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COMUNICATO STAMPA  n. 121

 
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Ricordo: la seduta solenne in Consiglio (2)

Gli interventi dell'Assessore alla presidenza a nome della Giunta e dello storico Marco Cimmino

 

13 febbraio 2018

 

Firenze –L’assessore alla presidenza della Giunta regionale ha ricordato come oggi si trovi l’opportunità di un tardivo riconoscimento a questa pagina buia della storia nazionale. I morti delle foibe appartengono alla schiera di vittime del Novecento europeo, che ha prodotto pulizie etniche, genocidi, stermini e violenze ben oltre le due guerre mondiali. Sotto accusa la marea delle ideologie razziste riversate dal nazifascismo nel nostro continente, ma anche il cosiddetto ‘fascismo di confine’ italiano, che aveva messo in atto una politica di ‘deslavizzazione’ dei territori, con atti come l’incendio a Trieste nel luglio 1920 del Narodni dom, la casa della cultura slovena.
Nella vicenda delle foibe c’è un intreccio di giustizialismo, violenza, parossismo nazionalistico, oltre alla volontà di sradicare la presenza italiana portando a compimento un disegno annessionistico che prevalse nel Trattato di pace del 1947 e che sancì una pulizia etnica a danno della popolazione italiana. Il maresciallo Tito stava creando un’identità nazionale jugoslava che veniva a coincidere con quella comunista. I comunisti jugoslavi combattevano una guerra contro i nemici del passato e anche contro i soggetti potenzialmente pericolosi per l’affermazione del nuovo ordine, perché oppositori alla linea di annessione alla Jugoslavia, tra cui gli antifascisti italiani che, data la loro legittimità politica, avrebbero potuto rappresentare un ostacolo al progetto di espansione territoriale a spese dell’Italia.
Una menzione speciale per le vittime, gli esuli che in Toscana trovarono un grande spirito di accoglienza e solidarietà; a Livorno, tra il ’47 e il ’56, arrivarono circa 1000 profughi istriano - dalmati.
La strada, ancora oggi, è quella del progetto europeo che ha garantito un lungo periodo di pace e riconciliazione, anche se purtroppo non è stato capace di evitare quanto accaduto in Jugoslavia negli Anni ‘90.
Tocca alle istituzioni trovare lo spirito che in passato permise alle classi dirigenti italiane di uscire dai fatti tragici della storia nei contenuti fermi della nostra Costituzione, e trasmetterlo come esempio ai giovani.
Marco Cimmino, professore, storico militare, durante il suo intervento si è rivolto spesso ai ragazzi dell’Istituto Cappellini di Livorno, presenti in aula. Intanto per trasmettere i tratti specifici della tragedia delle foibe e dell’esodo intesi come metafora di tutti gli olocausti novecenteschi. Tutti gli olocausti del Novecento, inizialmente rappresentati come rigurgiti di Medio Evo, sono stati partoriti dalla modernità. All’origine vi è anche l’unione perversa di ideologie, nazionalismo e la visione del mondo secondo la quale gli stati sono come organismi viventi e come tali si comportano: possono essere infettati, quindi devono produrre anticorpi per eliminare i virus. Poi, dopo la I guerra mondiale, le ideologie accompagnano la coincidenza tra Stato, nazione e partito.
Il caso delle Foibe porta anche un tratto specifico: i rapporti, antichissimi, delle popolazioni italiche e quelle slave. I primi che occupavano la fascia chilometrica del litorale, le altre l’interno: quando è esplosa la violenza delle foibe alle spinte ideologiche si sono mischiati elementi di invidia sociale nei confronti della popolazione italica, di rivalsa.  
Gli olocausti non sono generati dalla pazzia, sono invece frutto di meccanismi per ottenere determinati risultati, e non sempre risultati ideologici. Il caso delle foibe mostra caratteri che sono comuni a tutti, inclusi i tentativi di nasconderli. Il negazionismo colpì gli esuli in Italia, che non venivano creduti quando raccontavano le atrocità viste e vissute. Quando non si è più potuto negare, allora è emerso il giustificazionismo.
In realtà, c’erano stati nel tempo infiniti episodi di reciproche intolleranze, ha ricordato Cimmino. E sui fatti dell’Adriatico influirono gli interessi nazionali – l’attenzione maggiore alle terre del sud Tirolo – e internazionali; come pure il fatto che Tito si presentasse come l’unico interlocutore per l’Occidente per i paesi comunisti. Così furono fatte alla Jugoslavia concessioni contro la logica.
Il professore ha chiuso l’intervento con il richiamo al dovere della memoria, perché non perda di significato una delle parole più nobili: patria. E’ la terra dei nostri padri, se è un’idea astratta non ha nemmeno senso di esistere. Una celebrazione del ricordo dovrebbe essere sentita come andare al cimitero a trovare i propri nonni, è elemento coesivo che ci permette avere una nostra identità. Se questa non c’è possiamo fare a meno di parlare di Europa.
La giornata di oggi in Consiglio regionale permette ai giovani studenti presenti di portare a casa l’idea che la politica può dare risposta umana, civile e più buona. (Cam)
 
 

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