrogazione poteva avere una sua plausibilità, ma in ogni caso preferiva intervenire, dichiarando incostituzionale la norma ed eliminandola dall'ordinamento. Ricordo almeno due o tre casi.
VILLONE (DS-U). Ricordo questa giurisprudenza,
però il presupposto concettuale è che la norma fosse sopravvissuta.
BALDASSARRE.
Per
forza, lo deve dire fondando un'ipotesi. In altre parole, la Corte ha fatto il
seguente ragionamento: voi dite che la norma è abrogata, può darsi che lo sia,
ma in ogni caso mi pronunzio perché così do certezza all'ordinamento. E'
chiaro che, pronunziandosi, deve presupporre che la norma non è stata abrogata.
VILLONE (DS-U). Gli effetti giuridici sono quelli
dell'annullamento, non quelli dell'abrogazione.
BALDASSARRE.
Certo, gli effetti sono quelli dell'annullamento.
Seguo
l'ordine delle domande. Anche per quanto concerne la disciplina dei rapporti di
lavoro e la tutela della sicurezza, siamo di fronte a tentativi. Credo ci possa
essere un'interpretazione che salva l'una e l'altra cosa. Ci può essere
un'interpretazione che nei rapporti di lavoro divide la parte ordinamentale in
senso stretto - e questa va divisa tra norme codicistiche e norme di autonomia
collettiva - da quella che, invece, attiene ai problemi della sicurezza del
lavoro; ed è la parte più pubblicistica del rapporto. Ritengo possibile
un'interpretazione di questo genere; sarà poi la prassi a dire qual è
l'interpretazione più corretta, ma, almeno in linea astratta, credo che vi sia
la possibilità di distinguere le competenze statali e quelle regionali di tipo
concorrente.
BASSANINI
(DS-U). Esattamente quello che intendevo. L'ordinamento civile non può
essere compreso nella disciplina pubblicistica.
BALDASSARRE.
Certo.
Anche sulla tutela della concorrenza sono d'accordo con quanto diceva il
senatore Bassanini. C'è una sorta di parallelo con i rapporti tra competenza
comunitaria e competenza delle regioni. In tutta la materia del mercato e della
tutela della concorrenza, come nel rispetto allo Stato sta l'Unione europea, così
nelle materie residue sta lo Stato rispetto alle regioni. Pertanto, sarei per
l'interpretazione che questa materia si estenda a tutti i settori, non soltanto
a quelli di competenza statale. La tutela della concorrenza è una materia a sé,
se si può dire; e del resto ci sono ragioni anche di efficienza, non soltanto
di interpretazione astratta delle norme costituzionali. In sostanza, credo che
lo Stato debba mantenere saldamente nelle proprie mani quella parte della tutela
della concorrenza che non spetta all'Unione europea.
Circa gli
obblighi internazionali, è verissimo che il vincolo è previsto anche in
Francia, però ricordiamo che in Francia la gerarchia delle fonti è
parzialmente diversa da quella italiana. O meglio, se si prende sul serio questo
vincolo, si può capire come in Francia esso porti a un rovesciamento del
rapporto, che la Corte costituzionale ha sempre affermato, tra fonte legislativa
e norme di trattato: che cioè c'è una competenza speciale a favore delle norme
di trattato ma, tutto sommato, siamo nel campo della primarietà. In Francia le
norme dei trattati internazionali sono considerate non superabili dalle leggi
ordinarie del Parlamento; in qualche modo sono una fonte superiore. L'articolo
117 della nostra Costituzione può essere interpretato così, cioè può essere
visto come l'intenzione volta ad attribuire una posizione gerarchica superiore
alle fonti di diritto internazionale. Questa può essere un'interpretazione, però
è chiaro che porta ad una innovazione profonda, molto significativa, del nostro
ordinamento. Inoltre, andrebbe specificato a quali norme ci si riferisce perché
proprio la riforma del Titolo V ha introdotto varie forme di accordo, anche
soggettivamente diverse e articolate. Qui ci dovremmo riferire soltanto ai
trattati e agli accordi ratificati dal Parlamento, in sostanza quelli nazionali,
non certo agli accordi regionali che non possono intendersi a questo titolo
ricompresi nel contenuto degli obblighi internazionali.
Sto
cercando di rispondere ai quesiti piuttosto velocemente; qualora vi fosse
bisogno di maggiore approfondimento, vi prego di farmelo notare.
Vorrei
passare alla seconda questione sollevata dal presidente Mancino, perché ritorna
anche in altre domande, tra cui quelle del senatore Villone. Sono convinto che
l'interesse nazionale non solo resiste, ma non può non esserci, in qualsiasi
ordinamento, anche in quello federalista più estremo, perché è uno degli
elementi fondamentali; esso riguarda l'unità dello Stato e per questo - come
diceva il senatore Villone - si può radicare anche nell'articolo 5. L'interesse
nazionale in ogni Stato federale gioca un ruolo fondamentale. Detto questo - che
rimane ed è radicato nel nostro ordinamento, nell'articolo 5 - sono però
dell'opinione che l'interesse nazionale abbia una sua fluidità di principio, di
natura; per cui ritengo un'opera da postcartesiani codificarne il contenuto, nel
senso che o ci sono definizioni molto generiche, che lasciano il problema
irrisolto, oppure, se si pensa di dare definizioni precise, che in qualche modo
ingabbino il concetto, si tratta di un'opera vana. L'interesse nazionale ha una
sua variabilità sostanziale, di cui può essere interprete soltanto lo Stato,
come rappresentate degli interessi unitari della Repubblica. In fin dei conti,
l'interesse nazionale non è altro che quella che negli Stati federali viene
chiamata la clausola di supremazia (supremacy clause). E' un intervento,
quello dello Stato, quello della supremacy clause, che sposta la linea
delle competenze. E deve essere così perché in alcuni momenti ci può essere,
anche in materie che sembrano vili come importanza, una insistenza
dell'interesse nazionale o della salvaguardia dell'unità che può essere
fondamentale. Ho sempre interpretato l'interesse nazionale – credo di averlo
scritto anche in una sentenza a nome della Corte – seguendo l'interpretazione
della clausola di supremazia negli Stati federali, quindi la possibilità
d'intervento dello Stato in qualsiasi materia tale da scardinare o spostare, su
quel punto, la linea delle competenze. Questo vale sia se partiamo da un
ordinamento di tipo verticistico, cioè dall'alto verso il basso, sia da un
ordinamento come quello che sembra fondato dal nuovo Titolo V, cioè dal basso
verso l'alto. La clausola di supremazia o l'interesse nazionale hanno un ruolo
che rimane immutato anche nel mutato quadro del Titolo V.
Pone un
problema difficilmente risolvibile, almeno allo stato attuale, la prima
questione posta dal presidente Mancino, relativamente alla definizione della
sussidiarietà. È uno dei problemi che angustiano di più gli interpreti. In
questo sistema, fin quando le regioni non esercitano le loro competenze, chi
svolgerà le attività amministrative? Allo stato dei fatti, oggi si può dare
l'una o l'altra interpretazione. Appoggiandoci sulle leggi Bassanini, dovremmo
dire i comuni; appoggiandoci su altre norme, dovremmo dire lo Stato. È uno dei
problemi che deve essere risolto con una legislazione transitoria. Le leggi
devono stabilire qualcosa, e possibilmente nell'immediato. È una materia di
passaggio da una impostazione all'altra che va approfondita; anche per aiutare
la Corte costituzionale in relazione al problema cui facevo riferimento nella
mia introduzione. Oggi, infatti, la Corte costituzionale si trova in grande
difficoltà perché non ha norme su cui poggiare un'eventuale
"transizione" dei giudizi, se così la si può definire.
Probabilmente, un aiuto da parte del Parlamento, con una legge che pone norme di
transizione da un regime all'altro, potrebbe essere di grande ausilio sia per la
Corte sia, più in generale, per l'attività amministrativa.
Il
problema delle leggi cornice è stato ripreso anche dal senatore Del Pennino.
Concordo con la sua interpretazione; purtroppo, non ho ascoltato quella del
presidente Elia. È molto difficile che, nel nuovo quadro delle autonomie, che
ha dipinto molto bene il presidente Mancino, si possa ritenere che le norme che
disciplinano la materia possano funzionare da norme principio, da legge cornice.
Se una regione si prende una materia che si può prendere, che cosa facciamo?
Contrapponiamo la norma della vecchia disciplina che vuole e costituzionalmente
può eliminare, una materia che la regione può prendersi in quanto non indicata
fra quelle riservate allo Stato? Valgono le norme disciplinatrici che
stabiliscono princìpi diversi? Evidentemente non si può. La via obbligata,
pertanto, è quella di predisporre leggi cornice nel senso vero della parola,
nel senso che la dottrina e la giurisprudenza della Corte costituzionale avevano
scartato nel vecchio regime ma che oggi non si può più scartare. Il meccanismo
che ha funzionato finora, infatti, non può più funzionare.
DEL
PENNINO (Misto-PRI). In assenza, vi è la potestà delle regioni? È
questa la conseguenza istituzionale che ne deriva?
BALDASSARRE.
In materia concorrente non so.
VALDITARA (AN). In questo caso si determinerebbe una paralisi legislativa!
DEL
PENNINO (Misto-PRI). Il professor Elia ha dato un'interpretazione del
genere, che ci possa essere una legislazione regionale senza leggi cornice.
BALDASSARRE.
Su questo ho qualche dubbio. Il problema fu posto all'epoca, quando iniziò la
legislazione regionale italiana. Da parte dei sostenitori della necessità delle
leggi cornice si disse anche che le regioni non potevano legiferare in assenza.
L'interpretazione era corretta, ma il problema fu superato, in base alla
considerazione che le norme normalmente disciplinatrici della materia contengono
princìpi che possono funzionare da cornice. Se diciamo che questa seconda via,
quella finora seguita, non è percorribile, temo che si possa sostenere anche
che le regioni non possano legiferare in assenza delle leggi cornice. O meglio,
non possono legiferare nel nuovo modo.
C'è
anche un altro problema che non è stato posto nelle domande. Il nuovo quadro
potrebbe anche aver cambiato la concezione della legislazione concorrente. Nel
vecchio quadro abbiamo interpretato la legislazione concorrente con un limite di
competenza relativamente rigido tra Stato e regioni. Non so se il cambiamento
che c'è stato, cioè la previsione che le regioni e le autonomie hanno in via
di principio delle competenze, porti a considerare mobile il limite fra le norme
di principio e la potestà regionale, facendo ricadere la potestà concorrente
in una visione assai simile a quella tedesca, che non ha nulla a che fare con la
vecchia concezione della nostra legislazione concorrente. È un problema che
oggi non saprei risolvere. Potrebbe accadere che il cambiamento del quadro porti
ad un mutamento della stessa concezione della legislazione concorrente,
avvicinando la nostra esperienza a quella di tipo tedesco e non piuttosto a
quella conosciuta con il vecchio Titolo V.
Ci sono
altre questioni poste dal senatore Villone su cui vorrei soffermarmi. È
giustissimo quanto lui diceva, che tutti gli Stati decentrati o federali, nella
separazione di concorrenza, sono un mix di flessibilità e rigidità.
Devo dire però che, soprattutto con l'evoluzione degli ultimi decenni, la fetta
occupata da una ripartizione flessibile è enormemente aumentata. La flessibilità
nei rapporti fra centro e periferia è enormemente aumentata, probabilmente per
le ragioni che indicava il senatore Villone, cioè per la preponderanza, nella
politica generale della politica economica, che esige meccanismi estremamente
flessibili. Sono anche d'accordo - e questo argomento è legato al problema
della concorrenza - che manca una commerce clause. Come si fa a non
prevedere qualcosa di simile, magari sotto l'aspetto dell'interesse nazionale?
VILLONE (DS-U). Potrebbe essere questa la strada.
BALDASSARRE.
Mi sembra impossibile che in uno Stato decentrato non ci sia qualcosa di simile
alla interstate commerce clause americana. Si potrebbe recuperare
attraverso una certa interpretazione dell'interesse nazionale.
Vorrei
aggiungere che probabilmente, come già nel vecchio Titolo V – è un mio
pallino e lo ripeto anche rispetto alla nuova formulazione – sono
assolutamente insufficienti le istituzioni di raccordo fra Stato e autonomie
regionali; proprio perché negli Stati federali moderni tende ad aumentare il
tasso di flessibilità dei rapporti e quindi anche la ricerca, caso per caso,
del confine fra competenze statali e regionali. Che cosa è stato fatto?
Sono
aumentate, soprattutto negli Stati federali più evoluti, tipo quello americano
o quello tedesco, le istituzioni di raccordo, le istituzioni che di volta in
volta stabiliscono politicamente la linea di confine: istituzioni dove sono
presenti rappresentanti regionali e dello Stato (genericamente intesi) e nelle
quali di volta in volta viene stabilito il limite.
Questo,
che era un deficit nel vecchio sistema, lo considero ancor di più un
problema grave oggi, laddove il Titolo V, esplicitamente o implicitamente,
prevede una maggiore flessibilità nel rapporto tra Stato e regioni. Potrebbero
essere più d'uno gli organi titolati all'intervento: dalla Camera delle
regioni, chiamata a svolgere una attività di coordinamento con limiti
specifici, utile in sede legislativa ma meno efficace su altri piani; alla
commissione bicamerale, che agisce con il medesimo ruolo. In aggiunta a queste,
potrebbe esserci una conferenza dei governatori che, analogamente alla
Conferenza dei governatori americani, potrebbe dar luogo ad uno sviluppo più
decisionistico rispetto alla Conferenza Stato-regioni, che oggi è più simile
ad un seminario di giuristi. Alla Conferenza dei governatori americani partecipa
sempre il Presidente degli Stati Uniti: si tratta di una istituzione che offre
un coordinamento di lungo periodo sui princípi, sulle direzioni politiche da
intraprendere; è una istituzione con un ruolo fondamentale, dal momento che lo
Stato federale americano ha il maggior tasso di flessibilità in assoluto, tant'è
vero che la questione dell'interpretazione del federalismo viene risolta sempre
elettoralmente.
VILLONE (DS-U). È una questione che si decide sulle politiche.
BALDASSARRE.
Certamente. Tradizionalmente il partito repubblicano statunitense si pone a
difesa degli Stati (ma l'11 settembre ha cambiato le cose anche sotto questo
profilo), mentre il partito democratico è stato sempre centralista. Questo
problema esiste, e anche il Titolo V nella nuova versione non lo risolve, almeno
in modo sufficiente; ma va risolto.
Sull'ultima
questione sollevata dal senatore Villone, aggiungo che sono d'accordo che si
preveda una pluralità di fonti, anziché limitarsi al Regolamento. È stato
sollevato infine il problema dell'università: se non è prevista, giocoforza va
considerata compresa nell'istruzione. Non vedo altra possibilità
interpretativa.
Nelle mie
riflessioni ho fatto opera divinatoria e quindi su tutte mantengo un punto
interrogativo. Vi ringrazio.
PRESIDENTE.
Il collega Valditara intendeva far riferimento all'articolo 33 della
Costituzione che rinvia alla legge ordinaria la disciplina dell'università.
Ringraziamo
il presidente Baldassarre per la sua disponibilità; ove egli volesse, sui punti
che hanno più appassionato i commissari, farci pervenire una memoria scritta in
modo che possiamo farne tesoro, ne saremmo a lui particolarmente grati.
Dichiaro
conclusa l'audizione.
I
lavori terminano alle ore 10,35.