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COMUNICATO STAMPA  n. 1087

 
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Tassa rifiuti: Difensore civico, i problemi non riguardano solo l’Iva

Secondo Lucia Franchini occorre fare chiarezza su numerose questioni per tutelare davvero i cittadini. “Comportamenti disomogenei non sono giustificabili”

 

5 ottobre 2012

 

Firenze - I problemi che riguardano la tassa sui rifiuti sono numerosi e complessi, e non possono essere ridotti solo ai minimi termini di “Iva sì o Iva no”. Occorre fare chiarezza sulle scelte a monte, per tutelare davvero i cittadini. Ad affermarlo è il Difensore civico della Toscana, Lucia Franchini, la quale interviene di nuovo sull’argomento a fronte delle tante richieste di intervento da parte dei cittadini e di alcuni articoli di stampa usciti in questi giorni. “Ci sono tre questioni da chiarire – spiega Franchini –: la competenza giurisdizionale sulle controversie; l’applicazione dell’Iva; la forma e il contenuto necessario dell’atto con cui si chiede il pagamento della tariffa”.

Per quanto riguarda il primo punto, stando a recenti decisioni della Corte Costituzionale, il contenzioso in materia di tasse sui rifiuti dovrebbe essere devoluto esclusivamente alla competenza del giudice tributario. Invece in alcuni casi continua a esser coinvolta la giustizia ordinaria. “La questione per i cittadini che fanno ricorso è molto rilevante – afferma Franchini  - perché ricorrere al giudice ordinario o a quello tributario comporta notevoli differenze in termini di costi e di tempi di attesa: per il ricorso in Commissione tributaria basta una marca da bollo ordinaria e sono previsti 60 giorni tassativi; i ricorsi presso il Giudice di Pace hanno tempi più lunghi a seconda del diritto da far valere, anche 5 anni”.

Si arriva poi alle questione dell’Iva: l’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto alle fatture relative alla Tia è l’aspetto che ha maggiormente catalizzato l’attenzione dell’opinione pubblica e dei mezzi di comunicazione. Spiega ancora il Difensore civico regionale: “E’ noto il ragionamento della Corte Costituzionale secondo cui se la Tia ha natura tributaria e rappresenta una variante della Tarsu, allora ne consegue che ad essa risulta inapplicabile l’Iva con l’abbattimento del 10% del costo da pagare. Da qui la richiesta avanzata da parte di molti utenti, da un lato, di non pagare più l’Iva sulle fatture di prossima emissione, dall’altro, di avere il rimborso su quanto, negli anni addietro, indebitamente pagato”. Ma se da un punto di vista giuridico il ragionamento della Suprema Corte risulta molto chiaro e lineare, altrettanto non si può dire per la sua concreta applicazione al di fuori delle aule giudiziarie: “Finché non ci saranno novità legislative o regolamentari – avverte Franchini - i Gestori non potranno che continuare ad emettere fatture contenenti l’Iva e non restituire niente di quanto hanno con quel titolo incassato. In altri termini, soltanto impugnando davanti al giudice tributario le fatture che via via arriveranno, gli utenti potranno ottenere di non pagare quanto non dovuto oppure di riavere quanto già pagato”. Tuttavia secondo il Difensore civico regionale, il vero nocciolo del problema sta nel “chiarire, in primo luogo, le nuove modalità di definizione dei rapporti giuridici ed economici tra contribuenti, ente impositore e società affidataria dello svolgimento del servizio”.

Da un punto di vista pratico, infatti, si è assistito ad una varietà di comportamenti tenuti dai Comuni in quanto alcuni hanno deciso di eliminare la riscossione diretta dell’Iva , mentre altri no. E questa situazione si è verificata anche in Toscana pure tra Comuni che avevano il medesimo Gestore che ha tenuto comportamenti diversi e distinti in base alla residenza dell’utenza. Inoltre il mancato assoggettamento della tariffa all’Iva “non ha comportato per il contribuente un vantaggio economico, nel momento in cui quei Comuni che hanno deciso di eliminarla hanno, contestualmente, deciso un aumento della tariffa tale da coprire i costi. E nei costi è ricompreso anche l’Iva che lo stesso Comune paga direttamente al Gestore che fornisce il servizio di smaltimento”.

Arrivando al contenuto dell’atto, prosegue il Difensore, “il punto centrale della vicenda è scegliere se davvero si vorrà far pagare gli utenti in base al consumo effettivo di rifiuti prodotto alla stessa stregua degli altri servizi pubblici essenziali (acqua, luce e gas) oppure prendere atto dell’impossibilità materiale di ciò e considerare il ciclo dei rifiuti nell’alveo del prelievo tributario. E’ questa scelta da fare ‘a monte’ che definisce il rapporto tra Comune o Ente gestore e il cittadino. Risulta evidente la differenza sostanziale tra le due impostazioni che vede l’applicazione di regole e concetti giuridici diametralmente diversi tra di loro: da un lato, la predisposizione di atti amministrativi aventi natura tributaria redatti secondo le regole canoniche del diritto amministrativo e tributario; dall’altra l’emanazione di un semplice documento commerciale redatto da un soggetto privato con cui si chiede conto di quanto effettivamente consumato”. Infatti “nel caso, come confermato dall’attuale giurisprudenza, di tributo, gli atti con cui verranno richieste le prestazioni ai contribuenti non potranno più essere quelli usati finora, ma  bensì ad esempio l’identificazione dell’immobile, la categoria tariffaria in funzione dell’attività svolta, il numero degli occupanti.

Nel caso che si riconosca, come fino ad adesso, servizio, il cittadino paga esclusivamente l’uso che fa del servizio e quindi la quantità di sacchetti di rifiuti prodotti con le agevolazioni previste per la raccolta differenziata, in modo da incentivare comportamenti virtuosi”. In definitiva, conclude Franchini, “è un problema di politica del diritto orientarsi verso una scelta invece che verso un’altra e naturalmente la scelta adottata ha conseguenze rilevanti sul piano socioeconomico. Quindi, sotto questo aspetto, il cambiamento riguarda tutti, cittadini ed istituzioni, e, di fronte ad esso, risulta difficile giustificare comportamenti diversi e disomogenei”. (cem)

 

 

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